Daniel Knox
Daniel Knox
Daniel Knox lavora come proiezionista al Music Box Theatre di Chicago. Ha imparato a suonare il piano da solo, per lo più esercitandosi sugli strumenti nelle hall degli alberghi, dove si intrufolava a sbafo, venendone spesso cacciato. Ah, anche da scuola è stato cacciato: due volte. Ama vagare di notte e fare fotografie spesso comicamente noir. Si fa ritrarre nella copertina del suo ultimo disco come un maudit di fine Ottocento stremato dallassenzio. È nato nel 1980. E ha fatto uno degli album più emozionanti dellanno.
Nato da due collaborazioni col fotografo John Atwood, il disco (il terzo di Knox) si costruisce su una rivisitazione dei luoghi dellinfanzia (a Springfield, IL), il che riporta alla mente mille altri lavori, tra cui molti recenti. Ma laddove Arcade Fire o Okkervil River hanno riattraversato la loro mitologia suburbana nel tentativo di ricostruire una mappa, Knox finisce per sparpagliare tutto il proprio lavoro tra frammenti, macerie e abbandono.
Non è un caso se Knox ha collaborato con David Lynch e Jarvis Cocker, e non per caso questo disco piacerà a chi ama certi compassati The National notturni, sinfonici e assieme senza speranza, o certi romanzieri americani (dico il Roth di Everyman) che sorprendono la decadenza dentro lAmerica metropolitana e ipercapitalistica. Il baritono di Knox, ricchissimo di vibrati e pose da crooner daltri tempi, inserito in un contesto orchestrale sfacciatamente rétro, crea uno straniamento funzionalissimo a simboleggiare il disfacimento americano, impazzito e privo di direzione: non si va più da nessuna parte, verso nessun tempo, mentre violini, viole, violoncelli, vibrafono (suonato da Thor Harris, anche Swans e Shearwater), trombone, eufonio, sassofono, sopra il piano suonato da Knox, dissotterrano sadicamente le radici.
Epperò Daniel Knox non è un disco elegiaco, di nostalgica ricordanza. Nelle corde di Knox cè anche la provocazione, listrionismo, il belcanto plateale (Blue Car), il gesto teatrale (14 15 111), il piglio barocco (By the Venture), la briosità inattesa con un wit quasi alla Noel Coward (Dont Touch Me), la visionarietà cinematografica (Car Blue). Per capirci: Knox suona anche la melodica (ossia la tastiera a bocca), e lintero disco è attraversato da aggiustamenti e orpelli elettronici che sfocano, che mettono il dramma in farsa, che complicano. Cè anche Neil Hannon, insomma. E Jarvis, naturalmente.
Così è soprattutto nei pezzi scuri che lalbum brilla, dalla marcetta detritica ma intrisa di lirismo Incident at White Hen allelegia per un centro commerciale abbandonato di White Oaks Mall (precisamente: non una canzone su un centro commerciale, ma sul passare con la macchina accanto a un centro commerciale «full of kiosks and shuttered things that are no longer open»). Splendida High Pointe Drive, lentissimo inabissamento nel passato tutto piano e archi, coi cimbali solo (ma continuamente, nervosamente) sfiorati: lepica allosso, la riduzione del tema al suo archetipo più intenso, la capacità di andare diritti al denudamento che solo a un americano, difficilmente a un europeo, si può chiedere («in trouble / in trouble afternoon / in trouble / in trouble / in your room / for looking through the hole at the girl next door / who would brush her sisters hair a hundred times»: e poi parte il violino).
Ecco, cè un punto che rappresenta benissimo questo disco: la ballata per tastiera in stile carillon e melodica David Charmichael termina con un minuto di tensione sospesa, fatta di droni di archi e trombone. La dolcezza color seppia della provincia finisce nellumidore sinistro e inquietante di un vicolo cieco metropolitano. Qua dentro non cè niente di risolto. Nessuna conciliazione tra gli opposti che vengono tra loro miscelati. È un disco pieno di dubbi e cose perdute. Apparentemente fuori dal tempo, ma come pochi altri dischi recenti "dentro" all'oggi. Irrisolto, e perciò magnetico.
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