R Recensione

8/10

Run-DMC

Raising Hell

Ventuno anni. Ecco quanto è passato da Raising Hell, l’epocale terzo album dei Run-DMC (celebre trio newyorchese composto dai rapper Run e DMC e dal dj Jam Master Jay, tragicamente scomparso il 30 ottobre 2002): il primo a sdoganare alle grandi masse l’hip hop ed il primo a tentare timidi flirts col rock.

Questa, oltre ad essere musica è anche e soprattutto storia. E non si può descrivere questo (fondamentale) album soltanto da un punto di vista qualitativo: bisogna chiaramente valutare l’impatto che esso ha avuto sul pubblico, sui mass-media e su tutti gli artisti a venire. Ascoltato oggi il sound è datato e, verrebbe da dire, (quasi) preistorico, ma non ha senso meravigliarsi dell’ingenuità di certe soluzioni musicali: senza i Run-DMC non potremmo goderci ora i cLoUDDEAD o Madlib, Dizzee Rascal o Mos Def e neppure tanto crossover che ci ha accompagnato per tutti gli anni ’90.

Le tracce sono molto veloci e cariche e non è difficile immaginare quanto fossero perfette per i clubs dell’epoca, pur suonando irrimediabilmente sgraziate per noi (abituati come siamo al fluire morbido del beat dei giorni nostri): le basi spesso sono una sequenza perfettamente organizzata di break di batteria da standard jazz e funk, giostrati alla perfezione da quel maestro del taglia-e-cuci che era Jam Master Jay (esemplare da questo punto di vista è sicuramente l’iniziale Peter Piper).

Il suono è sempre curatissimo, ma d’altronde non ci si può aspettare diversamente dato che la produzione è affidata a due mostri del genere come Rick Rubin e Russel Simons.

Il ritmo è altissimo per tutto il disco, non lascia un solo attimo per respirare, e tra tutti i pezzi sicuramente risalta l’hit Walk This Way che vede la partecipazione degli Aerosmith ed è un notevole quanto immaturo prodromo di quanto faranno Rage Against The Machine, Red Hot Chili Peppers e Faith No More di lì a poco: è infatti il primo esempio di rap rock ad essere entrato nelle case di quasi tutto il mondo, se non semplicemente il primo incoraggiante e divertentissimo esempio di crossover.

E per quanto questo pezzo sia ormai un classico, altrettanto belle e grintose sono sicuramente It’s Tricky (che si attesta sulle stesse coordinate ed è quasi meglio), My Adidas (che è soltanto il prologo di quello che si rivelerà un amore lungo e redditizio tra la cultura hip hop e l’abbigliamento sportivo), Hit It Run (impreziosita da un impacciato quanto groovy tentativo di human beatboxing) e la funkissima e leggermente robotica You Be Illin’. Per non trascurare Proud To Be Black, che si propone come ideale seguito di quella Say It Loud (I’m Black And I’m Proud) che tanto aveva reso orgoglioso James Brown.

Raising Hell è un disco che non può mancare nella vostra collezione: magari non diventerà la colonna sonora delle vostre giornate, ma è impensabile poterlo trascurare. Forse l’hip hop d’oggi ha un debito maggiore verso Wu-Tang Clan e Redman, A Tribe Called Quest e Guru, ma senza l’azione espositiva dei Run-DMC non ci sarebbero stati neppure questi mostri sacri.

V Voti

Voto degli utenti: 8,2/10 in media su 10 voti.
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leax 8/10
B-B-B 9/10

C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 13:59 del 16 maggio 2007 ha scritto:

!

It's Tricky!

simone coacci (ha votato 8 questo disco) alle 18:30 del 8 aprile 2008 ha scritto:

Una bomba! I Run DMC non solo hanno trasformato l'hip-hop nella cruda cronaca della sopravvivenza nel ghetto (senza la sovrastruttura politico-ideologica dei Public Enemy e certo in maniera più illetterata, ma non per questo meno aderente, anzi), sono stati anche i primi a sostituire (o a mescolare) la folta vegetazione di samples provenienti dalla black music con il rock più scurrile e possente. Bella Recensione, We want Hip-Hip, Hip-Hop, Hip-Hop!

unknown alle 23:01 del 11 aprile 2015 ha scritto:

questo disco è stato molto importante per entrare nel mainstream ...... ma il loro disco seminale non è questo ....ma il primo omonimo...... il rap è nato li ...