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R Recensione

7,5/10

Cesare Basile

U fujutu su nesci chi fa?

Con il decimo disco in studio a suo nome, Cesare Basile conferma il siciliano come unica lingua dei suoi testi, scelta che gli ha già fatto guadagnare due Targhe Tenco per il miglior disco in dialetto. E con questo nuovo U fujutu su nesci chi fa? le possibilità di arrivare ad una tripletta sono molto alte. Il disco rappresenta infatti un ulteriore passo avanti nella ricerca del cantautore catanese, ricerca della radici della musica della sua terra e non solo. Il viaggio di Basile arriva qui a toccare le radici del blues, quelle più profonde, quelle che partono dall’Africa e arrivano in America del Nord, fondendosi con il folk e la musica popolare del mediterraneo, e con la cultura popolare della Sicilia, presente fin dall’apertura del disco, con quella voce che recita lo Scongiuro, a cui segue la Lijatura, dove prevalgono i toni scuri, e le chitarre  richiamano il desert blues dei Tinariwen. Il sortilegio raccontato è quello che tiene legati ai padroni: ancora una volta, la condizione degli sfruttati è al centro dei temi di Basile. Sfruttai e sconfitti, come il protagonista di Cola si fici focu, dove chitarra e percussioni colorano di mediterraneo un brano ritmato, in cui si racconta di un carcerato che per sfuggire all’inferno delle carceri si dà fuoco. Un classico tema dei racconti e delle ballate popolari, accompagnato da una melodia quasi pop.

In Storia di Firrignu Basile si trasforma in vero cuntastorie, cantando sottovoce, quasi recitando, raccontando nel tipico stile dei pupari siciliani, con tanto di citazione per la leggenda di Rinaldo e Orlando, accompagnato solo da poche note di chitarra e suoni percussivi. E quello delle percussioni è uno dei suoni predominanti del disco. In U scantu accompagnano i suoni cupi e la voce cantilenante di Basile, in Tri nuvuli ju visti cumpariri vestono di suoni antichi la canzone, come antica suona la voce del cantautore siciliano. Un brano basato sui suoni reiterati delle percussioni e poche note di strumenti a corda. Una canzone che ha su di se la polvere dei secoli, un racconto che potrebbe appartenere alle tradizioni popolari tramandate oralmente di generazione in generazione. Un affascinante e misterioso folk blues, uno dei brani più riusciti del disco, insieme alla title track, U fujutu su nesci chi fa? Qui si incrociano chitarra e percussioni, suoni e voci tra mediterraneo e Africa, alla ricerca delle radici comuni del blues, tra il Mali e la Sicilia. Un brano che potrebbe trovare giusto spazio in tanti dischi del cosiddetto desert blues usciti negli ultimi anni, posizionandosi da qualche parte tra il deserto del Sahara dei Tinariwen, i suoni mediorientali di Omar Souleyman e il tuareg blues del nigeriano Bombino, dove l’Africa e il deserto incontrano la Sicilia, in  una sorta di Volta la carta in siciliano, ma con una visione meno gioiosa e più tragica. Una canzone splendida, uno dei vertici del disco.

Molto belli anche i brani musicalmente meno ruvidi del disco, dalla ballata Cincu pammi (cinque palmi è la misura del bastone siciliano), in cui in evidenza sono le note di un piano che accompagnano la voce di Basile, che qui si fa più dolce, meno aspra che in altri momenti del disco, al lento  Fimmina trista fimmina nata, dove il cantautore siciliano sceglie una voce femminile, cori afro, chitarre e percussioni, per raccontare ancora una volta il tema della condizione della donna nella nostra società. Chiude il disco Cirasa di Jinnaru, un lento per sola voce e chitarra acustica, una bellissima e struggente canzone che descrive l’amore come una ciliegia di gennaio: nessuno ti coglie senza amaro.

In U fujutu su nesci chi fa? il cantautore catanese fa convivere le leggende della cultura tradizionale e popolare e la vita quotidiana, le tradizioni folk e il blues, l’africa e il mediterraneo, in un quadro dove tutto si mischia, il nuovo e l’antico, in un mondo dove il potere è sempre raffigurato come oppressione dei più deboli. Un lavoro profondo e intenso, dove ancora una volta Cesare Basile ci sorprende con una voce che emoziona, con suoni che provengono dal passato e parole che raccontano storie antiche ma dicono di noi, oggi e del nostro presente quotidiano.

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