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R Recensione

8,5/10

Colin Stetson

New History Warfare Vol. 3: To See More Light

E' possibile descrivere gli abissi dell'oceano attraverso il suono?

Forse sì: qualche lustro fa ci aveva provato con successo Robert Wyatt, e oggi ci prova (anche se percorrendo strade molto diverse) Colin Stetson. Il concetto che meglio si sposa alla sua ultima opera è quello di profondità: il sassofono pare immergersi fra i fondali e scavare senza pace, completamente dissoluto, disorientato dalle tenebre che lo circondano, ma instancabile nella sua ricerca di nuove sonorità e di timbriche inusuali.

La ferocia espressiva che innerva l'opera ha molti padri, e le peculiarità del sassofono basso in sib sono le stesse che hanno reso grande il disco pubblicato due anni orsono (del resto, non è un caso se si tratta di una trilogia). Solo che qui le sonorità sono diventate ancora più siderali, sembrano voler dar fondo all'intero universo.

Le particolarità che contribuiscono a impreziosire l'opera rispecchiano l'ultimo lavoro, dicevo.

Si tratta della respirazione circolare, per prima cosa. C'è poi un impatto strumentale quasi fisico, che piega le rigide strutture e gli schemi della musica alle esigenze di una mente contorta, agli spasmi di un cuore in allarme.

Naturalmente, anche il jazz libero, il minimalismo (Jon Hassell si materializza in varie tracce) e il rumore: "Hunted" sembra il grido di un dinosauro in gabbia, disintegra ogni parvenza di melodia e di armonia, trasfigura in un disordine controllato il suono in quanto tale, abbozza un dipinto espressionista senza rifinirlo.

La musica sembra fluttuare nel cosmo senza appiglio, quasi si trattasse di coverizzare gli Spring Heel Jack di "Amassed" limando ulteriormente ogni "musicalità". 

Neanche Braxton era arrivato a tanto, perché questa concezione radicale perde ogni forma di razionalità (l'ossessione di Anthony per la matematica) e si abbandona al chaos, si disperde fino a diventare chaos. Manca tuttavia l'energia dirompente del free jazz: il suono pare ripiegarsi su sé stesso, non lascia filtrare nulla. Il suono forgia un paesaggio psichico lugubre, arcano, e lentamente degenera in una sorta di baccanale brutalizzato. La cosa paradossale - e bellissima - è che una simile implosione sonora, che vorrebbe massacrare ogni barlume di ordine e di regolarità, finisce per conquistarti perché possiede una tensione di fondo tangibile, perché si traduce in un progetto a suo modo coerente, unitario.

"High Above a Grey Green Sea" si muove sulle stesse coordinate, anche se l'anima si sdoppia: il sassofono gorgheggia solitario mentre la seconda voce, più acuta e vivace, contempla il nulla. "In Mirrors", minimale e delicata come un'occhiata fugace alla propria immagine riflessa, prelude a "Brute", che mette le dissonanze a tempo metal, con tanto di growl (targato, incredibile a dirsi, Bon Iver!). L'utilizzo di 24 microfoni, tutti posizionati in luoghi strategici per catturare un particolare timbro, oppure echi stranianti e sonorità geneticamente alterate, mostra qui tutta la sua importanza. 

Lo stesso dicasi per il labirinto senza uscita di "Among the Sef", minimale ma furiosa nel discorso del sassofono, preziosa nei vocalizzi (questa volta, riconoscibili) dal grande cantautore. "To see more light" è la suite più visionaria, e si dipana in un gioco intricatissimo di note sparse, sussurri nevrotici, sinfonie deformi. Lo strumento viene espolorato nella sua dimensione a-musicale, quasi che non si trattasse più di elaborare un discorso costruito da note, pause e armonie, ma di sfibrarsi in una lunga narrazione altamente psicologica, colorata dalla frenesia, asciugata da un vento di follia pungente.

"Who the Waves are roaring for" ci riporta sui fondali e ondeggia senza sosta, accattivante in virtù di un beat appena accennato, prima che Bon Iver provi a disegnare un pezzo da "vero Bon Iver".

Combinare due universi tanto distanti e incompatibili ottenendo un amalgama densa e perfetta. Eccolo qua, il grande mistero della Musica.

V Voti

Voto degli utenti: 7,9/10 in media su 18 voti.

C Commenti

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fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 9:52 del 17 maggio 2013 ha scritto:

Meraviglioso.

Franz Bungaro (ha votato 8,5 questo disco) alle 9:56 del 17 maggio 2013 ha scritto:

Il terzo capito della fantastica trilogia di Stetson è sicurmante il più accessibile ed il più "comodo" da ascoltare, per quanto sono consapevole che siamo cmq in un ambiente particolare e difficilmente sdoganabile definitivamente. Stetson, a differenza di altri come Mats Gustafsson (con il quale ha pubblicato quest'anno il difficile "Stones") o il nostro Luca T. Mai (quello degli Zu e di Mombu), che rimangono su sonorità più estreme, si vede che punta a farsi ascoltare da molte più persone. Chiamare Vernon a cantargli sopra (oltre alle altre collaborazioni passate con gli Arcade Fire, con Byrne e altri famosi che ora mi sfuggono) sono segnali inequivocabili di voler rompere le barriere e magari fare qualche soldino in più. Per quanto mi riguarda, va benissimo così. E quest'album è veramente favoloso. Bravo Fra!

