R Recensione

9/10

Oneida

Rated O

Rated O è il secondo capitolo della mastodontica trilogia Thank your parents inaugurata nel 2008 con Preteen Weaponry e, manco a dirlo, è una ficata allucinante! Non sono ortodosso? Me ne frego. In giro vi hanno messo in guardia dai venditori di fumo-facili esaltatori come il sottoscritto? Me ne strafrego. È evidente che chi non riesce a cogliere la sublime grandezza del verbo oneidiano è uno squisito ignorante o una persona molto triste. Sono provocatorio? Si lo sono, e indovinate un po’? Esatto, avete azzeccato: me ne strafrego pure di questo.

D’altronde Rated O è stato una viaggio talmente sballoso da tenermi in estasi tuttora mentre scrivo questa breve nota di divulgazione musicale parzialissimamente critica. Perchè qua è inutile stare a fare tanto i pignoli e i critichini. Rated O è evidentemente un’opera monumentale. Un triplo disco per oltre due ore di musica è una presentazione che ammazzerebbe chiunque sul momento. Ed è inevitabilmente un salto nel vuoto, un suicidio artistico e commerciale inaudito per tutti quelli abituati a pensare che l’attenzione media dedicata a un disco è al massimo una mezzoretta, specie oggi in epoca di peer to peer, quando ascoltare un disco più di due o tre volte è un puro miracolo.

E non pensiamo neanche a tutti quelli che con due ore di musica di simile fattura ci avrebbero campato per dieci anni, spalmando i pezzi migliori su dischi mediocri carichi di riempitivi in uscite periodiche distanziate di due-tre anni. Pazzi davvero gli Oneida, giunti per l’occasione al decimo lungometraggio auditivo (sarebbe riduttivo per loro parlare dei comuni lp) nell’arco di tredici anni. E trovarne uno brutto… Ma non è il caso di ripetere le cronistorie già fornite un anno addietro nello scritto su Preteen Weaponry.

È il caso piuttosto di tornare ad affermare con forza che dopo Rated O niente potrà essere più come prima per chi si vuole avventurare nel campo della psichedelia. La cosa buffa è che lo stesso si può dire per il loro primo grande capolavoro, quell’Each one teach one che infiammò le platee nel 2002 aprendo (appena in ritardo) un decennio che ora viene idealmente chiuso alla grande, confermando l’enorme importanza storica della band newyorkese.

Niente sarà più come prima perché è vero, Rated O non pare inventare nulla di significativo (e in questo è senz’altro inferiore allo stesso Each one teach one), nonostante il primo disco “elettronico” sia una novità più che considerevole nella loro discografia. Ma la struttura concept dell’opera e l’incredibile qualità delle composizioni fanno di Rated O un sublime catalogo di tutto quello che è può denominarsi psichedelia del terzo millennio, o neo-psichedelia, se vi piacciono i giochini di parole con neo-post-avant-e compagnia bella (e a me piacciono in effetti).

Chiunque vorrà coniugare immaginari espansi (più o meno aiutati da droghe di vario tipo) e note lisergiche d’ora in avanti sarà obbligato a guardare all’ingombrante Rated O, modello per chi si voglia avventurare nel campo dell’elettronica acida (primo disco), del rock più o meno passatista e heavy (secondo disco) o dell’estasi mistica krauteggiante (terzo disco). Il primo disco lo dicevamo, è dal punto di vista stilistico la vera novità per gli Oneida, che fino ad ora non avevano certo avuto remore ad usare sintetizzatori, loop ed effetti digitali vari, ma l’avevano sempre fatto partendo da una coscienza genuinamente rock.

Ora invece con un’attitudine rovesciata il risultato è un incredibile disco di elettronica che spazia tra jungle, techno e glitch fondendole con le esperienze più disparate: il viaggione krauto in bilico tra cosmicità Tangerine Dream, modernità ambientale Aphex Twin e circolarità minimal low-fi nel risultato strepitoso di 10:30 at the Oasis, brano per cui si sprecano gli aggettivi nel tentativo di descriverlo: ipnotico, suadente, ansiogeno, spettrale, psicotico, cybernetico e chi più ne ha più ne metta.

