Belle And Sebastian
The Life Pursuit
Mentre lex violoncellista e voce Isobel Campbell pubblica il suo secondo lavoro insieme a Mark Lanegan, il redivivo collettivo scozzese torna sulla scena a tre anni di distanza dalla svolta di Dear catastrophe waitress. Prolifici come pochi, è il settimo album in dieci anni di carriera, e affiancati da Tony Hoffer, produttore tra i più influenti dellambito (Beck, Grandaddy, Supergrass, Turin Brakes) continuano la loro personalissima evoluzione. Lo scarno minimalismo degli albori che li aveva portati alla ribalta è ormai un vecchio ricordo. In linea con il precedente lavoro lapproccio lo-fi è definitivamente lasciato alle spalle. Come dimostra subito il singolo apripista, Funny little frog, beatlesiana nella sua limpida malinconia, anche se convince a pieno solo nellammaliante stacchetto tra fiati confusi e sfibratissimi assoli di chitarra. Che ricorrono in più fasi di questo THE LIFE PURSUIT (svago o inseguimento della vita?). Another sunny day, sincera dichiarazione damore di un giovane in piena crisi esistenziale, svela inaspettate suggestioni country-folk. Tra i due atti degli apostoli, Act of Apostle part.1 , storia dei tentativi di automiglioramento di una corista, e Act of Apostle part.2, la campagna come rassicurante rifugio di una spiritualità messa a repentaglio dalla cinica realtà cittadina, risulta più convincente il primo, opening-track calda e rievocativa.
Il mondo degli ineffabili BELLE & SEBASTIAN è sempre più variegato e multiforme. Si passa bruscamente dal soul onirico di Song for sunshine al bizzarro funk molto vintage di We are the sleepyheads passando per lincalzante glam bolaniano di The blues are still blue . Arrangiamenti curati in maniera maniacale. Bassi incisivi e a tratti addirittura prevalenti. Linee vocali vibranti.
Il filo conduttore è sempre la cruda quotidianità, tra crisi e interrogativi angoscianti, come da consuetudine, nascosti sapientemente dietro al velo di apparente leggerezza che avvolge i brani. Storie di personaggi modesti. Fragili e insicuri. Sensibili, ma imponenti dinanzi al flusso degli eventi da cui sono ineluttabilmente sovrastati. Come in White collar boy, sconvolgente ad un primo ascolto per via della controversa ritmica disco introduttiva e per i synth oltremodo patinati immersi in divertiti falsetti. Tra Beach Boys e Fiery Furnaces. Oppure in Sukie in the graveyard, la ragazzina che amava bazzicare per il cimitero del suo villaggio. Anche se in questo caso latmosfera è molto più vicina agli episodi più movimentati della band di Glasgow.
Sonorità più caratteristiche, piano disperato e voce rassegnata da risposta scozzese a Morrissey, riecheggiano, per la gioia dei vecchi fan, nella soffusa Dress up in you, malinconico sfogo di un giovane provato da infiniti rimpianti, quanto nella pacata conclusiva Mornington Crescent.
Stuart Murdoch e compagni si rinnovano e, al di là delle contaminazioni più o meno discutibili o apprezzabili che divideranno inevitabilmente gli ascoltatori, ci offrono ancora una volta degli inimitabili sottofondi per grigi pomeriggi invernali.
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