Ebo Taylor
Appia Kwa Bridge
Nell'ormai definitiva divisione tra chi "vuo' fà l'africano" (Damon Albarn, ad esempio) e chi non può fare altro, tra chi "cerca un po' d'Africa in giardino" e chi ha il giardino in Africa, tra chi si sente "nero a metà" e chi è nero e basta, Mr Ebo Taylor non ha avuto bisogno di schierarsi. Ebo Taylor in Africa è nato (Ghana, 1936) e cresciuto, e probabilmente ci sarebbe anche rimasto per sempre se Usher non avesse campionato la sua "Heaven" nel 2002.
Invece, l'improvvisa notorietà ha reso questo fantastico nonnetto (ha l'età di Achille Occhetto, per dire) un "best seller" discografico inaspettato. Esattamente come accaduto con Mulatu Astatke, al ritorno di due anni fa ("Love & Death") hanno fatto seguito una raccolta retrospettiva ("Life Stories: Highlife & Afrobeat Classics" - 2011) e poi subito questo secondo come-back intitolato "Appia Kwa Bridge". Niente di superfluo o forzato, sia chiaro. Anzi, l'ospitata del compare Tony Allen in "Assom Dwee" ribadisce lo status di "ultimo baluardo dell'afrobeat" di Ebo, con buona pace dei volenterosi figli di Fela Kuti. E il resto non è da da meno: il classico "Yaa Amponsah" reinterpretato con chitarra e voce, il recupero della cultura Fante (etnia ghanese a cui appartiene anche Kofi Annan) nell'highlife di "Nsu Na Kwan" e nell'apertura di "Ayesama" (con Kwame Yeboah, figlio della leggenda A.K. Yeboah, alla farfisa), la dolce poesia acustica dedicata alla moglie recentemente scomparsa ("Barrima").
E poi capolavori ritmici messi lì come fosse la cosa più naturale del mondo: la chitarra di Ebo in "Abonsam" risponde ai fiati afrobeat in un duello a chi sfida il metronomo con maggior impertinenza, "Appia Kwa Bridge" aggiorna il concetto di call & response e la già citata "Assom Dwee" farebbe muovere il culone anche agli elefanti.
Fatevi sotto perchè il vecchietto non scherza. Ci ha messo un po' di tempo, ma adesso chi lo ferma più? Del resto, come dicono dalle sue parti, "Ciò che cresce lentamente mette radici profonde".
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