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R Recensione

7/10

Jimi Tenor

Order of Nothingness

La "Quantum Connection" di cui si parla nella traccia numero tre è quella proficua e funk tra il genietto finlandese Jimi Tenor, il produttore e vibrafonista tedesco Maximilian Weissenfeldt (The Heliocentrics, The Poets of Rhythm, The Whitefield Brothers...serve altro?) e il batterista e percussionista ghanese Ekow Alabi Savage (anche qui, un curriculum a base di Ebo Taylor e Fela Kuti). Ovvio che da questa connessione non possano che nascere bombe ritmiche che partono ("Mysteria") da quel revival soul e funky degli anni novanta che vide proprio Weissenfeldt tra i protagonisti assoluti (al servizio di etichete come Desco Records e Daptone) e che sfociò nel successo planetario di Amy Winehouse e Sharon Jones, ma arrivano subito alle radici del ritmo con numeri di puro "africanismo" come la sincopata "Naomi Min Sumo Bo" (splendidamente contrappuntata dal flauto di Tenor) o la polverosa "Tropical Eel", che potrebbe trovare posto in un disco di Mulatu Astatkè e che mette in mostra il tocco sopraffino di Weissenfeldt alla batteria.

È, questo "Order of Nothingness", un disco fatto quasi esclusivamente di "groove", poichè vive di ritmo esattamente come certe cose di James Brown o del padre putativo dichiarato di Jimi Tenor, ovvero Fela Kuti. Si veda ad esempio la reiterazione vocale di "My Mind Will Travel", che altro non è che un pretesto psichedelico per dare sfogo al lavoro percussivo di Ekow Alabi Savage. Anche i momenti più bizzarri, come il jazz da marciapiede di "Max Out" o il pop-rap anni '80 di "Chupa Chups" altro non sono che modi diversi di sfruttare il ritmo e metterlo in primo piano, davanti alle armonie, alle melodie e a tutto il resto. E questo avviene per precisa scelta stilistica, perchè laddove si vuole invece fare sfoggio di complessità armonica, inventiva e rigore melodico emerge una consapevolezza profonda dei propri mezzi e del proprio linguaggio spontanea e perfetta. In questo senso la chiusura di "Order of Nothingness" sembra davvero il punto di arrivo di un ciclo (quello afro-ritmico, iniziato con Tony Allen e portato avanti con i Kabu Kabu) che ha permesso ad un musicista forse troppo sottovalutato di esprimere con gioia ed estrema libertà la sua voglia di fare musica.

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