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R Recensione

7/10

Sufjan Stevens

The Age of Adz

Una di quelle cose che ti manca anche se non sai nemmeno cosa sia. Di più, una cosa che desideri impetuosamente proprio perché non la conosci. È la svolta, il cambiamento radicale, il gesto stupefacente, la metamorfosi. È la rivoluzione personale, l’ultimo residuo di giovanile bellicosità, quello che generalmente sfonda gli argini della tormentata quiete dei trentenni e diventa riscatto per le rivoluzioni fallite. Perché quando sei un pischello vivi nell’assoluta certezza che – un giorno – guiderai una grande sollevazione mondiale, mentre già intorno ai vent’anni sogni una più modesta rivolta nazionale. E se dieci anni dopo non hai ancora capito contro cosa dovresti insorgere, allora non ti rimane che la terza fase: l’insurrezione contro te stesso, il coup de theatre, il gesto auto-sovversivo da lasciare ai posteri. Almeno quello, porca miseria. E non si legga nel carattere residuale appena attribuito all’auto-ribellione un’ accezione del tutto negativa: è ovviamente un ripiego però – almeno questa volta, cazzo – non è una sconfitta ma una conquista, è lo scongiurare eventi futuri nefasti, ovvero rivoluzioni pre-senili oggi tanto socialmente frequenti quanto risibili: il cinquantenne che abbandona moglie e figli e scappa con la badante romena (che un giorno tornerà in Romania “a trovare la famiglia” e non darà mai più sue notizie), il sessantenne che sostituisce il Prostamev col Viagra e ciondola per strada offrendo sorrisi compiaciuti, la casalinga disperata (e separata) che trasferisce la propria residenza in palestra, l’impiegato eterno single che vende la Seicento GPL per comprare l’Harley Davidson…

Sufjan Stevens, 35 anni da Detroit, la sua rivoluzione personale l’ha appena avviata: con il suo sesto album di inediti prende tutte le certezze (il folk, la provincia americana, il progetto dei 50 dischi per 50 stati, uno stile consolidato ed imitato) e soddisfa i suoi desideri senza condizionamenti, senza un termine finale, in maniera incosciente, istintiva e, ancora una volta, folle. Lo avevamo previsto, il recente EP “All Delighted People” erano i tre fuochi d’artificio finali, la summa – estremizzata, compiuta e volontariamente “stereotipata” – della concezione cantautoriale di Sufjan Stevens, del Sufjan Stevens formato canzone (o meglio, del formato canzone secondo Sufjan Stevens). Con “The Age of Adz”, Stevens diventa semplicemente autore, o meglio, compositore. L’esperienza di “The BQE” stretta in una mano e quella di “Enjoy Your Rabbit” nell’altra, unite a creare un corpus sonoro unico, azzardato, difficile e affascinante.

Sovvertiamo qualche piccola regola anche noi, e cominciamo dal fondo: “Impossibile soul”. Ecco, se in passato Sufjan Stevens aveva dimostrato di voler trascendere il formato canzone estendendo la durata dei brani e rinunciando alla struttura strofa-ritornello, oggi semplicemente tratteggia architetture vaporose su note reiterate all’infinito ma modellate in centinaia di modalità diverse. La prima sezione di questo brano-fiume fa scorrere intrecci vocali (con Shara Worden aka My Brightest Diamond come ospite speciale) su un ritmo trip-hop intorpidito, verso il decimo minuto il tutto rimane sospeso a supporto di un Sufjan che canta con l’ausilio dell’autotune manco fosse una versione indie di Kayne West, al quarto d’ora arriva la consueta (e sospirata) esplosione christian-gospel, introdotta da uno “one-two-three-four” che è puro (ma sensato) delirio d’onnipotenza, e incentrata su frasi da meeting motivazionale (“boy we can do much more together / better get a life get a life get a life / it’s not so impossibile!”). Sul finale la tensione si dipana su un delicato arpeggio acustico degno di un Elliott Smith in stato di grazia (ovvero di un Elliott Smith a caso). Venticinque minuti di musica densa, avvincente e coraggiosa.

Il finale di “Impossibile soul” (e quindi del disco) si collega in maniera circolare con la prima traccia, “Futile Devices”, uno dei pochi rimandi al Sufjan Stevens pre-rivoluzione, quello che arpeggiava melodie fragili e sognanti arrangiate in maniera sontuosa. “Futile Devices” è quasi una “Concerning the UFO Sighting” in versione “roots”, e non si aggiunga altro. L’altro momento “amarcord” è “Vesuvius”, cinque minuti di crescendo vocale (“Sufjan! / Follow your heart!”) durante i quali diverse melodie si susseguono con naturalezza sconcertante, supportate dal solito arrangiamento dimessamente-barocco (ossimoro Sufjanistico per eccellenza) e da un velo di malinconia, perché questo Sufjan Stevens ci manca già.