Brano anticipato dalla ritmica tutta digitale, ossessiva e martellante della selvaggia minimal-techno di What’s up jackal?, che a sua volta è preceduto dall’avvolgente dub elettrico di Brownout in Lagos: come se i Can si fossero fatti un corso intensivo di elettronica moderna e si fossero lanciati in una jam con Jah Wobble dietro il sapiente mixaggio di Anthony Rother. A chiudere la magnifica quaterna elettronica è Story of O, rocambolesca e straripante. A sconvolgere è soprattutto la batteria free di Kid Millions che con uno stile più unico che raro diventa il motivo portante che crea interesse attorno al furore sonoroclasta di un imponente wall of sound. Fin qui un disco-gioiello sorprendente e degno di entrare negli annali dell’ortodossia elettronica.

Ma poi arriva The human factor che fa storcere il naso a molti con la sua partenza slow-core che non pare portare da nessuna parte e che invece conduce ad una straziante serie di grida totalmente amelodiche. Quella che pare a molti una cantonata pazzesca è in realtà un simbolismo: l’entrata in scena dell’umanità che urla con sgarbo la propria presenza, rivendicando uno spazio tra il mondo alienante, digitale e “virtuale” fin qui predominante. Di fatto The human factor è uno shock concettuale di una potenza incommensurabile che fa di questo primo disco un’opera d’arte distopica, un devastante atto di accusa per quel pericolo già denunciato a suo tempo da un altro capolavoro assoluto come Ok computer dei Radiohead.

Finita l’epopea elettronica il secondo disco spazia tra sonorità più consone agli Oneida, già affrontate in dischi passati come Secret Wars, The Wedding, Happy New Year. Di qui l’impressione di un disco-summa di brani “classici” come l’acida e accattivante The life you preferred, oppure come i trip cosmici Luxury travel e la visionaria-ondeggiante Saturday. C’è poi l’elettro-rock d’assalto di The River, potente e diretta, barcollante tra chitarre acide, noise e fughe alla Motorpsycho; viene infine l’anomala serie di canzoni più heavy, di diretta derivazione hard-rock 70s (la I will haut you dal groove assai fico) o di discendenza ‘90s, come nell’impetuoso stoner elettronico di Ghost in the room, turbine di violenza ossessiva spaventoso!

E c’è pure spazio per un garage-rock’n’roll da terzo millennio, l’infiammata It was a wall che tra urli primordiali, riff d’annata e una freschezza giovanile invidiabile rischierebbe di far ingelosire pure i migliori Liars. Si giunge quindi alla terza parte, che di fatto altro non è se non il proseguimento diretto del discorso aperto con Preteen Weaponry, tendente a rileggere con fervore la psichedelia più cosmica e siderale del kraut-rock dei tempi d’oro. O è un compendio di spirito new age che tra siluri siderali e ritmi sonnacchiosi ripropone lo spirito di gruppi come Popol Vuh, Ash Ra Tempel e i primi Tangerine Dream, riallacciandosi soprattutto alla produzione contemporanea di altri “passatisti” illustri come gli Acid Mothers Temple.

Ultimo capolavoro di Rated O è però Folk wisdom, che segue alla breve parentesi spettrale di End of time. Fin dall’apertura si comprendono gli umori più combattivi e tribali del brano, evidentemente molto più radicale ed energico della suite precedente. È un altro gioiello Folk wisdom, l’ennesima cavalcata strumentale impetuosa ormai tipica degli Oneida, sullo stile di composizioni magistrali come Preteen Weaponry Part 1 e Changes in the city.

