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R Recensione

7/10

Jean-Jacques Perrey & David Chazam

ELA

Non conoscevo David Chazam, giovane musicista francese, né tantomeno Jean-Jacques Perrey, che a quanto pare è un gaio novantenne, maestro dell’elettronica, orientato perlopiù alla televisione e all’intrattenimento. Il disco in questione, “ELA”, nuovo di zecca, mi piace sin dalla copertina, decisamente retró, che ricorda nell’artwork gli LP della LineaTre RCA.

Estetica a parte, non resta che mettersi all’ascolto… ma ecco che non appena schiaccio play grido: «Questo è Raymond Scott!». (Per chi non lo sapesse, Scott è davvero uno dei più grandi compositori di musica elettronica del Novecento, specializzato in canzoncine per bambini; ed effettivamente lo stile dei due musicisti d’Oltralpe mi schianta direttamente nel ricordo di “Soothing sounds for baby”, pubblicati negli anni ’60). Passano meno di cinque minuti e mi trovo a gridare di nuovo: «Questi sono i Telex!». (Per chi non lo sapesse i Telex sono un’epica band fondata in Belgio dal compianto Marc Moulin, una delle prime ad aver giocato col techno pop dei Kraftwerk, riempiendolo di effetti sonori e onomatopee, in perfetto stile Looney Tunes. Dischi memorabili furono “Looking for Saint Tropez” e “Neurovision”).

ELA” è descrivile solo tenendo a mente questi due modelli: Raymond Scott da un lato, i Telex dall’altro: Perrey e Chazam si divertono un mondo a inventare filastrocche sonore (“Kid’s Corner” e “Hectic Joker”), a reinventare melodie disneyane (“Electropop Parade” e “The Sponge”), a berciare le cose più strampalate (“What’s Up Duck?” e “Gossipo Perpetuo”), a teorizzare nuovi approcci italo disco (“Chronophonie”) a riproporre vecchie divertentissime registrazioni live (“28th Paradigm”,“Cats In The Night” e “Indicatif Spatial”). Questi due vecchi giovani musicisti, moog in spalla e sequencer in mano, si prendono gioco dell’elettronica per una mezz’oretta, lasciandoci immensamente divertiti. “ELA”, acronimo non ben definito, è dunque un disco molto buono, retaggio di un’epoca elettronica certamente conclusasi, ma che proprio per questo provoca un moto di nostalgia, un desiderio vintage di riandare a quegli anni, a quelle bave di plastica che i sintetizzatori analogici lasciavano nei solchi dei vinili.

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