British Sea Power
Do You Like Rock Music?
Avevano fatto gridare al miracolo i British Sea Power con un esordio sfavillante (correva l’anno 2003 quando usciva l’ottimo The decline of the british sea power) che rimescolava le carte del brit-pop pescando tra le sonorità più squisite degli 80s (le chitarre sbilenche dei Pixies, il raffinato pop-wave degli Echo and the Bunnymen) e strizzando l’occhio ad un certo tipo di punk (ovviamente britannico, alias Buzzcocks) accompagnato da devastazioni noise appena accennate (con i dovuti ringraziamenti ai Sonic Youth).
Il successivo Open season del 2005 perdeva impietosamente il confronto con l’esordio: nonostante il permanere di soffuse sonorità dark-wave il gruppo abbandonava lo sferzante ibridismo degli esordi per un solido quanto inconcludente pop da camera, troppo elaborato (qualcuno ha notato giustamente certe tendenze glam nonchè una certa affinità con i Suede) e languido per competere non solo con il proprio ego passato ma anche con gruppi di maggiore qualità compositiva come Coldplay, Belle and Sebastian, Arcade Fire e Okkervill River.
Si arriva quindi a Do you like rock music?, terzo capitolo della band inglese per il quale sono stati reclutati il batterista Howard Bilerman (ex Arcade Fire) ed Efrim Menuk alla produzione, a dare un tocco di linfa post-rock dall’alto della passata esperienza nei Godspeed You! Black Emperor. In realtà l’influenza di quest’ultimo sul gruppo è ridotta all’osso e senza particolari effetti benefici: scorie post-rock si ritrovano nello strumentale The great skua e in We close our eyes, in cui ci si diverte a dilatare e espandere il tema di All in it, brano d’apertura del disco. Purtroppo il resto del disco non sembra riscattare questi momenti mediocri.
Si salvano episodi scorrevoli e di buon piglio come Lights out for darkier skies (dalla chitarra tagliente e ficcante) e due brani come Down on the ground e A trip out, di fatto gli Stone Roses riletti in chiave revival wave. Al di là di brani semplicemente piatti come Open the door e di classiche ballatone standard di gusto mummificato come No need to cry si nota una certa tendenza a pescare qua e là nel “patrimonio” musicale wave-rock contemporaneo: così se Atom puzza di scialbo brit-pop alla Maximo Park numerosi sono gli spunti che riportano alla mente Editors, Arcade Fire, Killers e soprattutto Interpol di cui i British Sea Power sembrano aver seguito la funesta via verso la ricerca di una epicità esagerata e di una produzione esausta di arrangiamenti.
La sensazione è che manchino spontaneità e freschezza e che spesso in brani di pur elevato spessore compositivo ci sia troppa carne al fuoco. Se canzoni come No lucifer e Waving flags (quest’ultima un pop wave venato di darkeggiante malinconia) sono più scorrevoli ed efficaci il loro contraltare sta in pezzi come All in it e Canvey island in cui si esprime al meglio l’inconcludenza del gruppo. Non resta allora che rimandare a settembre questi giovanotti inglesi, sperando che rimettano le loro ottime capacità melodiche al servizio di una musica più sincera e genuina.
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