Il resto del disco disegna e programma la rivoluzione elettronica di Stevens. Che, sia chiaro, è rivoluzione vera (sebbene intima) e non quel volgare decoupage elettronico tanto di moda negli ultimi anni. Non sono gli Editors dell’anno scorso, per capirci, ma piuttosto i Radiohead di “Kid A”.

La doppietta composta da “Too Much” e “The Age of Adz” introduce i concetti chiave di questo cambiamento, che sono l’elettronica intesa come sostegno ritmico per i soliti magistrali arrangiamenti fiati/archi/voci, in una mutazione (“Enjoy your rabbit” goes hypnagogic?) che non modifica la natura e la forza evocativa delle composizioni. Niente di imposto o niente che possa “corrompere” le caratteristiche compositive di Sufjan Stevens per come le abbiamo conosciute. Piuttosto, il neo è da ricercarsi in una certa ripetitività nelle frasi musicali e nei testi, causata probabilmente dalla volontà di rendere le composizioni circolari e “indefinite”. Così, il singolo “I Walked” sembra non iniziare mai per poi interrompersi bruscamente, “Get real get right” ha l’aria di essere un riempitivo giocoso (oddio!), mentre “All for Myself” potrebbe essere il Sufjan Stevens di domani, autore di musica da camera in stile Broadway e chissà cos’altro ancora.

Luci e ombre, novità e tradizione, coraggio e passione, una porta socchiusa sul passato e una spalancata sul futuro, con gioia e con grandi aspettative, nonostante quel passato fosse meraviglioso. Perché la morale di questo disco, cari i miei thirty-something, è proprio questa: non importa quanto rischiosa sia la vostra rivoluzione personale, non chiedetevi cosa perderete e cosa otterrete. Vi rimane solo questa, prima del Viagra, prima dei viaggi in Romania alla ricerca di un amore perduto, prima delle crociere “all inclusive” e prima degli “speed date”. Ribellatevi contro voi stessi, tanto siete un bersaglio facile e debole, e nella peggiore delle ipotesi porterete a casa un pareggio.

V Voti

Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 13 voti.
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gull 6/10
Wrinzo 7/10

C Commenti

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Emiliano (ha votato 7 questo disco) alle 0:35 del 20 ottobre 2010 ha scritto:

Recensione che stavo aspettando. E ti è venuta davvero bene.

Il disco lo ho ascoltato parecchie volte, e non so ancora quanto mi piaccia il nuovo Sufjan.

ozzy(d) alle 10:32 del 20 ottobre 2010 ha scritto:

Mai capito tutto l'hype attorno a questo personaggio.

salvatore (ha votato 6 questo disco) alle 13:58 del 21 ottobre 2010 ha scritto:

Lo dico subito: un'altra delusione di quest'anno!

La delusione deriva essenzialmente dal fatto che io adoro letteralmente Stevens, che lo considero un genio e quindi mi aspetto da lui l'eccellenza. E qui eccelleza non c'è. Il disco lo trovo interessante, (troppo)complesso, pieno di spunti non privi di una certo potere attrattivo, ma freddo! Non mi emoziona come le sue cose precedenti, insomma. Allo stesso tempo, come ho già detto tempo fa, io non lo trovo così distante da alcune sue cose passate. A guardare bene, la struttura delle canzoni è sempre la stessa e le melodie incantevoli e senza tempo a cui ci ha abituato ci sono; il fatto è che sono sepolte da arrangiamenti invadenti e troppo barocchi (un tantino kitsch?). E poi Impossible soul è davvero troppo eccessiva in tutto... Il riferimento più vicino - per la sua vena fantasy (emblematiche in quest'ottica la title track o I want to be well) - è, a mio parere, l'ultimo Owen Pallet. Canzoni preferite? Futile devices, I Walked e Vesuvius, quelle più malinconiche e intime, perchè caro Stevens non me la dai a bere, puoi usare tutti i barocchismi che vuoi, ma per me resti un musicista intimista. Sapete cosa vi dico? io faccio finta che il suo album di quest'anno sia All delighted people che torna quindi a trovare il suo posto sul mio i pod a scapito di questo The age of adz cui aveva generosamente lasciato spazio.

