A Intervista ai SuiciDEATHome

Intervista ai SuiciDEATHome

Sfiancati ed oppressi dal caldo disumano di questi giorni agostani, torniamo indietro con la mente a quel bel febbraio siberiano di quest’anno. A metà mese, per l’occasione, ho avuto l’occasione di intervistare in studio, durante la consueta puntata settimanale di Radio Vagante, assieme al mio “collega” Stefano, un quartetto emergente del sottobosco musicofilo padovano: i SuiciDEATHome. Da sempre città eclettica, Padova, che sforna alcuni fra i talenti più interessanti dell’ultima decade di musica italiana. Un nome su tutti, quello dei Redworms’ Farm. I SuiciDEATHome, però, al post-punk dei colleghi sopraccitati preferiscono un industrial-rock policromo, sfaccettato e di fortissimo impatto scenico, seppur ancora un po’ embrionale: dopo i saluti vari, l’intervista ha inizio, e largo spazio trova il dibattito sulle loro ispirazioni socio/letterarie, nonché sulla gestazione del loro primo disco autoprodotto, “Files Of A Mechanical Dictature”, in uscita quest’anno. Ecco a voi, con colpevole ritardo, la trascrizione della chiacchierata…

Line-up:

Gazza: cantante

DiDi: tastiere

N°00026: basso

Zuk: batteria

Marco Biasio: Vorrei sapere come e quando vi siete conosciuti, e com’è nata, soprattutto, l’idea di questo progetto dei SuiciDEATHome.

Zuk: Diciamo che i SuiciDEATHome erano una cosa che stavo cercando di perseguire già da un po’ di tempo. Cercavo un indirizzo musicale che mi rappresentasse appieno, in un momento in cui vagavo un po’ da un genere all’altro, senza alcuna certezza. La prima formazione dei SuiciDEATHome faceva, diciamo, una specie di emocore, quindi preferirei non parlare di questi momenti abbastanza tragici della nostra carriera (ride, ndr). Successivamente ho conosciuto Gazza, il cantante, che al tempo non cantava, se non sotto la doccia (ride, ndr), e ci siamo accordati per una prova col mio vecchio chitarrista. Abbiamo deciso di metterci a sperimentare, non mettere nessun paletto, di creare una musica che desse delle atmosfere oppressive e malinconiche, ma allo stesso tempo cattive e abbastanza potenti. A settembre 2006 esce “Angels & Cutters”, che è la prima demo: abbiamo fatto un po’ di date per promuovere questo lavoro, e nel gennaio del 2007 ci siamo lanciati nella scrittura dei brani che compongono, per l’appunto, “Files Of A Mechanical Dictature”.

M.B.: Quindi è un percorso che ha rappresentato un’evoluzione, prima dall’emocore e poi, appunto, all’industrial…

Zuk: Sicuramente, è stata un’evoluzione sia dal punto di vista del genere musicale, che è cambiato radicalmente, sia dal punto di vista delle ideologie. Noi stiamo lavorando su una cosa che amiamo chiamare “trilogia”. “Angels & Cutters” rappresenta un po’ il ragazzo che tenta di emergere da questo mondo che gli è ostile, imponendo, se vogliamo, anche la sua violenza, sonora e concettuale. Successivamente abbiamo anche trascorso momenti difficili con la band, cambiando diverse line-up, e il risultato di questo è stato “Files…”: un risultato in cui l’uomo tende a scontrarsi in questo mondo che tenta di omologarlo, tenta di ingabbiarlo, e così cerca delle vie di uscita anche se, purtroppo, non c’è realmente una via d’uscita, non c’è un modo per sfuggire alle dinamiche di questa società. Adesso, in questi giorni, stiamo cominciando a lavorare su di un nuovo progetto, sebbene la produzione di “Files…” debba ancora terminare, e possiamo preannunciare che sarà una grande sperimentazione, sia dal punto di vista sonoro, sia dal punto di vista concettuale. Dove abbiamo ripreso in “Files…” alcuni filosofi, secondo la nostra idea.

