Westkust
Last Forever
Cè sempre un disco shoegaze dellanno, uguale, se non a quello dellanno precedente, a quello di due anni prima, e debitore dei soliti nomi, per cui è inevitabile usare i soliti termini, e il fuzz, e il gain, e la pece sonora, e il muro di distorsione à la My Bloody Valentine, e tutti gli altri rimandi pienamente legittimi, per non dire necessari, se si vuole dare lidea di un genere che è identico a se stesso da venticinque anni ma che continua a incarnarsi in dischi capaci ancora, saltuariamente, di rinnovare quelloriginaria potenza. Il disco di debutto degli svedesi Westkust fa parte di questa categoria, e perciò vale lascolto.
Lo distinguono dalla massa di dischi shoegaze: 1) lalternanza, nelle voci, di Gustav Anderson e Julia Bjernelind, quasi sempre intrecciate allinterno della stessa canzone, per effetti di particolare dinamismo, tanto più se si considera che 2) quasi tutti i pezzi mantengono un ritmo elevato, e le ballate sono di fatto assenti, mentre a tratti si può avere limpressione 3) di ascoltare una band twee o indie pop, mettiamo i The Pains of Being Pure at Heart, con aggiunta di muscoli (e gain e fuzz), come in Swirl o Drown (che, per inciso, sono titoli talmente shoegaze da sembrare parodie di titoli shoegaze), o ancor più Dishwasher, che è in realtà una semplice variazione sul tema della prima, o ancor più Easy, che confrontare con lattacco della Stay Alive dei PBPH smaschera piuttosto clamorosamente. A volte emerge il suono di una chitarra acustica (0700), a volte le melodie e i riff su cui si costruiscono luccicano più di altri (Weekends).
La brevità del disco evita la saturazione, ma daltronde è difficile trovare tra i nove pezzi un momento di stanca, isolato piuttosto nella coda noise di qualche pezzo (Summer 3D). Aiutano a non annoiarsi, anche, i paradigmi piuttosto antitetici a cui rimandano le due voci: punkettosa e sgraziata quella maschile, ferma e geometrica, come se uscisse da un disco indie pop svedese qualsiasi, quella femminile. L'incrocio è fatale, in fondo al disco, in Another Day, il cui riffettone emo in coda potrebbe, in effetti, continuare per sempre. Che è poi il titolo del disco. Ambizioso. Ma se ogni anno offrisse un disco shoegaze così, perché no: sarebbe possibile.
Tweet