The Antlers
Burst Apart
Con “Hospice” gli Antlers hanno esplorato l’‘epicità’ insita nel dolore e nella perdita, provocata da ferite aperte di un amore conclusosi male (è un eufemismo, chiaro…), metaforizzato in un disperato legame (dalla continua oscillazione tra processi simbiotici e d’individuazione; esplicativa la copertina) tra una malata terminale e - la psiche straziata di – chi l’assiste. Un’autobiografia sublimata, quella di Peter Silberman, in un ‘concept’ dal tratto decisamente ‘borderline’, fatto d’inquietanti rimandi all’istintività decadente (e onirica) della poetessa Sylvia Plath, nonché al lirismo dolente di Leonard Michaels – in “Sylvia” appunto (<<The parallels between my story and his were unsettling, so that certainly seeped in>> da un’intervista a bostonist.com). Il disco si è così dimostrato, nel tempo, uno di quei rari alberi di disperazione individuale che, non precipitando in foreste vuote - e c’erano tutti i presupposti perché ciò accadesse con “Hospice”, a partire dall’iniziale autoproduzione- , sono invece ‘schiantati’ direttamente nei cuori ‘feriti’ di migliaia di ascoltatori. Facendosi sentire; eccome. Un lavoro complesso, a tratti infido, disarmonico e urticante all’orecchio - e nell’animo – di primo acchito, fonte di riflessione, ma anche disperazione e catarsi quando metabolizzato. E se la stratificazione (il wall of sound shoegaze, tremendamente ‘epico’, di “Sylvia”, e quello invece più ‘morbido’ di “Bear” ) di un suono spesso ‘reiterato’ (lo strimpellio ossessivo di “Two”; il piano e la marcia pesante di “Kattering”; l’ammaliante circolarità del synth di “Atrophy”) e sempre lo-fi - ma anche diluito da un ambient ‘flou’ -, pare in “Hospice” funzione di una resa ‘drammaturgica’ delle liriche di Silberman, in “Burst Apart”, nuovo album degli Antlers - licenziato a due anni di distanza dalla precedente release - la componente musicale viene invece ‘normalizzata’, facendo maggiormente leva sulle linee melodiche, e su un’attitudine più 'poppy', garantita anche da una produzione molto meno ‘sporca’ e claustrofobica rispetto al recente passato.
In parallelo, permane una certa continuità sul versante ambient, il quale muta sopratutto nella ‘mission’: ad esempio in pezzi come “Putting the dog to sleep”, pezzo incanalato in binari electro atmosferici più ordinati, e relativamente easy-listening.
Normalizzazione, dicevo, la quale è anche conseguenza di un più compatto connubio artistico tra i membri del gruppo (Darby Cicci, piano ed effetti; Michael Lerner, batteria e drum pads), rodato in questi due anni di tour - spesso sold out - in America ed Europa (<<becoming a band was the best thing we could have done>> da un’intervista a whatsonthehifi.com).
E dopo tutto lo ‘strazio’ d’amor patito in “Hospice”, “I Don’t Want Love”, fin dal titolo, pare una vera e propria dichiarazione d’intenti: ci si muove sì sui terreni della nevrosi – l’’ostinato’ chitarristico sul ritornello, allieta, ma è più per contenere una disperazione che c’è, ed ancora sottopelle –, ma più lontani, e al sicuro, dai vertiginosi panorami dark scrutati sul ciglio di una psicosi profondissima. La brezza psych del synth di “French Exit” (Everyone I hold / Holds me strangle sweet and small / I'm not a puppy you'll take home / Don't bother trying to fix my heart) lascia il posto al drumming oscuro e al piglio wave delle chitarre in “Parenthesis” (da applausi la linea di basso che si materializza durante la prima strofa); la resa dub, e la posa trip hop di “No Windows” convincono tanto quanto "Rolled Together”, tutta chill-out/jazzy, nostalgie e french touch (Groove Armada?). Due i pezzi che, specie nel cantato (Bon Iver + Hayden Thorpe + Antony Hegarty: falsetto spettacolare), fanno prevalere il tratto più soul di Silberman: la conclusiva “Putting the Door to Sleep” (I’m not gonna die alone / I don’t think so); l’intro banjo e il proseguo elettrico di “Everynight My Teeth Are Falling Out”. Ed è proprio da quest’ultimo punto, che l’atmosfera entro il disco si fa ben più eterea e onirica (Talk Talk e Cocteau Twins, nel sostrato): dopo la strumentale “Tiptoe”, a spiccare è la suite - ‘dreamy’ - di “Hounds”. Il pezzo, non poi così lontano dalle recenti atmosfere di “Fading Parade” - solo meno lo-fi e dal connotato ben più atmosferico (difficile, ma qui ce la si fa) – è un folk lievemente dark, incantevole nel suo incunearsi in intarsi noir, la cui 'ciclicità' viene contrapposta ad un ambient evanescente, da ‘rifinitura'. Gli ottoni nella coda jazzy (la qualità e quella di “Bear” e "Wake", ossia ottima), poi, chiudono con classe il pezzo. Infine “Corsicana” , priva di ritmica percussiva, gioca tutta su oscillazioni del cristallino giro chitarristico; a corredo del pezzo, un testo che affoga in un rimpianto nevrotico (We’ve lost our chance to run / Now the door’s too hot to touch / We should hold our breath, with mouths together), il quale nasconde un ambient angelico sullo sfondo, che pare ergersi dalla superficie in slow motion.
Come per il precedente disco, anche in questo caso risulta quantomeno complesso tirare le fila di un lavoro che necessita, certamente, di tempo e vissuti per farsi apprezzare. Senza dubbio, c’è da notare una maggior varietà (ma non complessità, tutto sommato) compositiva e di stili rispetto ai precedenti lavori, così come una maggior indipendenza degli Antlers dai vincoli di un tema unificante, radicale, il quale ha forgiato, in modo più (“The Hospice”) o meno (“In the Attic of the Universe") palese l’identità della proposta, in passato. Aumentano le chitarre, più incisive qui, e muta il ruolo del synth (e degli ‘effetti speciali’, manipolati da un magistrale Cicci), che ora pare più orientato verso il ‘soddisfacimento’ della forma canzone. E se si perde per strada un po’ di quella sofferta e straziante alchimia simbolica, da concept, di "Hospice", certo "Burst Apart" non delude né in termini di destrezza lirica (Silberman, paroliere tra i più convincenti in circolazione) né per inclinazione - e, sotto certi aspetti, genialità – musicale. Disco, forse, dal ‘carisma’ inferiore rispetto a “Hospice”, ma non meno degno di considerazione e apprezzamento.
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