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R Recensione

7,5/10

Live Footage

Plays Jay Dee

Un appartamento seminterrato di Brooklyn è diventato nel 2008 il laboratorio dei Live Footage, un duo elettroacustico che lavora a stretto contatto con l’arte delle riprese live. Mike Thies e Topu Lyo hanno così pensato di registrare un disco lo-fi originariamente pensato per omaggiare il fine rapper J. Dilla, morto nel 2006 a soli trentadue anni, ma che alla fine è diventato una cosa a se stante, tanto da essere uno dei migliori dischi ascoltati in questo scialbo 2012, stranamente promosso da una casa di moda, la Orisue.

Concepito attraverso l’arte dell'improvvisazione, tra Lyo che suona il violoncello e Thies la batteria e le tastiere (spesso contemporaneamente), la trama compositiva si fa fitta, incorporando l'uso di loop in presa diretta e una manciata di live electronics con campioni preregistrati di ogni sorta. In questo “Plays Jay Dee” tutto suona bene come in “Suzuki” dei Tosca o in “I’m new here” di Gil Scott-Heron, e alla fine pare un disco di remix dei Philadelphia Experiment. Chiari e semplici, cinematografici e sperimentali, orecchiabili e melodici: questi sono i Live Footage ed è assurdo che debbano autoprodurre una cosa tanto bella. I pezzi originali di J. Dilla sono “Lightworks”, “Think twice” e “So far to go”, qui rimodulati analiticamente, lasciando intatto l’umore old-school, tra bassi dub e intermezzi classici, con sferzate di elettronica sintetica, rivestendo il tutto di cut, loop e avanguardia analogica.

Eppure i pezzi suonano così armonici, straordinariamente gradevoli all’orecchio, con una cadenza ritmica che fa impressione per quanto coinvolge, riempiendo l’ascoltatore di gioia e malinconia. Dopo le cover di J. Dilla è la volta di altre riletture, come in “Sometimes”, pezzo acid jazz dei Brand New Heavies, qui interpretata in maniera molto classica, trasformandosi in un favoloso pezzo lounge dalle contaminazioni electro; e tutto è talmente lo-fi che arriva anche il jazz rap dei De La Soul con “Stakes is high”, qui riportata ad uno standard più consono, attraverso la marcata profondità sonora impressa alla sezione ritmica, ma anche in questa traccia non mancano segmenti sintetici ad acidificare il tessuto melodico.

Got till it’s gone”, la hit di Janet Jackson del 1997, è poi coverizzata con tocco rinascimentale, delegando alla fragranza sublime del violoncello il compito di guidare l’intero componimento, risultando così un pezzo pop di musica classica, quasi fossimo in presenza del più sperimentale Ludovico Einaudi.

Orientaleggiante invece il lavoro fatto sul soul di Erykah Badu in “Didn’t cha know”, col violoncello che diventa surbahar e il basso sfacciatamente jazzy a mettere in risalto la carica emozionale contenuta tra le note della cantautrice statunitense. Ultimo pezzo “Runnin’” dei Pharcyde, gruppo hip-hop alternative della costa occidentale americana, qui stravolto a mo’ di fanfara, con l’elettronica a complicare la coerenza di fondo del brano, ora lento ora veloce, ora neoclassico ora cacofonico. E così il disco si conclude dopo solo mezz’ora di viaggio, lasciando nell’animo dell’ascoltatore un suono docile e artigianale, romanticissimo e sperimentale, con una tendenza alla bassa fedeltà che lo rende più unico che raro.

I Live Footage dimostrano con questo presente alla memoria di Jay Dee che il rap, quello di qualità, permette letture ancor più eleganti, e che ogni tanto si può mettere da parte la volgarità dei baggy a culo basso in favore della d’una raffinata cravatta sartoriale. E se ci fosse bisogno di etichettare in qualche modo questa musica, di catalogarla nell’immenso archivio discografico mondiale, chiamatela semplicemente musica urbana contemporanea.

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Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 2 voti.
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