The Silent Years
The Silent Years
Sono di Detroit, ma non lo diresti, persi come sono in sonorità che ondeggiano felicemente tra le due sponde dellAtlantico. Escono nel 2006 con questo esordio omonimo, ma potrebbero sbucare anche dalle pieghe dei 90. Guardano indietro ma non sono revivalisti, li si potrebbe più che altro definire classici. Non sono particolarmente originali, ma finiscono con il ricordare così tanti gruppi che diviene impossibile mettere su labituale teatrino dei rimandi e delle influenze. Potrebbe forse bastare la parole indie (pop) rock ? Forse no.
Se proprio ci si trovasse con una pistola alla tempia a dover cacciare un nome si potrebbe tirar fuori quello dei Manic Street Preachers: il legame è un timbro da tenore diviso tra potenza ed epos, un piglio muscolare ma romantico, una sensibilità pop dissimulata sotto strati di rumore innocuo, con tre differenze di rilievo: una maggiore (e prevedibile) americanità di fondo, una maggior varietà stilistica e, cosa più importante, la capacità (di cui purtroppo i Manic si sono sempre rivelati privi), di infilare, senza soluzioni di continuità, un buon numero di pezzi più che discreti.
Che davvero qui le istant pop non mancano: su tutte la trascinante No Secrets, posta sapientemente in apertura, ed una Someday baciata da un ritornello daltri tempi. Ma si fanno ricordare anche il college rock springsteeniano di This Town, il folk caldo di Lidocaine e quello blues di Someone to Keep Us Warm, gli avvicendamenti quiete-rumore di No More Magic, il blues pop onirico di Devil Got My Woman ed il melodramma brit di Sharks, dove non possono mancare le chitarre e le assonanza radioheadiane di rito. Si sbanda un po invece sulle traiettorie impervie del suono 80s in The Devil Wears Sunshine.
Ci salutano sognanti sugli arpeggi ondivaghi e placidi di Lost in the Sea che resistono mantrici per due minuti e sgorgano in un sommesso crescendo melodico finale. Molto romantico. Molto bello. E molto pop, appunto.
Tweet