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R Recensione

7,5/10

Iron and Wine

Ghost On Ghost

Allontanandosi con passi prudenti ma sicuri dagli esordi neo-folk e lo-fi, Iron & Wine ha messo a punto nel tempo un’idea sempre più personale e strutturata di canzone pop a tutto tondo. In apparenza un po’ nostalgica e revisionista ma, osservandone con più attenzione lo sviluppo, coerente con la sua poetica sdrucciola, sognante e crepuscolare, aperta a cambi e variazioni che modificano dall’interno le forme pur lasciandone intatto lo spirito e la sostanza. Un percorso ellittico e defilato che lo ha portato a poco a poco al centro della scena musicale americana degli ultimi anni, grazie ad album più meditati e rifiniti nella definizione di sonorità e arrangiamenti come “The Shepherd’s Dog” (2007) e (soprattutto) “Kiss Each Other Clean” (2011), di cui questo “Ghost On Ghost” rappresenta la logica prosecuzione e, probabilmente, un punto d’arrivo. Dal predecessore derivano le atmosfere “sunny”, west-coast con una punta di barocchismo pop anni 70 ed elementi black e jazzy che, partendo da una vena country-soul già ben presente nel suo bagaglio musicale, si fanno in questa veste più espliciti ed articolati, traslando  l’opera ad un livello superiore di contaminazione e complessità –  la presenza di ritmi dispari e di digressioni strumentali, l’uso delicato ma più esteso di cori, archi e fiati – un’eleganza che tuttavia non soffoca la ricchezza (e la freschezza) della scrittura e delle melodie.

Ritroviamo, qui, un Iron & Wine forse più spensierato e meno malinconico che in passato, uno sguardo a ritroso verso stagioni più immaginarie che vissute, fantasmi che non spaventano ma si muovono fra noi in pieno giorno, fra sogno e realtà, ricordo e proiezione, dimensioni parallele ma contigue dove ciò che è stato (e che siamo stati) e ciò che poteva essere si mescolano con una certa libertà, senza l’occlusione del tempo o del rimpianto. Atmosfere e suggestioni che danno modo all’autore di riflettere, in versi che sembrano tratteggiati con colori ad olio, sui temi che più gli sono cari: stralunate vignette bucoliche con riferimenti ironici alla propria educazione cattolica (“Caught In The Briars”, “Sundown (Back In The Briars)”), il vagabondare fra tradizione rurale e liberatorie fughe “kerouachiane” (“The Desert Babbler”), l’amore puro e infantile che ogni uomo ha perso da qualche parte e vorrebbe ritrovare (“Joy”, “Grass Windows”), il ciclo della natura come musica infinita di cui c’è concesso cantare solo qualche strofa (“Singers Of The Endless Song”).

Lo sostiene, all’interno di tutto questo, una notevole varietà di spunti e soluzioni che gli consentono di passare con agilità dal pop-soul morbido e confidenziale di “The Desert Babbler” e “Grass Windows”, a quello sofisticato e californiano, in odor di James Taylor o Jackson Browne, di “New Mexico’s Breeze” e “Baby Center Stage”, alla quasi beatlesiana “Graces For Saints And Ramblers”; dal classic blues languido, sfumato e retrò di “Joy” , al groove poliritmico di “Caught In The Briars”, impreziosita da ricami di fiati e archi (sottotraccia), al taglio funk-jazz nervoso e screziato, basso (del “dylaniano” e sempre impeccabile Tony Garnier) e sax in evidenza, dell’eccellente “Low Light Buddy Of Mine”, giungendo agli accostamenti più surreali e promiscui dell’ottima “Singers Of The Endless Song”, che suona un po’ come se Neil Young cantasse su un pezzo dei Parliament più sobri e lineari e soprattutto “Lover’s Revolution”, la più freak e anni 60, col ritmo che accelera progressivamente e si divincola in un assolo jazzistico prima di ricomporsi nel finale. Tracce dell’Iron & Wine più roots e cantautorale si scorgono ancora, con effetti sempre piacevoli e rassicuranti, nel sonetto country e frugale della bella “Winter’s Song” .

