Marco Bianchi Lemon 4et
Pixel
Finalmente un disco jazz che lo ascolti e non ti rompi le balle.
Ipse dixit Rocco Tanica, nelle inedite vesti di estensore delle liner notes di Pixel, primo titolo del vibrafonista Mario Bianchi da leader del Lemon Quartet. Note dalle quali si evince lassoluta necessità, per il recensore, di evitare gli aggettivi fresco e sorprendente pena un pugnetto sul naso. Ne scegliamo invece altri due, evocativo e multiforme, per illustrare la musica composta dal trentacinquenne Bianchi, musicista con numerose collaborazioni in campo jazzistico (Roberto Gatto, Michel Godard, Gunter Baby Sommer, Massimo Nunzi, Andrea Braido, Giovanni Falzone), ed esperienza didattica in conservatorio. I quattro protagonisti camminano lungo un sentiero di confine fra la musica afroamericana, la fusion ed il progressive, innestando il dialogo fra gli strumenti in composizioni dalla forte impronta tematica ed esaltando i contrasti timbrici fra la leggerezza del vibrafono e le ruvide note della chitarra elettrica di Nicola Tacchi. Un esempio del singolare mix fra le varie componenti si ritrova nelliniziale Clerks, ispirata allomonimo film di Kevin Smith del 1994: avvio su un roboante riff elettrico, che schiude ad una chill zone quando le lamelle del leader assumono il centro della scena, per lasciare spazio a momenti di godibile interplay. La musica riflette, anche negli intenti, la forte impronta visuale che sta al centro delle passate esperienze di Bianchi in veste dautore di colonne sonore per diversi formati cinematografici e televisivi: a partire dal titolo, che assimila la particella del monitor ai tanti componenti della ricetta musicale del Lemon Quartet, fino alle dediche alla settima arte nascoste in alcuni titoli come la gentile Jimmy Jib, il nomignolo del supporto della telecamera, o la ritmata e funky Breaking Bad, ispirata alla omonima serie di telefilm.
In altri casi le immagini sono direttamente evocate dallo scorrere della musica, con gli strumenti che congiurano nella costruzione di atmosfere nate per completare unesperienza visiva: il tema ad incastro di Learn To Fly, la ballad Bolla, con una sontuosa parte solista del contrabbasso di Roberto Piccolo, la danzante e giocosa Octopus Carousel o il fluente arpeggiato della finale Ninna Nonna. Il tutto è condotto evitando autocompiacimenti virtuosistici e trattando con naturalezza anche materiali fra loro molto eterogenei, come accade sotto lironico titolo di Red Hot Chili Boppers, sei minuti di continui cambi ritmici e variazioni timbriche, dalla fusion del tema iniziale ad un riff dal piglio hard che fa da apripista alle swinganti parti soliste di vibrafono, basso e della batteria di Filippo Valnegri, con notevole effetto spiazzante. Nellincertezza di stabilire se prevalga lo slancio creativo del jazz o la spinta del rock, sommessamente annotiamo che in Pixel convivono una forte carica espressiva ed una delicata sensibilità.
Affidandoci, ovviamente, alla clemenza pugilistica di Rocco Tanica.
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