Stefano Piva: Per quanto riguarda le vostre influenze musicali, quali sono i vostri gruppi preferiti o, meglio, quelli a cui vi ispirate per la vostra musica?

Gazza: Allora, diciamo che la risposta è piuttosto complessa, perché in realtà le nostre influenze sono tantissime. Quando abbiamo iniziato con “Angels & Cutters” c’era chiaramente, anche ascoltando, l’influenza di Marilyn Manson e dell’industrial-rock in generale, e quindi gruppi come Nine Inch Nails. Poi, man mano che siamo andati avanti col tempo, ci siamo un po’ distaccati, a dir la verità, e le influenze hanno anche cominciato a prendere meno peso, perché abbiamo cominciato a far sentire il nostro sound, piuttosto che prendere. Comunque, a livello di influenze, quasi tutta la musica industrial: adesso, col nuovo tastierista, qualche riferimento alla musica elettronica, e una forte componente rock, rock moderno, anni ’90, perché crediamo che, in ogni caso, bisogni andare avanti… inutile rifarsi ai vecchi tempi e andare avanti così.

M.B.: Prima Zuk ci aveva accennato di questa ulteriore sperimentazione che proverete nel vostro nuovo lavoro. Ci potete accennare qualcosa, verso quale direzione…? Più rock, più elettronica?

Gazza: Difficile anticipare, perché il lavoro è ancora in una fase pre-embrionale, e non si può dire… finora sono solo idee, tante cose suonate, buttate lì in sala prove. Diciamo che l’idea nostra sarebbe quella di buttarsi molto sull’elettronica, perseguire la strada di gruppi simili ai Nine Inch Nails, per esempio, però è ancora tutto da definire. In ogni caso, dargli un’impronta personale. In un mondo dove le cover band imperano, bisogna cercare di portare qualcosa di nuovo, che è difficile perché, giustamente, ti cazziano se non fai le cover. I locali tante volte non ti prendono, non viene premiata l’originalità oggi giorno. Non è come una volta che, per certi versi, era quasi più semplice.

Zuk: Secondo me c’è un discorso di base: tanti gruppi ambiscono ad una tecnica perfetta, ad esecuzioni impeccabili di alcuni pezzi. Secondo me questo è sbagliato perché, certo, potrai avere una tecnica impeccabile, ma non sarai mai come un’altra persona, dall’altra parte del mondo, che magari ti doppierà. Quindi, bisogna contare sull’originalità, che è l’unica componente che ti può tirare fuori da questa situazione decisamente incresciosa… pochi locali in cui puoi suonare dal vivo, nessuna label che ti prende… è una situazione abbastanza difficile con la quale convivere.

S.P.: Io e Marco abbiamo una curiosità da toglierci. Esplorando un po’ il vostro sito siamo rimasti molto incuriositi dal simbolo dei SuiciDEATHome. C’è qualcosa di particolare dietro questa raffigurazione? Com’è nata, come l’avete inventata?

Gazza: Allora, il simbolo l’ho ideato io, che sono praticamente il grafico ufficiale del gruppo, ingrato lavoro (ride, ndr). Il simbolo è una rappresentazione concettuale dell’ideologia del gruppo. Se lo si guarda bene, è il simbolo dell’anarchia rovesciato, e un po’ decorato, ovviamente. L’idea qual è? C’è questo ideale anarchico, che noi perseguiamo, per il quale le concezioni del mondo esterno non sono altro che imposizioni senza alcun fondamento: conseguentemente, insomma, l’anarchia sarebbe la condizione ideale. Il capovolgimento del simbolo è legato all’idea che questo tipo di anarchia non potrà mai esistere, è un’utopia senza alcuna speranza.

Zuk: Il rovesciamento rappresenta un po’ anche il caos, il disordine del mondo reale in cui viviamo, che si scontra, appunto, con l’ideologia del simbolo.