Tra loop spaziali, distorsori, clangori metallici alienanti e bolle di suono sospese a mezz’aria si fa largo la solita incredibile scorrazzata tribale di Kid Millions, che per chi non l’avesse ancora capito, è senza dubbio Dio stesso che è sceso in terra, ha visto lo sfacelo che ci circonda e ha deciso di sfogarsi alla batteria per cancellare la frustrazione di aver fatto un lavoro di merda. Non c’è altro da aggiungere. Anche se ormai c’è da aver paura del terzo capitolo della trilogia Thank your parents. Il mio cuore potrebbe non reggere a tanta generosa potenza sonora.

LINK: 

Sito ufficiale: http://www.enemyhogs.com/site/

myspace: http://www.myspace.com/oneidarocks

V Voti

Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 24 voti.

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Ivor the engine driver alle 11:31 del 24 luglio 2009 ha scritto:

ammetto che devo ancora digerirlo, ma non ho fretta. Di sicuro è un prendere o lasciare e capisco sia le critiche riguardanti la prolissità che le esaltazioni totali. Per ora sto nel mezzo, nel senso che devo ancora decifrarlo e sentirlo con calma (ce ne vuole molta). Per ora mi lascia un po' preplesso il disco "elettronico", soprattutto l'opener col cantato raggamuffin/dancehall che sinceramente fa un po' ridere. E certe basi so un po' tamarroidi. Ma 10:30 at the Oasis mi piace ad esempio. Il secondo e il terzo sono + nelle mie corse ma sono ancora nebulosi nella mia mente. Per ora mi compro in vinile Preteen Weaponry, magari il prox anno questo!

Marco_Biasio (ha votato 9 questo disco) alle 12:04 del 24 luglio 2009 ha scritto:

Una strepitosa, monumentale figata.

Alessandro Pascale, autore, alle 12:13 del 24 luglio 2009 ha scritto:

credo che per riguardo al primo possano purtroppo alzarsi molte barriere da parte di rockettari e indie (più o meno consci di tale loro identità) per questo evidente sconfinamento in quell'elettronica che viene per l'appunto sciaguratamente definita tamarra o truzza o quant'altro, per il solo fatto di sfoderare techno o dubstep spinti.

Non so se sia il tuo caso eh ivor, assolutamente, credo che sia un "problema" più generale di molti giovini e vecchi che tendono appunto a schierarsi per fronti musicali contrapposti. Cmq se uno è in grado di superare lo steccato che divide solo apparentemente rock ed elettronica si potrà davvero godere per intero un'opera strepitosa

Ivor the engine driver alle 12:19 del 24 luglio 2009 ha scritto:

no non è quello peasy. Per carità non sono un fruitore di techno o dubstep (quest'ultimo penniente) ma nel passato di roba elettronica all'università ne ho sentita e metabolizzata. Alcune basi sono tamarre non perchè lo sia il genere, ma perchè secondo me un po' stonano coi pezzi. Sì insomma in alcuni casi sembrano buttate lì alla cazzo. Poi ripeto, devo metabolizzarlo, per ora è stato scalzato dalle due nuove Summer Sessions dei Causa Sui...

Alessandro Pascale, autore, alle 12:21 del 24 luglio 2009 ha scritto:

uh i Causa Sui...dovrò senz'altro recuperarli e avvisare Castello che sono in circolazione

Ivor the engine driver alle 12:22 del 24 luglio 2009 ha scritto:

la copia che ho trovato però è dal vinile (per carità fino a fine anno solo quella c'è!) e gracchia come pochi! Dovrebbero arrivarmi entrambi in settimana ma già godo alquanto.

Uallarotto (ha votato 9 questo disco) alle 9:25 del 31 luglio 2009 ha scritto:

Per me non solo il disco di quest'anno, ma degli ultimi anni. Non riesco a trovare un solo difetto... uno solo! Niente, due ore di viaggio.

