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7/10

Chad VanGaalen

Soft Airplane

Chad VanGaalen è un tranquillone dalla faccia un po’ nerd che vivacchia a Calgary con la famiglia. Canta, dipinge, compone, costruisce strumenti, crea. È eclettico, un tuttofare, un MacGyver della musica, un bimbetto cresciuto. E con il terzo disco dimostra che c’è tutto un Canada da scoprire oltre a quello sovresposto nelle riviste indie-rock.

La sua poetica si fonda su una domesticità fiabesca tradotta in chiave folk-rock, con inserti elettronici che in questo “Soft Airplane” si fanno più invasivi rispetto al passato. Prendete Beck e mettetelo in un asilo, o nel giardino di casa con i giocattoli dell’infanzia sparsi tra le piante. Prendete Neil Young e fatelo giocare con Beck. E magari aggiungeteci i Flaming Lips vestiti da Pavement. L’aereo di carta di VanGaalen inizierà a volare.

La peculiarità di questo disco è il contrasto tra l’effetto sonoro e i temi trattati: tutto questo trionfo di twee-folk colorato, infatti, fa da sfondo melodico a una bizzarra (e a tratti decisamente inquietante) riflessione sulla morte. Ne esce una sorta di concept album funebre che suona però come la colonna sonora di una festa di compleanno (vedere alla voce “The Meaning Of 8” dei Cloud Cult, i quali un certo culto ctonio lo devono aver prodotto dopo anni di ottimi dischi).

Proprio a Craig Minowa, mente pensante dei Cloud Cult, viene da pensare per la voce di VanGaalen, cherubina e assottigliata, infantile anch’essa, quando non efebica, ma senza diventare stucchevole. Deliziosa, ad esempio, nell’attacco guidato dal banjo di “Willow Tree”, come d’altronde in tutta la prima parte dell’album, più sobria e suonata (così la delicata litania autunnale di “Cries Of The Dead”, tra i momenti più felici).

Nella seconda parte aumentano i disturbi elettronici, interpolati con insistenza alle consuete trame melodiche, fino a passaggi di autentico glitch (il finale di “Old Man + The Sea”) e rumorismo spinto (il treno riprodotto in “Rabid Bits Of Time”, l’intera “Frozen Energon”). Quando non è usata con la zappa, l’elettronica si dimostra la soluzione ideale per decorare le storie mortuarie narrate dal canadese: “TMNT Mask” si distende su una ritmica up-tempo ipnotica e torbida (ma a metà spunta un’armonica!), mentre in “Phantom Anthills” c’è aria da primi Architecture In Helsinki. D’altra parte i disegni della copertina dichiarano già la parentela con gli australiani, alla quale si può aggiungere, per linea (di scuola) materna, quella con i Tilly & The Wall.

Che poi ci si imbatta in qualche episodio confuso, in cui le troppe idee di VanGaalen si accavallano fino alla storpiatura (“Poisonous Heads”, “Old Man + The Sea”) poco importa, se il tutto è compensato da pezzi straordinari come “Molten Light”, in cui una storia di tenebrosa vendetta stregonesca si sviluppa tra rifiniture di fisarmonica e atmosfere noir. I Decemberists di “The Shankill Butchers” docent.

Innamorarsi della visionarietà quotidiana di VanGaalen con l’autunno alle porte sembra una bella occupazione. E pazienza se si tratta solo di dolci illusioni («I thought you were the moon in the sky, but it turned out you were just a streetlight», “City Of Electric Light”), perché di ‘sti tempi ce n’è proprio bisogno.

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