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R Recensione

8/10

Binker Golding & Elliot Galvin

Ex Nihilo

Manca solo l'ufficialità, ma siamo a un passo: la scena londinese è diventata l'epicentro del new jazz contemporaneo, spodestando (forse per la prima volta nella storia) New York e Los Angeles, che pure in questi anni non si sono certo risparmiate quanto a nomi di valore e dischi di prestigio (da Kamasi Washington, che troneggia sulla West Coast, a Steve Lehman, che non si è preso un attimo di riposo nella Grande Mela).

Binker Golding, in quel di Londra, si sta ritagliando un ruolo di eccellenza in un contesto che è già tutto un'eccellenza: i lavori realizzati in coppia con Moses Boyd, a mio modesto parere, negli ultimi due anni hanno letteralmente sparigliato le carte, articolando un discorso jazz finalmente personale, di ampio respiro, sintonizzato sulle frequenze della contemporaneità e allo stesso tempo capace di flirtare con il passato e con la sua dimensione più coraggiosa, con il jazz post-moderno.

Ex Nihilo”, pubblicato in questo primo scorcio del 2019, vede Binker intraprendere una nuova collaborazione, questa volta con il giovane tastierista Elliot Galvin, altro nome di primo piano della scena di Londra (è membro dei notevoli Dinosaur), e conferma lo stato di grazia assoluto del sassofonista, qui alle prese tanto con il soprano quanto con il tenore. I riferimenti del duo sono chiari, direi quasi rivendicati con orgoglio, ma vengono riproposti in chiave originale. Golding e Galvin hanno il merito di portare nel contesto della black wave idee rubate all'avanguardia degli ultimi decenni, a quella scena che ha partorito i frutti migliori tra fine anni '60 e anni '80, e che rischiava il dimenticatoio, o comunque di essere messa ai margini dal florilegio di funk, spiritual jazz e hip hop che ha invaso il mondo del jazz – anche e soprattutto quello più sotterraneo – nel corso di questo decennio. Intendiamoci, non è che il duo apra proprio strade nuove: in realtà, la rinascita black degli anni '10, pur orientandosi chiaramente verso un approccio più carnale e improntato dalla fusion (Robert Glasper insegna), non ha mai rinunciato alle ambizioni più sofisticate.

Matana Roberts incarna quasi un paradigma, in quanto insegna come il blues e il soul della chiesa afroamericana possano coesistere con Anthony Braxton e con la sua audacia chicagoana (nel suo caso, anche con il post rock di marca Constellation). Angel Bat Dawid, un'esordiente del 2019, è un'altra eretica, tanto se si parla di metodo di lavoro, quanto in termini di estetica e di resa complessiva, e il suo “The Oracle” meriterebbe un'approfondita recensione.

In questa cornice, “Ex Nihilo” è lavoro si muove con decisione in direzione avant, riuscendo nello stesso tempo a scuotere le viscere dell'ascoltatore. “Adaequatio Intellectus Et Rei” (tutti i brani hanno titoli in latino) sembra griffata da Cecil Taylor e dal suo quartetto: il pianismo percussivo e frenetico di Galvin accompagna un sax che più ayleriano non si può (un free soul ieratico e turbinoso), gettando la maschera circa muse e intenzioni del duo. I cinque minuti scarsi di “Ad Usum Proprium” sono un saggio di minimalismo che credo farà la felicità di Colin Stetson: Binker, ispirato forse anche dal Miles Davis che fu, rovescia la sintassi dell'improvvisazione e soffia nel proprio strumento sempre e solo lo stesso giro, in una sorta di trance ipnotica, affidando alla tastiera il compito di smuovere le acque. “Eram Quod Es, Eris Quod Sum” traduce nel linguaggio del 2019 la lezione metamorfica di Evan Parker: il sassofono diventa una sorta di orchestra, liberando tutto il proprio potenziale in termini di armonici, focalizzando l'attenzione sulle risonanze e sulla fisicità del suono in quanto tale. Se gli esiti più radicali di Evan Parker restano distanti, Binker rovista senza dubbio nel carniere del grande maestro britannico e pensa lo strumento in termini analoghi. “Aliquid Stat Pro Aliquot” compendia in dieci minuti la versatilità del duo, accumulando episodi incoerenti e riuscendo, ciononostante, nel miracolo di preservare la coerenza del discorso d'insieme. Il pianoforte qui gioca con il minimalismo e suona puramente europeo, mentre il sassofono orbita attorno al mondo di John Coltrane con naturalezza. Il pezzo conclusivo (“Non Plus Ultra”) si muove in controtendenza, riscoprendo il valore della melodia, forte di un lirismo quasi evansiano (straordinario Galvin).

Obbligatorio per chiunque bazzichi questi territori.

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zagor alle 19:12 del 10 marzo 2019 ha scritto:

grande pagina come sempre, avvocato!