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9/10

Mark Hollis

Mark Hollis

Difficile scrivere qualcosa di sensato su un artista che definirei un visionario, un creativo o, meglio, un poeta.

Sì, perché Mark Hollis questo è stato e per sempre resterà, con la sua capacità di sussurrare, di suscitare, di declinare un verbo che è sfumatura, dettaglio. Un'emozione appena abbozzata all'apparenza, ma che in realtà disvela un universo di diafana e rara bellezza.

Lui, che attraverso la celeberrima sigla Talk Talk aveva scalato velocemente le classifiche con un pop raffinato, easy listening, ma di grana grossa e rara classe (si prendano “Such A Shame”, “It's My Life” giusto per citare le più celebri) ed allo stesso tempo aveva avuto il coraggio di cambiare radicalmente pagina e guardare in faccia al jazz e alla musica d'autore stra-fregandosene altamente di pop, lustrini e miliardi con dischi come “Spirit Of Eden” e “Laughing Stock in cui il silenzio, il levare, l'assottigliare, il sussurrare, rappresentavano e consacravano un nuovo modo di fare musica, arte con la A maiuscola, poesia per l'appunto.

È da qui che bisogna partire per lasciarsi rapire dagli ieratici accordi di pianoforte e dalla voce, che, poco più di un soffio, declama versi ermetici e contemplativi (“The Colour of Spring”), un lento salmodiare dell’harmonium che in maniera carezzevole accompagna la melodia imperdibile di “The Watershed”, che si scioglie in un solo di tromba da antologia.

La trama sonora si contrae e si espande, complice la selva di strumenti a disposizione: il su citato harmonium, la tromba, due clarinetti, un’armonica, un flauto, un corno inglese (!), le chitarre e l’onnipresente pianoforte che entrano in punta di piedi e disegnano poche note, una o due tracce appena abbozzate a comporre uno strato sempre più fitto e che scava in profondità nei recessi dell’anima.

Il silenzio, inteso come parte fondamentale del discorso musicale, invade lo spazio tra un accordo ed un altro, un po’ come un Paul Bley perso tra le brulle dell’inconscio: “Mio Dio senti la mia pelle inciampare, senza più alcuno scampolo di vita, le mie stagioni si susseguono avendo vissuto in tempi molto più giovani. Non c’è rimasta più vita che possa brillare per me” (“Inside Looking Out”).

A dispetto della disperazione del testo, c’è una purificazione, una catarsi, un ricongiungersi in pace con l’armonia dell’universo e delle piccole cose.

Un cantore dell’assenza è, Mark; un’ombra che preferisce defilarsi piuttosto che stare sotto i riflettori. Un dono, quello di scomparire, per essere presenti, tra le pieghe di un’anima errante, che sorseggia istanti di eterno: “The Gift”, che si dipana in appena quattro minuti di rassegnata malinconia a tratteggiare gli insoliti misteri del creato.

Sono squarci di eterno, che dapprima lasciano attoniti, poi indifferenti, infine ti risucchiano in un vortice di estasi e pacificazione, una volta entrati dentro questa straordinaria poetica.

Esempio calzante, “A Life (1895-1925)”: una poesia ermetica sulle giovani vite spazzate via da una guerra assurda, le cui parole affidate al vento si possono udire unirsi a Mark in un intrecciarsi sognante di pianoforte chitarre acustiche, flauto e harmonium.

Una lunga e carezzevole nenia che profuma di vita e di speranza. Il disco esce nel 1998 come progetto abortito dei Talk Talk, inizialmente intitolato “The Mountain Of The Moon”, poi divenuto l’omonima, unica fatica solista di Mark Hollis per l’abbandono di Paul Webb prima e di Lee Harris poi.

La solitudine, che qui si erge quasi a epitome di grandezza, sarà la sua avventura nei 25 anni successivi, fino a scomparire, questa volta per sempre. 

Perché, purtroppo, il buon Mark è ritornato tra la polvere delle stelle lo scorso febbraio, a soli 64 anni.

Uno shock dal quale non ci siamo ancora ripresi. Per fortuna l’arte sopravvive e si prolunga nell'eterno: “And I’m home again, run along my child, for the water’s blood and so the the sea. Heaven burn me, should I swear to fight one more (A New Gerusalem”). Ciao Mark, ci vediamo dall'altra parte della mezzanotte.

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Voto degli utenti: 9,2/10 in media su 3 voti.
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hotstone 9,5/10

C Commenti

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theRaven (ha votato 9 questo disco) alle 9:24 del 6 aprile 2020 ha scritto:

Probabilmente il più grande e riuscito cambiamento di rotta, quello dei Talk Talk; questo disco di un niente sotto i lavori usciti a nome del gruppo.

hotstone (ha votato 9,5 questo disco) alle 20:53 del 28 aprile 2020 ha scritto:

Mi inchino davanti alla buona anima di Mark Hollis. Grande disco

Vorrei segnalare anche i lavori degli altri due componenti dei Tal Talk Paul Webb e Lee Harris sotto il nome di O'Rang . Possiedo il disco Herd of instinct che ad oggi è quasi introvabile .