One Day As A Lion
One Day as a Lion
Adesso aspettiamo anche “Chinese Democracy” dei Guns n’ Roses.
Eccolo qua, l’atteso progetto solista di Zack de La Rocha dopo lo scioglimento dei Rage Against the Machine. State tranquilli, i R.AT.M. non si sono sciolti di nuovo. One Day As A Lion è il progetto solista messo in cantiere da Zack nel lontano 1999. Da allora molti di noi hanno rinunciato ai “Fuck u i won’t do what ya tell me”, trovato un impiego in banca, sottoscritto un mutuo trentennale, si sono sposati e hanno messo al mondo qualche bel marmocchio.
Nello stesso periodo Zack de La Rocha cercava la strada per fare musica lontano da Tom Morello e dagli altri ex-soci. E mentre questi ultimi sfioravano un inspiegabile colpo grosso figlio di frequentazioni pregiudizievoli (tale Chris Cornell), lo spaesato Zack millantava collaborazioni con Roni Size, ?uestlove ed El-P, registrava singoli brani con D.j. Shadow e cestinava interi album scritti con Trent Reznor.
Dopo dieci anni i Rage Agaist the Machine sono di nuovo in tour, e Zack de La Rocha pubblica il primo risultato del suo percorso solista, che ormai dobbiamo chiamare side-project.
One Day As A Lion è un duo formato da Zack (voce e tastiere manipolate) e dall’ex Mars Volta Jon Theodore (batteria). Nient’altro. I due confezionano cinque vere e proprie “bombtracks” al vetriolo, scagliate con rabbia contro il tentativo politico di spettacolarizzare l’architettura e l’edilizia metropolitana allo scopo di distogliere l’attenzione del mondo dal problema della povertà e del degrado.
“Wild International” è la cosa più simile ai R.A.T.M. che si sia mai ascoltata, con de La Rocha assoluto protagonista tra l’enfasi politica delle rime (“Si dice che in guerra la prima vittima sia la verità … “) e il suono delle tastiere che si avvicina straordinariamente a quello della chitarre di Tom Morello. In“Ocean Wave”appaiono piccole venature melodiche nella voce di Zack, che, tra accelerazioni ritmiche e vortici sferraglianti, sembra addirittura cantare. “Last letter” mette in evidenza le immense capacità di Jon Theodore, che massacra le pelli della sua batteria creando un’atmosfera da jam-session tra Led Zeppelin, Suicide e Public Enemy. “If you fear dying” è ancora Rage Against the Machine (periodo “Bulls on Parade”), mentre la title-track conclusiva è il pezzo più ricercato, perfettamente bilanciato tra controtempi ritmici, tastiere ribassate e il solito, verboso “flow” vocale.
Venti minuti appena, nei quali ci si ritrova a pensare che forse siamo ancora in tempo a mandare tutto a fare in culo e vivere, finalmente, il nostro giorno da leoni.
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