Josef Leimberg
Astral Progression
Chiamiamola pure la diaspora di Kendrick.
Dopo Kamasi Washington (che assicura il suo corposo contributo anche qui), tocca al trombettista Josef Leimberg, altro californiano doc impegnato a visualizzare le traiettorie del nuovo jazz.
Astral Progression regala una variante molto personale sul tema molto in voga - musica nera globale. La fusione fra il jazz anche d'avanguardia e l'hipster hop è una realtà oramai consolidata e non conosce momenti di stanca. Qui tocca (o sbocca) nuove vette in termini di resa compositiva e di coraggio propositivo: non bastano, da sole, le due grandi anime della musica afroamericana contemporanea. Ecco, quindi, che fanno irruzione il soul, il funk elettrico, la world music e persino una vaga attitudine avanguardista (i quattordici minuti di delirio di Psychedelic Sonia).
Josef Leimberg mette Miles Davis e la sua capacità di concisione dentro strutture ora in odore di free jazz, più spesso costruite tenendo ben presente la lezione di Robert Glasper (fra i padri della black revolution anni '10), e quindi il suo concetto obliquo di fusion.
L'ambizione cosmica (la stessa del fratello Kamasi) evoca per forza di cose gli anni '70, l'eccentrica orchestra di Sun Ra o le imprese più titaniche del Miles elettrico: anche qui esiste una visione d'insieme lucidissima. Il ricorso a espedienti etnici e a sonorità variopinte poi sembra suggerito dai ragazzi di Chicago, o forse dalle stralunate invenzioni di Karma.
Interstellar Universe potrebbe stare su The Epic e in effetti sembra scritta a quattro mani con Kamasi sempre più il figlio putativo di John Coltrane anche per l'uso delle voci, mentre il beat ha il fascino dell'hip-hop vecchia maniera (lo stesso che brilla in certe composizioni di Robert Glasper). Leimberg dà il meglio con l'ottone nei lunghi girotondi di The Awakening, a metà strada fra il Miles Davis più grintoso e la fusion r'n'b contemporanea.
As I Think Of You porta Erikah Badu (fra i pionieri del genere-non genere) nel 2016; Between Us 2 ne segue le orme e forse fa ancora meglio, con la sua coralità decisamente glasperiana, mentre la cover di Lonely Fire (naturalmente, firmata Miles) è la gemma, con Josef al meglio del meglio, quasi in odore di free jazz nei rapidissimi staccati.
Echoes Of One alza l'asticella dell'ambizione, ibridando tutto il possibile in 5 minuti: a un passo dal caos, ma sempre con eleganza. I 14 minuti di monologo di Sonia (la madre di Josef) chiudono in modo originale l'ennesima perla jazz del 2016: peccato davvero che Capodanno sia alle porte.
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