Voto: 6.5

Sufjan lo dico anche a te: oggi ti odio, ma domani torno ad amarti.

Fabio, senza alcuna retorica, complimenti per la recensione! Centratissima! Non deve essere stato facile l'analisi di un disco come questo...

countryjoe (ha votato 8 questo disco) alle 22:15 del 21 ottobre 2010 ha scritto:

Coraggioso e convincente.

Io lo sto ascoltando in loop da almeno tre giorni.

Condivido il giudizio su Impossible Soul, che sfiora il capolavoro, una sorta di Supper's Ready postmoderna. E anche il riferimento a Kid A.

Forse qualche brano di troppo, ma nel complesso esame superato.

Dai, non potevamo mica pensare che avrebbe fatto un album per ogni stato americano...

Sai che palle!

gull (ha votato 6 questo disco) alle 10:18 del 22 ottobre 2010 ha scritto:

Certo che nel bel mezzo del polpettone "Impossible Soul", quell'effettaccio sulla voce, nello stile più deleterio di certa musica discotecara, è da brividi di terrore lungo la schiena!

A parte ciò, a me non è dispiaciuto questo nuovo Sufjan, ma nemmeno posso dire che mi abbia fatto impazzire.

Il classico dischetto che ascolti un pò di volte, ma che non senti l'impulso di riascoltarlo.

Hai voluto provare Sufjan? Bene, ora torna a sperimentare nel tuo orticello, che qui onestamente non mi pare che tu possa lasciare grandi tracce!

Dr.Paul (ha votato 6 questo disco) alle 22:36 del 22 ottobre 2010 ha scritto:

l'approccio elettro è apprezzabile (e in questo un po' di "modaiolità" c'è sicuramente) purtroppo manca la goduria d'ascolto. poteva essere il mio disco preferito di sufjan!

Emiliano (ha votato 7 questo disco) alle 12:17 del 24 ottobre 2010 ha scritto:

Il disco della svolta electro del buon Sufjan. In tempi sospettissimi. E già parti prevenuto. Però è Sufjan, ti piace tanto, allora gli dai più di una possibilità risicata. E in effetti il disco è bello, le melodie ci sono, il tappeto sonoro ha cambiato modo di declinarsi ma non funzione e insomma è il solito Sufjan solo con un pò più di synth e ammennicoli vari. Il problema è che in questa nuova veste le composizioni guadagnano sìin "compattezza" qualunque cosa ciò significhi per voi, ma acquistano anche una certa dose di freddezza. Insomma, Age of adz è un buon disco ma non un capolavoro. e da certa gente ci si naspetta sempre un capolavoro. Quindi sì, un pò di delusione per il presente ma infinite speranze per il prossimo futuro.

hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 13:57 del 24 ottobre 2010 ha scritto:

- "Il problema è che in questa nuova veste le composizioni guadagnano sì in "compattezza" qualunque cosa ciò significhi per voi, ma acquistano anche una certa dose di freddezza" - mi trovo in sintonia con emiliano. apprezzo il disco, apprezzo la nuova veste, la sapiente implementazione, qua e là, di sfumature folk e "baroque"; solo, e mi dispiace molto, non riesco ad entrare nel disco, anche dopo ripetuti ascolti, come mi aspettavo. il miglior sufjan, quest'anno, è senza alcun dubbio quello di delighted. il voto è 7, "i walked" e "age of adz" le mie preferite. con Fabio si va sul sicuro, ottima recensione!

target alle 18:59 del 24 ottobre 2010 ha scritto:

Niente, a me pare solo un brutto disco, con arrangiamenti da pasticcere impacciato che si è tutto sbrodolato addosso preparando i dolci di Natale. Fab fabulous, anyway.

folktronic alle 11:45 del 13 novembre 2010 ha scritto:

Sufjan Stevens e' tornato con un disco sicuramente sorprendente.....molta elettronica , spunti di art pop, molte differenze musicali rispetto al suo capolavoro Illinoise ma il suo stile rimane inconfondibile e sempre coinvolgente.

Sufjan mostra coraggio, intensita' e grande ingegno compositivo, offrendoci alcune gemme che rimarranno a lungo nel mio lettore.

Il lungo trip di Impossible soul ,la sufjana e suggestiva Vesuvius, la stupenda e geniale I want to be well,la gioiosa Too Much, All for Myself e l' iniziale Futile devices sono i primi splendidi pezzi che mi vengono in mente , in un contesto comunque sempre di ottimo livello.

