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R Recensione

8/10

Father Figure

Heavy Meddlers

Verità e Libertà, ancor prima che due valori fondanti, sono due affascinanti, maestose donne discinte. Verità è il Tiepolo ignominiosamente bacchettato da Palazzo Chigi (luogo dove, evidentemente, tale virtù non trova facile applicazione): Libertà è il Delacroix rivoluzionario, retorico forse, ma pulsante, cristallino. Verità e Libertà, mai maiuscole furono più azzeccate, si sublimano nello sguardo estatico, senza tempo della moderna e sensuale corifea immortalata sulla copertina di “Heavy Meddlers”, secondo full length dei Father Figure: garanzia di sincerità e lungimiranza. Se per definizione la musica strumentale, in assenza della convenzione sociale par excellence (la parola), mira alla descrizione o, più sottilmente, la suggerisce, il quintetto americano ne sposa in pieno gli intenti, sottoscrivendo un rigoroso (nel metodo) ed abbacinante (nel risultato) manifesto artistico per un nuovo prog: dinamico, futuristico, cosmopolita.

Più che il violino di Taka Aochi (il gettone di presenza alla corte del rock in opposition obliterato in onore di Patrick Hanappier degli Univers Zero?), a suscitare continua meraviglia sono le due chitarre di Mike Osso ed Eric Horowitz: giacché lo stupore è motivato non tanto, come in troppi altri casi simili, dalla conoscenza dello strumento o dall’abilità manuale, quanto dalla sublime sartoria di contorno, la confezione in cui viene inquadrato il complesso reticolato di interazione sonora del gruppo. Tradiscono in un solo caso, i Father Figure, nello smaccato omaggio di “Undercover Magister”, che beccheggia tra romantici lick gilmouriani senza trovare una propria compiutezza. Ci piace pensarlo, al riparo da ogni dietrologia, come un eccesso di entusiasmo, un surplus di affezione: troppo amore continua ad uccidere. Cala allora, come una mannaia, il trionfante jazz rock di “The Fault Line” (riff portante tra i migliori dell’anno appena trascorso), che sfodera nei rallentamenti quella grazia blues annullata negli assalti elettrici, quasi NWOBHM (date il vestito buono ai Bushman’s Revenge di “Jitterbug”, e potrete possedere un discreto termine di paragone). Verità e Libertà, come nella malen’kaja tragedija di “Ascension”: sofisticate acustiche ad elevare al cielo un peana contrappuntato da archi frementi, tremolanti, sfuggenti – la revisione di certa imprendibile psichedelia mistica, più che l’infuriare del retaggio GY!BE – e improvvisamente sconsacrato da uno strepitoso, emozionante ribaltamento fusion. La Verità della propria visione e la Libertà degli intenti, che senza macchia e senza paura permettono di accostare la spregiudicatezza dei Don Caballero e la fermezza degli Henry Cow (la preziosissima “March Of The Rare Bird”, altresì chiosato: del crossover tutto gusto ed inventiva), di lanciarsi in appassionanti contese prog-funk (il groove micidiale di “Malingerer”), di levare in alto gli scudi e lanciarsi a capofitto nella mischia (“Schizophrenzy”).

Sempre e solo Verità e Libertà, insomma. Le doti che più incutono timore, che più vengono rifuggite, senza le quali “Heavy Meddlers” non esisterebbe. Gettate via le classifiche del 2014, c’è bisogno di un nuovo inventario.

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Voto degli utenti: 4,5/10 in media su 1 voto.
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andy capp 4,5/10

C Commenti

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Paolo Nuzzi alle 10:32 del 30 gennaio 2015 ha scritto:

Mi hai incuriosito. Cercherò e farotti sapere. Nel mentre, complimenti

Utente non più registrato alle 14:05 del 30 gennaio 2015 ha scritto:

Coraggioso album strumentale di progressive rock (vivo e vegeto e sempre in grado di sorprendermi…): intarsi chitarristici e assoli di violino tesi a creare una complessa molteplicità di temi senza mai perdere di vista l’aspetto melodico.

Musica dotata di autentica personalità in cui intravedo le lezioni di King Crimson e Mahavishnu Orchestra, Canterbury e psichedelia floydiana, jazz e funk.

Altro colpo di coda del 2014 che, per l’ennesima volta, rimescola la mia classifica.