Daniel Johnston
Fear Yourself
Un uomo in fiamme Daniel Johnston. La vita non gli ha regalato nulla. Se non un talento straordinario. Quello di scrivere canzoni. Una febbre che va e viene, che ti mette in ginocchio. Davanti a Dio. Quel Dio che gli ha toccato il cuore. E poi nulla è stato come prima. Le fiamme di un’ispirazione purissima che gli bruciano dentro. Che bruciano la sua esistenza. Ispirazione candida, trasparente, splendidamente oscura. Una fiamma bianca come un fuoco fatuo. Come la risata aliena di un bambino. Quasi impossibile poterla ricondurre ad effimero supporto tecnico. Alla volgarità della tecnica. All’oscenità della democrazia. Essere all’esterno di un interno che non esiste. Non esiste.
Quasi impossibile dicevo. Mark “Sparklehorse” Linkous ci è riuscito, con questo che forse è il capolavoro di Daniel Jonhston. Ed è magia. Pura. Polvere di stelle, arcobaleni pop, girotondi – se ancora è lecito utilizzare questa parola – rock. Riuscire a mettere a fuoco la visione senza perdere un minimo della vertigine in essa racchiusa. Rappresentare la pura follia creativa del genio, senza intuire minimamente di esserlo. Riuscire a equilibrare qualcosa di intimamente, ontologicamente e naturalmente squilibrato. Far camminare l’albatros sulla tolda della nave. E far tacere (per sempre) i soliti stupidi marinai.
L’intro di Now muove da qui. È lo stesso Sparklehorse a svelarci il segreto. Il lieto fine, se così lo si vuole vedere. Nei primi attimi è una radio a transistor impazzita che emette rock’n’roll lunare perso nelle galassie. E che torna sotto forma di allucinazione (sonora). Poi le vene si aprono come in orgasmo, piene di endorfina. La metamorfosi. Il corpo gravato dalle sofferenze, schiacciato dal peso, deturpato dalla severità, brucia in sostanza angelica. Qualcosa di fantastica, cristallina incredulità. Daniel che gioca con il fuoco, scherza con il fuoco, e poi prende letteralmente fuoco. E vola. In alto. Sopra. Lassù. Syrup of tears è puro distillato di talento johnstoniano; la scrittura ispirata e gli arrangiamenti classicheggianti la fanno schiudere a squarci elegiaci. Mountain top è l’unico rock possibile oggi, che del rock ci sono rimaste solo le macchiette. Come un Bruce Springsteen autistico, e per questo infinitamente più grande. Avanti così con gli apici di Fish, Power of love e Love not dead. Love: l’amore che torna sempre dunque. Qualcosa che Daniel cerca e mai troverà. Qualcosa che è alieno dal suo destino, come lui stesso è alieno a questo tempo. Per lui esiste solo il tempo zero, quello della continua immaginazione. Di creature che vogliono ucciderlo e di infermiere tettone. Si chiude (appunto) con la sguaiata Living it for the moment. Solo la follia può salvarti. E farti rimanere bambino. Daniel lo sa.
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