Con questo riuscito cambio di direzione verso lidi musicali ben piu' rischiosi l' autore conferma, a mio parere e se ce ne fosse ancora bisogno, di essere uno dei personaggi musicali veramente importanti emersi nelll' ultimo decennio.

Per ora, il mio disco preferito dell' anno....il mio avatar parla chiaro..

salvatore (ha votato 6 questo disco) alle 13:16 del 13 novembre 2010 ha scritto:

RE:

Folktronic complimenti per l'avatar Anche io credo che Illinois sia un capolavoro di quelli che rimarranno nella storia della musica e che Stevens sia uno degli artisti più interessanti e talentuosi degli ultimi anni. Detto questo, come ho già avuto occasione di dire in precedenza, questo album mi ha un po' deluso. Interessante, sì, ma poco emozionante e comunicativo. Tu dici che per ora è il tuo cd dell'anno... davvero lo hai preferito a "All delighted people"? Secondo me non c'è paragone tra i due. Ovviamente a favore di "All..."

folktronic alle 17:22 del 13 novembre 2010 ha scritto:

RE: RE:

Age of Adz e' cresciuto con gli ascolti....il primo ascolto, come il secondo del resto, mi ha disorientato..non riuscivo ad emozionarmi , lo trovavo piu' freddo e caotico...ma, come succede ,soprattutto, con i grandi dischi, mi sbagliavo.

All Delighted People lo risentiro' perbenino quando lo avro' tra le mani in cd, i primi ascolti me lo hanno fatto apprezzare, naturale che mi piaccia, ovvio..adoro questo artista,ora non riesco a dirti quale possa preferire tra i due, ma, indubbiamente, il nuovo contesto sonoro elettronico dell' ultimo cd mi intriga parecchio...(autotune compreso).

DonJunio (ha votato 6 questo disco) alle 11:06 del 4 gennaio 2011 ha scritto:

"Futile devices" è uno dei pezzi che più ho amato nell'anno appena trascorso, nella sua intima e toccante nudità comunica più cose di quanto faccia il resto dell'album, intriso di arrangiamenti sovente confusi e pretenziosi. Peccato.

REBBY alle 9:43 del 11 gennaio 2011 ha scritto:

Dopo i primi ascolti accurati dedicati a questo album, indubbiamente Futile devices risalta immediatamente anche alle mie orecchie. D'altra parte sembra il brano più affine alla produzione precedente, anche se , sotto il maquillage elettronico, non è che le cose siano cambiate poi così tanto. Come scrive Fabio, la svolta elettronica va intesa principalmente come un nuovo "sostegno ritmico per i soliti magistrali arrangiamenti fiati/archi/voci in una mutazione che non modifica la natura e la forza evocativa delle composizioni". Come scrive Salvatore, "a guardare bene la struttura delle canzoni è sempre la stessa e le melodie incantevoli e senza tempo a cui ci ha abituato ci sono". "Insomma è il solito Sufjan solo con un po' più di synth e ammenicoli vari", come sintetizza Emiliano. Chissà, magari nei prossimi live (o in un futuro Ep) ce lo dimostrerà eseguendo All delighted people electronic version. Comunque, a mio parere, probabile che se avesse fatto uscire un unico album di 40/50 minuti, con una prima parte (facciata) occupata dal meglio del finto Ep precedente (la title-track nella classic rock version eh) ed una seconda con una selezione da questo, il "botto" 2010 di Stevens sarebbe stato più deflagrante. A volte il troppo stroppia. Too much, too much, too much eheh.

Wrinzo (ha votato 7 questo disco) alle 15:00 del 22 gennaio 2011 ha scritto:

Sembra che l'effetto causato dall'ascolto di questo ultimo lavoro di Sufjan Stevens sia stato in parte condiviso. In effetti è vero, rimangono le solite melodie dolci e senza tempo di archi, sospiri e voci ma tutto è sorretto o, per meglio dire, arricchito a delle basi elettroniche che restano come sottofondo creando una sorta di caos. Caos alle volte piacevole, altre volte barocco e ripetitivo. La svolta non è male, credo che alle volte sia necessario rinnovarsi e rimettersi in gioco, ma è anche indispensabile capire fino a che punto spingersi. Ad ogni modo, album senza dubbio notevole e meritoso di stima.

loservicky (ha votato 9 questo disco) alle 16:38 del 24 gennaio 2012 ha scritto:

Questo è un disco disco assolutamente straordinario, il migliore di Sufjan e degli ultimi anni in generale.