Matana Roberts
Coin Coin Chapter One: Gens de Couleur Libres
Chi l'ha detto che il jazz è morto? Che oramai si è ridotto a semplice musica da salotto, elegante e rassicurante (per quanto divinamente interpretata ed eseguita), ma senza più nulla da dire?
Ecco chi ha detto o pensato cose simili (mi ci metto anche io, almeno in alcuni momenti di sconforto) dovrebbe immediatamente recuperare e inserire nel lettore questo Coin Coin Chapter One: Gens de Couleur Libres, capolavoro senza se e senza ma firmato col sangue da Matana Roberts (giovane talento, e anzi oramai grossa realtà del sassofono e della scena jazz della Grande Mela, in grande fermento negli ultimi tempi) e pubblicato poche settimane orsono.
Dovrebbe provarlo perché essere smentiti, in certi casi, è la più grande delle soddisfazioni: e smentire gli scettici è esattamente ciò che fa Matana Roberts con questo disco stupefacente, che riesce nell'impresa di coniugare un linguaggio jazz radicato nel clima umido dell'america nera eppure futurista e al passo coi tempi come nessun altro.
Un linguaggio che possiede la sublime capacità espressiva dei grandi maestri del passato (troppo semplice citare John Coltrane, ma l'energia di cui è pervasa la performance riporta veramente al misticismo apocalittico del Sommo), e che affonda le stesse radici musicali nella storia più gloriosa del genere, e in particolare nell'epoca free (personalmente ho sentito echi della musica totale di Don Cherry, così come degli spazi astratti di Sun Ra).
Ma che sa guardare decisamente oltre: all'universo post-rock, che qui ritorna un po' più umano ed evita di perdersi in contorsionismi o manierismi che spesso (per il sottoscritto) rappresentano il limite del genere, almeno nelle sue versioni più recenti; così come alla tradizione black e alla musica della chiesa afro-americana, restituita in tutta la sua vitalità espressiva.
Possibile una cosa del genere?
Possibile sì, se ti chiami Matana Roberts e con il sax tenore (ma anche con la voce) fai quello che vuoi, coniugando la tua abilità strumentale e la tua fantasia - compositiva ed esecutiva - con l'empatia non sussiegosa riservata a coloro che non raccontano nè rappresentano, ma vivono la propria musica e le sue vicende cariche di umanità; possibile se al tuo fianco lavora gente che mastica post-rock da una vita (chiedere informazioni a Goodspeed You! Black Emperor, la cui enfasi soft/loud trova qui nuove forme espressive: Pov/ Piti è accarezzata da archi che profumano di post da un miglio di distanza).
Possibile anche e soprattutto se avverti l'esigenza di dire qualcosa di importante, perché il tuo non è grazioso onanismo: Matana riporta alla luce temi attualissimi eppure oggi quasi dimenticati, forgiando canti pregni di spiritual e di magia blues (lo stupendo spoken-word di Liberation for Mr. Brown, costruito sul classico gioco del call-and-response, ti porta direttamente nella chiesa di un qualsiasi ghetto americano), ove l'impegno sociale si fonde con il vissuto personale e le sue perdite più dolorose. La straniante e indefinibile Song for Eulalie è capace di alternare momenti di pura astrazione e una allegra marcia quasi swing, con tanto di carezze a Coltrane.
Ascoltare, per credere al miracolo, i fraseggi morbidissimi e quasi Ellingtoniani di pezzi come How Much Would You Cost?, tenera preghiera dedicata alla madre che non dimentica le difficoltà che ancora oggi comporta l'essere donna ed afro-americana. Oppure il cupissimo/dolcissimo blues stralunato di "Lulla/Bye" (la fusione fra fiati e voce qui è veramente entusiasmante), forse il momento più tenero del disco.
O ancora, gli echi world (per la verità onnipresenti) di "Rise", fantasia free-jazz che muove qualche passo anche in territori post-ambient, e che frulla tutto lo scibile afro-americano per consegnarci uno fra i pezzi più complessi e pulsanti degli ultimi anni.
Mi fermo qui, credo sia sufficiente: questo è un jazz libero che possiede punti di riferimento chiarissimi, e che pure si deforma in una sorta di musica totale dagli echi modernissimi e post, coniugando un linguaggio nuovo.
No, il jazz non è morto né si è arenato in 2-3 stili di riferimento un tempo innovativi e oggi prevedibilissimi: e Matana è la conferma vivente di questa teoria (come lei Peter Evans e pochi altri).
Provare questo disco, allora, è un obbligo per tutti gli amanti del genere.
Tweet