M.B.: Qui cito un pezzettino che ho tratto dal vostro sito, e che dice: “Nomi come Nietzsche, Hobbes, DeSade, Orwell, Darwin, LaVey rappresentano per noi piccoli tasselli di un mosaico più complesso”. Volevo sapere che rapporto avete con ognuno di questi personaggi che sono più o meno conosciuti.

Zuk: Noi abbiamo comunque un rapporto abbastanza stretto con la filosofia. Siamo convinti che bisogni dare sempre un messaggio nei nostri testi, e non parlare semplicemente delle classiche tematiche che si possono riscontrare oggi nella musica rock che, sinceramente, per come la vedo io, è un po’ in decadimento. Specialmente Orwell è stato preso in considerazione nella realizzazione di “Files…”, in quanto siamo tutti appassionati dal suo libro, “1984”. Abbiamo preso questo mondo, lacerato da una dittatura, dove l’informazione non arriva e, quando arriva, è comunque distorta e il fruitore, rispetto ai media, non ha la possibilità di verificare la veridicità delle informazioni che gli arrivano. Ogni tipo di sentimento è amministrato da un ministero, quindi non c’è nessun tipo di libertà, né individuale né collettiva. Poi, anche Nietzsche, con la volontà di potenza, una cosa che aveva già fatto Marilyn Manson ai suoi tempi. Abbiamo deciso di togliergli quella patina, diciamo, facilmente fraintendibile che aveva l’artista e tentare di focalizzarci di più sul suo pensiero.

M.B.: Altri nomi… per esempio, Darwin? Darwin che, comunque, è strettamente collegato con Nietzsche, perché dal pensiero di Darwin si svilupperà per esempio quello del superuomo…

Zuk: Appunto, è legato a questo. Noi non prendiamo in considerazione Darwin solo come scrittore e, principalmente, legato anche all’ambito della scienza, ma anche più per il darwinismo sociale che si è formato in Inghilterra negli anni subito successivi alla pubblicazione della sua opera. Di conseguenza, trasmettere quest’idea di prevaricazione sociale, in un certo senso, la legge della giungla, possiamo dire, la sopravvivenza del più forte e il soccombere del più debole. E poi Anton Szandor LaVey, fondatore della Chiesa di Satana. Ci tengo intanto a precisare che secondo la Chiesa di Satana non esistono caproni né nulla del genere: Satana non è una divinità, se non un simbolo. È un simbolo dell’individualismo della persona. La persona, praticamente, si erge a qualcosa di superiore, si erge, se vogliamo anche usare un termine nietzschiano, a superuomo, coltivando quelle che sono le sue passioni -l’arte, la scrittura, la poesia- e appagando quelli che sono i suoi desideri fisici. Solo facendo questo, appunto, riuscirà ad avere una completezza in quanto, in mancanza di un mondo ultraterreno, l’unica cosa che possiamo fare è aggrapparci a quel poco che abbiamo e valorizzare la nostra personalità fino in fondo.

S.P.: Per quanto riguarda le vostre date, avete qualcosa in programma, oppure no?

Gazza: Allora, questo è un periodo un po’ morto, perché abbiamo appena cambiato il chitarrista quindi, rispetto all’inizio stagione, in cui abbiamo fatto cinque date solo a Padova in tre mesi, adesso siamo un po’ a secco… però la prossima data sarà il 7 di aprile all’Emergenza Festival, al Banale di Padova. L’Emergenza Festival è abbastanza noto: si tratta in pratica di una gara di band che si vince in base alle votazioni del pubblico. È un festival di importanza comunque internazionale, perché si fa in tutto il mondo. Si farà ovviamente una finale italiana, e poi una finale mondiale, con un open air enorme. Chiunque volesse venire a vederci è ben accetto, 5 € di prevendita, ci può contattare sul nostro sito.

M.B.: Il vostro album è stato autoprodotto. È una vostra scelta o è stata dettata dalla necessità? Contate un giorno di rivolgervi alle case discografiche?

