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6/10

Boney James

The Beat

Boney James è uno stronzo, un tipo da schiaffi random. Guarda il suo cappello fuori moda, il suo sorriso sornione, i suoi modi da bravo ragazzo che però fa strage di fanciulle: la tentazione di odiarlo è forte.

Per di più è uno fra i pochi jazzisti contemporanei capaci di scalare le classifiche fino alla vetta, perché il suo sound facile, astutamente melodico e suadente, può piacere proprio a tutti. E allora: incetta di grammy, tre milioni di dischi sparsi in giro per il globo, uno tsunami di banconote verdi.

Boney James è uno di quei musicisti che passano la vita a edulcorare la potenza abrasiva della musica jazz per rivenderla alle classifiche del pop, trasformandola in muzak elegante, in un furbo sottofondo per locali chic della riviera gardesana.

Quindi, è ufficiale: devo odiarlo con tutto me stesso, perché è un barbaro commerciante.

O forse no? La sostanza rimane questa, il suo suono smaccatamente smooth, che rimastica pop mainstream, r'n'b ampolloso, sonorità vagamente imparentante con la fusion più orecchiabile, può suonare oggettivamente fastidioso.

Forse, però, si tratta di quella sensazione sgradevole che prende il sopravvento quando un sound che incarna tutto ciò che detesti, sotto sotto, ti piace (non sempre, naturalmente, ma in questo caso - lo dico a bassa voce - sì). Almeno un pochino: è dura ammetterlo, ma forse questo "The Beat", pur immerso a pieno nei concetti di cui sopra, è un lavoro che si lascia ascoltare.

La sonorità rotonda, le melodie scultoree, il piacevole dinamismo, il ritmo swingante e danzante, l'eleganza esecutiva. Tutto può regalarti un'oretta di sottile piacere.

Boney è un pezzo di gomma da masticare che puoi appiccicare ovunque, un cocktail esotico che puoi scolarti anche nelle serate più inutili.

Allora lo perdoni se riprende Stevie Wonder ("Don't you worry about the thing"), se inserisce momenti vocali da piacione, quasi avessi a che fare con un Michael Bublè prestato al new-soul da classifica "(Maker of Love", in featuring con Raheem Devaughn), se il suo sassofono è sempre equilibrato e stilosissimo, l'anello di conigiunzione fra un'atmosfera furbesca in stile "Top Gun" e la sfavillante produzione dell'r'n'b contemporaneo (ogni tanto il ritmo accelera, le note si impennano, un groove sottile si gonfia e allarga le maglie del pezzo – "The Midas – This is Why").

Ti turi il naso e gli perdoni anche il romanticismo da quattro soldi di pezzi come "Acalento (Lullaby)", anche se questo è jazz che tutti gli hipster del mondo porterebbero sull'orlo di precipizio profondo, giusto un attimo prima di prenderlo a calci nel sedere.

Lasci passare forse perché Boney è talmente sfacciato che non prova neppure a vestire i panni di qualcos'altro. Evidentemente quel marpione è felicissimo di assomigliare a una bibita gasata: in questo caso, ne siamo (moderatamente) felici anche noi.

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