Suede
Dog Man Star
Senza essere mai entrati in uno studio di registrazione i Suede erano già famosi nel circuito londinese come la real next big thing (erano tempi in cui la musical press di Sua Maestà sapeva il fatto suo), un po' per le affidabili credenziali di chi li aveva visti esibirsi nei club, ma anche per la presenza dietro i tamburi di Mike Joyce (l'ex Smiths verrà sostituito dopo appena un promo registrato, oggi rarità del mercato collezionistico).
Dopo il fulminante esordio del 1993 con lalbum omonimo, le aspettative intorno alla band per il decisivo album della conferma erano alle stelle. Considerati tra i più dotati tecnicamente tra i gruppi brit pop del momento, i Suede potevano contare su di una solida sezione ritmica composta dal basso melodico di Mat Osman e dal drumming energico di Simon Gilbert, su un cantante/compositore dalle eccellenti corde vocali come Brett Anderson, e su un chitarrista simil-virtuoso quale Bernard Butler, dallo stile a metà fra Mick Ronson degli Spiders from Mars e lidolo di sempre Johnny Marr, colonna degli Smiths.
I Suede non si lasciano intimidire dalle entusiastiche recensioni o dalle cospicue vendite ottenute con lesordio, con ponderata caparbietà alzano il tiro, dando libero sfogo alla vanità delle loro ambizioni.
Il mantra psichedelico dellapripista Introducing The Band è un preambolo di gusto sopraffino e spalanca le porte a We Are The Pigs e Heroine, energiche tracce neo glam dal retrogusto funesto, le liriche di Brett Anderson titillano le fantasie dei giovanissimi con riferimenti a droghe sintetiche e sesso take away, il cantato è sfacciatamente ambiguo, proprio come Bowie ventanni prima, mentre i ricami chitarristici mai banali di Butler seducono i più maturi appassionati della sei corde.
L'articolato arpeggio per chitarra di The Wild Ones ci regala, forse, la miglior ballata dellintera carriera del gruppo, così come lo stato di profonda depressione morale di Daddys Speeding ci mostra l'ennesima mutazione di Anderson e soci in una glaciale nenia per solo piano e chitarre colme di delay e flanger. New Generation diventa un inno su cui scatenarsi ai concerti, The Power potrebbe essere un outtake di Ziggy Stardust, mentre This Hollywood Life spinge sullacceleratore con chitarre hard al limite della saturazione, la tempesta prima della quiete verrebbe da dire.
Il finale è affidato ad un poker imprevedibile quanto ambizioso, teatralità e soluzioni orchestrali sulla scia degli chansonnier francesi o del mentore Scott Walker: splendide a tal proposito le intensamente drammatiche ma tutt'altro che involute The 2 Of Us e Black Or Blue, mentre la strumentazione di base riemerge nella mini suite The Asphalt World: il cantato ricco di pathos, la lunga sezione centrale strumentale dal mood meditativo, un fiore all'occhiello nella carriera degli Suede.
Il commiato doloroso di Still Life è la torch song definitiva di fine millennio, la traccia si avvale dellarrangiamento dell Orchestra Sinfonica di Londra, sapientemente guidata dalla bacchetta del Maestro Brian Gascoigne e splendidamente baciata dal cantato di Anderson.
Non so francamente quanti altri dischi pop del decennio possano vantare il potere evocativo di questo Dog Man Star: appassionato, teatrale, depravato.
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