Zuk: Prima di tutto, entrambe le cose. La prima è che non abbiamo nemmeno presentato questo lavoro alle label sia perché deve ancora uscire, e quindi per presentarti ad un’etichetta discografica dovresti avere un lavoro competitivo. Sinceramente ritenevamo che “Angels & Cutters” non ci rappresentasse più dal punto di vista sonoro, ed essere magari accettati da qualche label, o scartati –cosa molto più probabile- per un lavoro che non sentivamo nostro, non ci pareva la cosa ottimale da fare. Come secondo discorso, c’è quello dell’indipendenza che ti può dare un’autoproduzione, la libertà di lavoro ed il fatto che non si è in alcun modo condizionati da influenze esterne. Adesso stiamo passando alla fase di mixaggio dove, strano a dirsi, c’è il più grande getto di fantasia, perché ci si sbizzarrisce coi suoni, con gli effetti, con le sfumature di ogni singolo pezzo ed è una cosa che non sarebbe davvero possibile, se inseriti in una label discografica e in un mondo discografico, comunque, al declino.

M.B.: Mi ricollego con un’altra domanda che, comunque, col vostro universo musicale c’entra relativamente poco, essendo il genere diverso. L’ultimo album dei Radiohead, “In Rainbows”, è stato distribuito solo attraverso il loro sito ufficiale e i fan, volendo, potevano pagarlo quanto lo volevano, partendo da una sterlina in su. Che cosa pensate di questo nuovo modo di distribuire dischi?

Zuk: Bah, non saprei, sinceramente… è un sistema che non funziona. Trent Reznor, cantante dei Nine Inch Nails, ha prodotto in questi mesi un album di Soul Williams, un artista che spazia dall’industrial all’hip hop. Williams poneva nel suo sito due possibilità: scaricare il disco gratuitamente, con una qualità pessima, oppure scaricarlo per cinque dollari. I risultati sono stati che il cd è stato acquistato circa cinquantamila volte, che è uno sputo riguardo a quello che si aspettavano, visto che si proponevano di competere con le major discografiche, mentre circa centomila persone l’hanno scaricato gratuitamente.

M.B.: Con una qualità indecente… quindi, per te, non c’è più il culto del cd? Non c’è più il culto di dire: “Ho il disco originale, quindi ho un suono migliore, perciò posso godermi anche maggiormente questo suono”? Si tende ad avere tutto subito?

Zuk: Più che altro, c’è un disinteresse generale verso la qualità della musica, la qualità del suono che si ascolta e, comunque, verso il panorama musicale in generale. Poche persone vanno ad assaltare i negozi di cd per cercare la copia dell’ultimo disco del loro autore preferito…

N°00026: Comunque, ricollegandoci a questo discorso, ho notato comunque un orientamento positivo sia da parte di molte case discografiche –la Sony, la Virgin ogni tanto- e di alcuni negozi che hanno capito quale sia il nodo della questione in Italia, più che in altri paesi europei. Il prezzo del cd… vabbè, in Italia un cd nuovo costa 20 €, però ci sono negozi in cui magari li vendono a 10… case discografiche che fanno offerte su intere discografie. Quindi, secondo me questa è la vera cura per il download. Qualcosa si sta muovendo, è già un passo avanti. Piuttosto che le sanzioni proposte in passato, questa si avvicina a quella che potrebbe essere l’unica vera soluzione.

S.P.: A me e Marco sorge un’altra curiosità, che poniamo a Gazza. Per quanto riguarda la voce, trovate difficoltà nel cantare in inglese? Ovvero, che differenze ci sono dall’inglese all’italiano nel cantato?