FrancescoB, autore, (ha votato 8,5 questo disco) alle 11:27 del 17 maggio 2013 ha scritto:

Sono felice del vostro apprezzamento, di cui peraltro non dubitavo. Discone sì, per quanto mi riguarda questo è il primo vero crack dell'anno, e difficilmente verrà scalzato dalla vetta.

gabrisimpson alle 14:10 del 17 maggio 2013 ha scritto:

Premesso che è il primo suo lavoro che ascolto, confermo l'entusiasmo! "To see more light" stupenda!

Gio Crown (ha votato 7,5 questo disco) alle 11:34 del 21 maggio 2013 ha scritto:

...strano, destrutturato, difficile, affascinante, bellissimo!

Sono una perfetta profana del genere e certamente abituata e amante di suoni più facili e accattivanti. Ma con questo disco, dal primo incerto approccio quando non sapevo che pensare sono passata ad un trascinante ascolto per più e più volte, fino a percepire la toccante bellezza di passaggi musicali che al primo ascolto appena avevo intuito (who the wave are roaring for, What are they doing in heaven tonight).

Splendido!

forever007 (ha votato 9,5 questo disco) alle 14:57 del 20 giugno 2013 ha scritto:

Fenomenale, al limite della pazzia...

Jacopo Santoro (ha votato 8,5 questo disco) alle 13:00 del 22 giugno 2013 ha scritto:

Masterpiece.

E Justin Vernon è come Re Mida: rende oro tutto ciò che tocca.

Filippo Maradei (ha votato 9 questo disco) alle 23:43 del 25 giugno 2013 ha scritto:

Colin Stetson è il Warren Ellis del sassofono. Non suonano gli strumenti, li fanno cantare, gridare, stridere, piangere. Questo album, questo modo di fare musica mi ha ricordato molto i lavori dei Dirty Three e il loro sound onomatopeico, una musica che più che musica è vita. "To See More Light", "Hunted" e "Brute" da brividi, e il resto viaggia altissimo. Bravissimo Francesco a (ri)parlarne, e molto molto bene aggiungerei.

Marco_Biasio (ha votato 8,5 questo disco) alle 15:48 del primo luglio 2013 ha scritto:

Anche a me, come impressione generale, come resa complessiva, sta ricordando molto Rock Bottom. Gli strumenti che cantano e piangono con l'anima esposta in bella vista, tra intuizione e disgregazione. To See More Light è qualcosa di davvero indefinibile e questo, lo lascerò decantare ancora per un bel po', ma a me sembra proprio un discone totale. Grandissimo Francesco.

FrancescoB, autore, (ha votato 8,5 questo disco) alle 17:57 del primo luglio 2013 ha scritto:

Mi fa piacere che lo apprezzi anche tu Marco...e anche che ritrovi una certa affinità di mood con Rock Bottom. Si tratta di un disco difficile, ma di impatto: io l'ho amato subito, senza dover passare per i i 1.000 ascolti aborriti dal Fab

Ma con il tempo rivela sfumature, timbri e atmosfere sempre più coinvolgenti, potenti e disturbanti...Questo è un viaggio ai confini della musica, ne esaspera il potere immaginifico fino ai limiti conosciuti. Per ora confermo che si tratta del mio disco dell'anno.

Marco_Biasio (ha votato 8,5 questo disco) alle 15:45 del 8 luglio 2013 ha scritto:

Non c'è nulla di rubato. 8,5. Una vera immersione in apnea. Stupendo. Riconfermo To See More Light come pezzo chiave: una suite senza suite, un flusso discontinuo di impressioni.

REBBY (ha votato 4 questo disco) alle 0:03 del 13 ottobre 2013 ha scritto:

Prima di leggere la recensione (ed imparare che l'ambientazione era oceanica) ascoltando questo album io me l'ero immaginato colonna sonora di un documentario sulla savana africana. Il primo brano era ovviamente la sigla di apertura. Poi comparivano gli enormi branchi di erbivori (tracce 2 e 3): gnu, antilopi, zebre, giraffe, rinoceronti, ippopotami e principalmente elefanti barrenti. Naturalmente non potevano mancare i loro predatori, i leoni (4), i ghepardi (5), le iene, gli avvoltoi e gli sciacalli (6). Ma la savana è soprattutto terra di insetti (7) e nei suoi cieli chiaramente volano gli uccelli (. Sono sempre meno gli uomini (boscimani, hadza, masai, ...) ed anche loro predano, però anche cantano e ballano (9). Veloci dissolvenze incrociate di tutti i protagonisti (10) e veniva il momento dei chilometrici titoli di coda (11).

Per vedere più luce poi bisogna cambiare disco, magari mettere proprio Rock bottom. A me, più che l'album di Wyatt, quest'opera (specie quando non interviene il cantato di Bon Iver) ricorda dischi come Cantare la voce di Stratos o Solo di Braxton.