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R Recensione

7/10

The Souljazz Orchestra

Rising Sun

L’impensabile diventa realtà: un vecchio capo fascista lotta al fianco (anzi, al posto) dei comunisti. Locuzioni ossimoriche diventano di uso corrente: “prete-pedofilo”. Così, come fosse ovvio. Perché ormai, siccome sta andando tutto a puttane (da intendersi in senso letterale, tra governatori regionali, protezione civile e alte cariche dello Stato), non ci stupisce più nulla.  

Non stupisce più nemmeno il Canada: un paese meraviglioso, composto da prati innevati sui quali corrono felici (e protetti da Greenpeace) zibellini, donnole, alci e orsi; un paese tranquillo e pacifico, nonostante condivida un lungo confine (non militarizzato!) con dei vicini assai più “vivaci”; un paese che ha legalizzato il matrimonio omosessuale nel 2005; un paese – insomma -  che sembra essere immune dalle disgrazie mondiali (avete mai sentito parlare di terrorismo Canadese, di mafia Canadese, di dittature Canadesi?).  

Come se non bastasse (e per chi frequenta queste pagine non sarà elemento da poco), producono anche ottima musica, da Neil Young e Joni Mitchell in avanti fino al post-rock di marca Constellation ed ai vari Arcade Fire e (numerosi) epigoni. Ci mancava solo che si cimentassero con l’Afrobeat: ci hanno pensato The Souljazz Orchestra, sestetto dal nome programmatico che con questo “Rising Sun” (“Rising Sun” in Canada fa un po’ sorridere dai, tra nevi perenni e inverni a -40°…) giunge al terzo album.  

Sia chiaro da subito, questi ragazzi primeggiano nel loro genere così come i loro compaesani più noti primeggiano nell’indie-rock o nel cantautorato folk. A partire dalla “botta” in puro stile Fela Kuti dal nome “Agbara”, solare cavalcata dai suoni “globali” e dall’incedere festoso. Spiccano in maniera evidente il lavoro sui bassi e sulle frasi melodiche dei fiati, spesso aperte e caldamente “latine”. “Negus Negast” rimanda direttamente al compagno di etichetta (ormai una star) Mulatu Astatkè, sia nella struttura del brano sia per l’uso del vibrafono come strumento solista in grado di duettare con i fiati.  

Ma non c’è solo afrobeat nell’organico di questa band. Meno fedeli alla linea Kutiana dei vari Antibalas o Budos Band, l’orchestra canadese esplicita la propria anima ”Souljazz” in passaggi jazz morbidi e suadenti come “Lotus Flower” e “Serenity”, durante i quali fa capolino il fantasma di Pharaoh Sanders, che infatti viene apertamente citato nel finale, quando il combo canadese si incarica di rileggere la sua “Rejoice” riuscendo a conservare lo spirito “free” dell’album pur rispettando progressioni ritmiche varie e maestose aperture per pianoforte.  

Capito, i Canadesi? Altro che “vasche, pesciolini e tanti fiori di lillà”.

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 3 voti.
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C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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tarantula alle 8:14 del 6 maggio 2010 ha scritto:

Bellissima e piena di spunti di riflessione questa recensione!!! Il disco ancora lo ascolto.Ci risentiamo per un giudizio.

P.S.: Avete notato come la parola jazz fa tanto cool, ormai, da essere stra-abusata, ruffiana, e fastidiosa non poco!

Emiliano (ha votato 7 questo disco) alle 12:23 del 12 dicembre 2010 ha scritto:

Pure questo è magnifico, a tratti sembrano proprio gli Africa'70.