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R Recensione

8/10

Bill Evans

The Paris Concert: Edition One

Nel 1979 Bill Evans è al crepuscolo.

Il baratro è a un passo, e batoste tremende come il suicidio della moglie o la prematura scomparsa dell'amatissimo fratello hanno lasciato un solco profondo persino sul corpo.

Il viso è ancora elegante ed asciutto, ma si nasconde dietro una barba sempre più folta, e non lascia filtrare spiragli di luce.

Solo il suo immenso amore per la musica (si racconta che Bill, sin dalla più tenera infanzia, trascorresse 5-6 ore al giorno al pianoforte, esercitandosi sui pezzi più disparati: canzoni popolari dell'est europa e del galles, la chiesa afro-americana, Chopin e Debussy, Art Tatum ed Ellington) lo aiuta ad affrontare a testa alta la fatica quotidiana.

Ed è sempre l'amore per la musica che gli consente di presentarsi in Francia, in trio con il bassista Marc Johnson ed il batterista Joe LaBarbera, per celebrare un concerto memorabile, da cui si ricaverà non uno ma due dischi notevoli (questo, per inciso, è il primo).

Nonostante le vicissitudini, Bill è in splendida forma, e decide di allietare un pubblico notoriamente pretenzioso e preparato (ma anche innamorato alla follia della musica afro-americana) come quello parigino ripercorrendo alcune fra la tappe più significative della sua produzione, e anzi di tutta la canzone americana.

Allietare non significa assecondare: questo Evans non l'ha mai fatto, non rientrava nella sua prospettiva.

Ripiegato su quel pianoforte, con lo sguardo perso chissà dove oltre la coda, con le mani leggere ed eleganti che giocano con i tasti, Bill ha sempre assecondato solo ed esclusivamente sè stesso.

A maggior ragione a fine anni '70, quando all'orizzonte si profilano le immagini cupe e meste di una grave malattia.

Parigi è l'occasione per lasciarsi tutto alle spalle, almeno per qualche ora, almeno quando si siede accanto all'amico di sempre: “I do it for your love” diventa allora momento morbidissimo e felice, gentile omaggio all'autore Paul Simon.

My Romance” (il pezzo originale è una canzone di Richard Rodgers e Lorenz Hart datata 1962) è suite di imponente bellezza, che concede momenti intensi ed applausi anche ai due “comprimari” (in realtà il bassista ci regala un saggio di toccante compostezza e abilità), e che alterna ardore e mestizia, raggi di sole e pensieri tenebrosi (un po' come tutta la produzione di Evans, spesso però pesantemente sbilanciata sul secondo versante).

I Loves You Porgy” è un altro snodo cruciale della musica popolare americana (che porta la firma dei fratelli Gershwin) e Bill, che già si è dedicato al pezzo in lavori sontuosi come “Waltz for Debby”, a Parigi si inventa l'ennesima, pregevole rilettura, ricca di sfumature e cambi di tono, dal passo felpato e intrigante, sempre impeccabile (la tecnica è al servizio di una resa espressiva ricchissima in termini di colori, toni, umori). L'interplay fra i tre musicisti è ancora superbo.

Up With The Lark” è avvolgente e poderosa, e prende le distanze dal consueto ambiente fumoso e impressionista: in alcuni momenti, pare addirittura di intravedere spiragli di rigore quasi Bachiano (non è un mistero del resto che Evans adorasse il sommo compositore tedesco). “Beautiful Love” rappresenta il degnissimo commiato (e anche qui si omaggia la storia, o meglio un popolarissimo waltzer degli anni '30).

Che dire, davanti ad un concerto del genere? Personalmente, spero solo che sia vero ciò che Bill ha raccontato parlandoci del caro fratello Harry: un giorno, in un modo o nell'altro, “We'll meet again”. E forse, allora, potremo ringraziarlo di tutto, sperando che lassù abbia riscoperto la voglia di sorridere.

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Voto degli utenti: 8,3/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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Paolo Nuzzi (ha votato 8,5 questo disco) alle 22:53 del 18 novembre 2014 ha scritto:

Il poeta del pianoforte. Come debussy e chopin. Questo trio, poi, per anni l'ho sempre sottovalutato. Imperdonabile errore