Gazza: Allora, io ti dico intanto che è ho un problema internazionale: quello della erre moscia (ride, ndr). Posto questo, io con l’inglese mi sono sempre trovato discretamente, l’ho studiato, ho sempre avuto un inglese discreto, alla fin fine. Il problema (ride, ndr) è stato un altro: che io, prima di entrare nei SuiciDEATHome, non avevo mai cantato in nessun altro gruppo. Cioè, arriva Zucchero, mi prende in parte e mi dice: “Vieni nel mio gruppo”… mi aveva sentito cantare in macchina, tra l’altro, Marilyn Manson, quindi neanche… Whitney Houston…

Zuk: E stonandolo! (ride, ndr)

Gazza: Il problema principale era proprio imparare a cantare, quindi. Io ho imparato a cantare durante il mio percorso col gruppo. Poi, dopo un po’, ho iniziato a prendere lezioni… a parte il resto, la lingua inglese ha una buona musicalità, che spesso l’italiano non ha. Una volta abbiamo fatto un esperimento, di un testo scritto in italiano, ma non ci ha soddisfatti particolarmente.

M.B.: Infatti, quelli che lo fanno o lo fanno malissimo, oppure lo sanno fare veramente bene. Però ci vuole, comunque, uno studio di fondo, secondo me, una conoscenza non solo della musica ma proprio anche della stessa lingua per adattarla, in un qualche modo. Le due cose si completano a vicenda. Non prevedi che in futuro potrai usare dei testi in italiano?

Gazza: Guarda, ti dico, certe volte ci penso, e dico che mi piacerebbe, più che altro perché, come hai detto tu, sono molto pochi i personaggi che cantano in italiano in generi come il nostro, la trovo una cosa estremamente originale. Ma, piuttosto che farlo –e farlo da schifo- preferisco tenermi l’inglese.

S.P.: Come vi trovate ad usare Internet e MySpace? Come siete approdati, diciamo, alla rete?

M.B.: Soprattutto: è un buon modo per farsi conoscere?

Gazza: Guarda, mi hai chiesto se è un buon mezzo per promuoversi… è un passaggio naturale, secondo me. Oggigiorno, ogni band trova un mezzo di diffusione su Internet sicuro e anche parecchio efficace perché, comunque, noi tramite MySpace riusciamo ad avere commenti, contatti, sia col nostro pubblico che con altre band. Ci siamo adattati.

M.B.: Concludiamo l’intervista con una domanda riassuntiva. Se io prendessi i vostri lettori mp3 e guardassi la lista, che artisti troverei?

Gazza: Allora, è lunga, eh… Sicuramente un po’ di gruppi dark vecchio stampo, quindi Cure, Siouxsie And The Banshees, Joy Division, Christian Death e tutta questa gente qua. Musica più moderna, elettronica ed EBM, poi Marilyn Manson, Nine Inch Nails, Death Stars…

Zuk: Per quanto riguarda me troveresti Nine Inch Nails, Marilyn Manson, anche David Bowie, comunque… Madonna (ride, ndr), Soul Williams… Poi anch’io un po’ di dark wave anni ’80, un po’ di Cure, Joy Division, e del rock anni ’90, come ad esempio Foo Fighters, che a molti possono sembrare disimpegnati ma secondo me hanno un’ottima sonorità.

N°00026: La mia playlist è stata ampliamente esplicata dagli altri due, in quanto io sono un amante soprattutto del suono anni ’80, e una pletora di gruppi underground che sarebbe superfluo citare… i Second Coming, tanto per dirne uno. Hanno pubblicato tre vinili tra l’83 e l’85… è uscita da un po’ di tempo un’antologia. Anche in ambito rock, Skeleter Family, ma ne avrei un libro pieno di complessi così… Ah, colgo l’occasione per pubblicizzare i Bohemian, riformati dall’85 ad oggi, che sono in attesa del loro secondo full-length… non sono molto famosi, ahimè.

M.B.: Domandina a bruciapelo: Beatles o Rolling Stones?

Gazza: Mmm… Beatles.

Zuk: Beatles!

N°00026: Beatles anch’io.

Collegamenti utili:

Sito ufficiale  http://suicideathome.altervista.org

MySpace   http://www.myspace.com/suicideathome

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