Marco_Biasio (ha votato 9 questo disco) alle 22:03 del primo settembre 2009 ha scritto:

Riepilogo

Riascoltato con molta attenzione in questi giorni, mi sento di poter allargare il giudizio. Allora: il primo disco affascina parecchio proprio perchè spiazza. Per gli ignoranti come me ancora di più. Pezzi come "10:30 At The Oasis" sono estremamente propedeutici ad un'esplorazione più completa della drum'n'bass. Ammetto, però, che sia un po' difficile da reggere, aldilà di alcuni cavilli concettuali che lasciano il tempo che trovano (tipo "The Human Factor", interessante, ma devo ancora capire se è più "gesto" in sè o se dietro c'è effettiva sostanza). Il secondo disco è quello che preferisco sia perchè è quello più rock, sia perchè il rock è visto sotto vari punti di vista (e mi trovo d'accordo dunque con la recensione di Blow Up). Splendida "The River", "Ghosts In The Room" è una cosa allucinante: quando parte con il riff in pentatonica reiterato per tre minuti e mezzo con l'organo sotto, in crescendo, è da tenere in loop per giorni e giorni, mentre "It Was A Wall" è un po' pestona ed assomiglia a "Can't Stop Feeling" dei Franz Ferdinand (almeno, io ci ho sentito un po' di somiglianza). Riascoltando il terzo disco, invece, ho tratto conclusioni più negative, nel senso che per me è sostanzialmente inutile (= non aggiunge niente) e, anzi, "Folk Wisdom" per me è anche un po' bruttina, perchè i viaggioni strumentali mi gustano molto, ma se dopo sei volte che esploro avanti e indietro quei 20 minuti non mi è rimasto ancora nulla, vuol dire che c'è qualcosa che non va. In effetti, trovo che l'anarchia di cui gode sia, purtroppo, un tentativo di buttarla sul nulla e mascherare un calo di tensione. Ciò detto, rimarco comunque il mio giudizio, quello di strepitosa e monumentale figata (se anche a voi le jam kraut non impressioneranno avrete comunque altri due dischi e più di un'ora di musica con cui deliziarvi). E' notevole anche pensare che in un tempo così ristretto questi abbiano potuto partorire così tanti brani, di tale livello e di tale varietà. Merita, molto.

Uallarotto (ha votato 9 questo disco) alle 16:49 del 19 settembre 2009 ha scritto:

Potessi tornare indietro gli metterei 5 pallini pieni.

babaz (ha votato 10 questo disco) alle 10:41 del 23 settembre 2009 ha scritto:

Disco dell'anno. punto.

Lux alle 17:01 del 12 ottobre 2009 ha scritto:

Personalmente: il primo disco robetta, il secondo onesto e godibile, il terzo inutile. Ma va ricordato che tendo ad essere uno squisito ignorante e una persona molto triste, quindi date alle mie parole il giusto peso.

loson (ha votato 6 questo disco) alle 1:05 del 22 ottobre 2009 ha scritto:

Quoto lux: primo disco interessante,gli altri due una palla (anzi due). Dopo il monumentale "Each One Teach One" gli Oneida potevano tranquillamente chiudere baracca, per quanto mi riguarda. E... sì, sono triste anch'io.

zanmat (ha votato 6 questo disco) alle 15:01 del 22 dicembre 2009 ha scritto:

eh già... siamo in tanti ad essere un po' tristi!

a me l'elettronica piace e non poco, ma qui non sento la sostanza (sopratutto nel 1°disco). sufficienza comunque per l'impegno e anche perchè in 2 ore di musica qualcosa di buono qui e la si trova.

Tizio (ha votato 10 questo disco) alle 17:43 del 5 gennaio 2010 ha scritto:

Questo album è bellissimo. Complesso, variegato, folle e ragionato. Supera e affossa ogni bariera, trasforma l'elettronica in puro rock. Miglior disco dell'anno per il sottoscritto.

REBBY alle 9:27 del 8 marzo 2010 ha scritto:

Esagerati! E' un album per fan, d'altra parte un triplo ... Ma quali sono i tripli "tutti belli"

nella storia del rock? Basta il palmo di una mano?

Ne servon 2? Esagerati eheh