A Live - Cesare Basile (Roma, 16.05, Lian)

Live - Cesare Basile (Roma, 16.05, Lian)

Cesare Basile si aggira pensoso e inquieto tra cavi, strumenti, amplificatori e valige, come se stesse cercando di ritrovare il filo di un discorso lasciato a metà. La sua espressione è tra l’assorto, il severo e lo sconsolato. È proprio come le sue canzoni, mi dico. Ma appena uno dei suoi compagni d’avventura gli si avvicina ecco che regala sorrisi dolcissimi, mentre gli occhi e le profonde occhiaie si riempiono di gioia fanciullesca. Basile è nobile e carismatico nocchiero della sua band, ma anche discreto e umile amicone, accorto dispensatore di consigli, attento ascoltatore.

Quando la band è sul palco questo mondo fatto di sottili tormenti, di sguardi schivati così come di sguardi dolci e profondi, si tramuta improvvisamente in un piccolo, sordido purgatorio che odora di muffa, di cenere, di malto, di sangue secco, di legno e d’antico.

“Antico” come il linguaggio di canzoni come Gli Agnelli e Canto Dell’Osso, le quali aprono il concerto romano tra desolazione e asprezza folk-noir.

Qual è il rapporto di Basile con la religione, chiedo all’artista, adagiandomi idealmente nei solchi sotto i suoi occhi che prima fissavano rilassati la sigaretta e ora sembrano invasi da mille brutti pensieri: “non sono interessato a seguire la comunità religiosa. Mi interessa la figura di Cristo e la sua vicenda “umana” ” mi risponde lui sicuro.

A tutte ho chiesto meraviglia, Donna al pozzo, la straziante, splendida All’uncino di un sogno (dal vivo è almeno il doppio più bella) lavano le mani dal sangue che si era sparso sul palco durante Canto Dell’Osso, con la loro pacatezza celante amarezza e struggente malinconia, anche se comunque i pezzi risultano alquanto diversi per resa sonora rispetto alle delicate versioni in studio. Cesare (che, apparentemente distratto e svogliato, invece dimostra di ascoltare con assoluto interesse le domande) mi racconta dell’incontro con John Parish, e discutiamo anche di quanto abbia contribuito al risultato finale delle canzoni il produttore americano, descritto come una presenza importante sì, ma discreta, mai eccessivamente invadente.

Torna a spaccare il cuore e, in senso buono, a massacrarci i timpani (riprendendo e storpiando i versi della canzone) Fratello Gentile, eseguita in una indimenticabile, truce versione.

Si prosegue con brani tratti da Hellequin Song, con le Feste di ieri e Il deserto. Il violino, affiancato alle tradizionali chitarre, basso e batteria, traccia scie di sangue e lacrime sulle pareti di suoni e parole che ci avvolgono in quest’atmosfera intima, permeata da una, direi, surreale tristezza che prende a farci compagnia fino a farci, per paradosso, sorridere.

Cesare mi svela di aver scoperto il blues solo relativamente di recente, circa una decina di anni fa. Ma più che la struttura musicale del blues, il cantautore ci tiene a sottolineare che sono l’attitudine nei confronti della vita e lo spleen del blues che lo hanno affascinato.

Non apre mai gli occhi Basile, se non per strappare parole al leggio. Gli chiedo se si ispira a qualche autore, nello scrivere i testi. Mi confessa di leggere moltissimo, spesso in maniera compulsiva. Benn, Chekov, Dostoevskij, Bukowski alcuni dei suoi autori preferiti. “Più che il significato di un’opera io credo che ogni libro contenga una promessa” mi dice con pupille rutilanti l’artista. Poi mi racconta anche dei suoi scritti su myspace, tirati fuori dai suoi quaderni e appunti sparsi per casa: un tentativo per “vedere che effetto fanno”, più che la testimonianza di una volontà di prendere seriamente la strada dello scrittore.

Scivolo sul fondo del bicchiere alcolico di Basile, rapito dai versi di 19 Marzo, A che serve lo Zolfo, Storia di Caino (ed è rabbia pura!), Per Nome (ed è vero romanticismo), Apocrifo, Il fiato Corto di Milano (in questa occasione, meno “sbarazzina”), Sul mondo e sulle luci, Venere, la suonatrice di Hammond (perfetta per il club illuminato da lunghe candele e occhi di ragazze) . Spuntano sorrisi tra i componenti della band. Sorrisi che fanno meravigliosamente a pugni con gli abiti scuri scelti per la performance.

Non dà fastidio al catanese l’accostamento con De André, anche se non vorrebbe mai risultare come un inutile epigono del celebre cantautore genovese. Oltre che per poter ammirare la grazia e la potenza della band che lo accompagna, il live è utilissimo per comprendere la fortissima personalità di Basile, in realtà uguale solo a se stesso, al di là dei soliti paragoni.

Ti porti addosso il tormento delle tue canzoni dopo aver dato tanto dietro il microfono” chiedo all’artista. “Fondamentalmente sono un cazzone” risponde lui con suprema autoironia, mostrando di nuovo quella espressione giocherellona che fino ad ora si è alternata a sguardi sconsolati nel vuoto e sulla sigaretta artigianale. Non posso far altro che ridere insieme a lui, anche se con un po’ di imbarazzo.

Il concerto si conclude dando spazio a due brani estratti da Gran Cavaliera Elettrica e due da Hellequin Song: In Coda e Pietra Bianca sono da pelle d’oca, tra versi sussurrati e disperati sussulti, mentre To Speak Of Love e Dal cranio si sposano perfettamente con l’oscurità del quartiere di San Lorenzo graffiata dal giallo dei lampioni, incantando tutti i presenti.

La tua voce è sempre stata così? Non posso non notare il contrasto tra la sua gentilezza e la crudezza e la schiettezza di certi versi

No. Non è stata sempre così, ma ora più che sfogarmi cantando mi interessa raccontare delle storie

Chissà quante promesse scoverò tra le parole di Basile, quali rivelazioni mi indicheranno la via per uscire da questa notte.

C Commenti

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Alessandro Pascale alle 15:06 del 26 maggio 2008 ha scritto:

bravo!

bella l'idea di mischiare intervista e report live in un'opera unica che mi sembra consentire una lettura più agevole e interessante rispettoai report "normali". Bravo Luca, ottimo lavoro!