Red Hot Chili Peppers
One Hot Minute
"One hot minute”, il disco dei Peppers senza John Frusciante del 1995, è certamente uno degli album più controversi degli anni Novanta. Accolto da recensioni spietate, considerato dai più un buco nero, un passaggio a vuoto riscattato poi dal ritorno in formazione del figliol prodigo, grazie al vendutissimo “Californication”. Ma è proprio così?
Occorre fare un salto indietro nel tempo. Dopo l’acclamato “Blood Sugar Sex Magik” i Red Hot Chili Peppers si erano sfaldati. La droga aveva causato l’allontanamento del chitarrista dal gruppo e minato i rapporti tra i membri restanti. Flea e soci decisero di uscire da questo stallo reclutando il miglior sostituto sulla piazza: Dave Navarro, il chitarrista mito dell’alternative nation negli anni Novanta.
Il retaggio hard-psichedelico dell’ex Jane’s Addiction venne giudicato l’ideale per rinvigorire il sound del gruppo negli anni in cui il grunge dominava, e per evitare di proporre una copia del precedente lavoro. Il risultato fu a mio avviso eccellente, e credo si possa tranquillamente considerare “One hot minute” l’ultimo grande album del gruppo californiano, prima della deriva Mtv-friendly degli ultimi anni. L’innesto di Navarro garantì infatti un ventaglio di nuove soluzioni, potenti e variegate, all'impianto funky-crossover della band.
Non fu un inserimento facile, e non mancano alcuni episodi privi di smalto. Ad esempio il soul manierato di “Falling into grace”, o il funky insipido di “Walkabout”: entrambi spenti e involuti, mentre il singolo “Aeroplane”, pur gradevole, è di mero intrattenimento radiofonico. Quando però l’alchimia tra le pirotecnìe della sezione ritmica e le brillanti partiture di Navarro funziona, il divertimento è assicurato. Esemplare in tal senso il brano di apertura, “Warped”. Le interazioni tra il martellante basso di Flea, il poderoso drumming di Chad Smith, le fenomenali intuizioni hard-lisergiche di Navarro e la voce filtrata di Anthony Kiedis creano un groove strepitoso: certamente uno dei migliori pezzi nell’intero repertorio dei Peppers, in grado di rivaleggiare col meglio del rock americano del periodo. Notevole è anche il tourbillon ritmico di “One big Mop”, vivacizzato da improvvisazioni nel mezzo, mentre “Shallow be thy game” offre una moderna, anfetaminica versione dei Cream.
Il tocco di Navarro si fa sentire anche nelle ballate, uno dei marchi di fabbrica della band. “My friends” e “Tearjerker” presentano suoni limpidi e sognanti, mentre le struggenti ed elegiache “Deep kick” e “Transcending” alternano sapientemente barocchi ghirigori a esplosioni chitarristiche da manuale. Apice dell’album è però la sontuosa title-track: sei minuti in cui Navarro dà il meglio di se, disegnando traiettorie wave-psichedeliche che si inseriscono alla perfezione nel sincopato tessuto ritmico della band, e sfociano in atmosfere rarefatte, accostabili ai migliori momenti dei Jane’s Addiction.
Un album certamente da riscoprire.
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