“Ghost On Ghost” è, in ultima analisi, un album maturo, curato e perfettamente a fuoco che reinterpreta in chiave pop, e qua e là un po’ manierista, tutta la gamma espressiva del suo autore, aggiungendo un’altra opera riuscita alla sua già nutrita discografia. 

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 8 voti.
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bonnell 6,5/10
REBBY 7/10

C Commenti

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salvatore (ha votato 8 questo disco) alle 15:25 del 6 maggio 2013 ha scritto:

Probabilmente sarò l'unico qui, ma io lo preferisco sia a "The Shepherd's Dog", che era già fantastico, che a "Kiss Each Other Clean", pesantuccio in alcuni passaggi e un po' troppo country-oriented (e il country non è propriamente la mia cup of tea). Per certi versi questo "Ghost on Ghost" prosegue, come spieghi bene tu, il discorso intrapreso con i due dischi precedenti e perfeziona, a mio avviso, la mira nel suono - più lucido, ma non patinato - e nella direzione - pop -che risulta più definita.

Brani preferiti - copiando/incollando da quanto scrissi nel forum -: l'indiepop di "Grace for Saints and Ramblers", con andamento spudoratamente bell&sebastiano, la delicatezza del singolo "Joy", le atmosfere anni'50 di "The Desert Bubbler", il classicissimo folkpop di "Cought in the Briars", con un ritornello vincente e un arrangiamento troppo di classe, il country/soul intimista di "Winter Prayers" e poi la coolness, in odore easy listening, di "New Mexico's No Breeze" (ci sento addirittura echi Bee Gees...). Apprezzo un po' meno le derive jazzy che però, dosate con cura come sono, non appesantiscono l'insieme e non snaturano la piacevolezza di ascolto. Gran bel disco e gran bella recensione! Bravo Simon

simone coacci, autore, alle 16:07 del 6 maggio 2013 ha scritto:

Vero, i Bee Gees. Ecco il gruppo che non mi veniva mentre scrivevo. Affiorano qua e là (anche nella melodia affusolata di "The Desert Babbler" per dire). .

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 9:23 del primo giugno 2013 ha scritto:

Il lavoro è buono, anche se forse si perde un po' nel finale.

Franz Bungaro (ha votato 7,5 questo disco) alle 17:15 del primo giugno 2013 ha scritto:

io lo sto ascoltando da tanto tempo ormai, e si sta ficcando sotto la pelle...ha dei cali, senza dubbio, ma sono compensati da momenti esaltanti veramente...una carezza melodica d'altri tempi.

NathanAdler77 (ha votato 7,5 questo disco) alle 20:24 del 5 giugno 2013 ha scritto:

Tra le migliori prove del barbuto, una personale (e riuscita) sintesi del suo amore per il pop-soul e la west coast d'autore anni Settanta. Ha equilibrio e calore, quello che, fondamentalmente, mancava all'asettico e un po' imbolsito predecessore: bello l'intreccio jazzy in "Lover's Revolution" e il rhythm and blues vanmorrisoniano di "Low Light Buddy Of Mine". Nei cori easyfolk di "Grace For Saints And Ramblers" scorgo in filigrana la sagoma luminosa di Stevie Nicks, e ci sta benissimo.

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 18:10 del 31 maggio 2014 ha scritto:

"Ghost on ghost è, in ultima analisi, un album maturo, curato e perfettamente a fuoco che reinterpreta in chiave pop, e qua è la un po' manierista, tutta la gamma espressiva del suo autore, aggiungendo un'altra opera riuscita alla sua discografia."

D'accordissimo. Easy listening di gran classe, ma The shepperd's dog e Kiss each other clean rimangono, a mio parere, i vertici della sua produzione.