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R Recensione

7/10

Cesare Basile

Sette Pietre Per Tenere Il Diavolo A Bada

Arrivato al settimo capitolo della sua carriera discografica, Cesare Basile continua il suo percorso originale e particolare a metà tra rock e canzone d’autore, con riferimenti alti non solo nella musica (da Nick Cave e Tom Waits, da Fabrizio De André a Giovanna Marini)  ma anche nella letteratura (da Ignazio Buttitta a Danilo Dolci) con un lirismo e una capacità di scrittura che ha pochi eguali in Italia.

Questo disco, nato in due anni di lavoro di Basile peregrinando in maniera quasi casuale, è in realtà un’indagine negli antri più profondi e oscuri dell’animo umano, tenendo come punto fermo la sua Sicilia, le sue contraddizioni, le sue radici.

La Sicilia è quindi ben presente, a partire dalla splendida riproposizione di  La Sicilia havi un patruni (di Buttitta e Rosa Balistreri, una delle più grandi interpreti e ricercatrici del folk italiano), con  chitarre e tammorre, ed un testo splendido in siciliano. Un canto d’amore per questa isola, da sempre sfruttata, derubata, stuprata e resa schiava.

Cantata in dialetto siciliano anche E  alavò,  con la  splendida la lap steel di Roberto Angelini, e un gran bel testo in cui sembra spuntare la Sicilia già raccontata dal Verga rivisitata agli anni zero  del nuovo secolo (i baroni han scacciato le troie, e comprato le case, che la roba concima la roba mentre i morti si mangiano i morti).

Un’altra grande interprete del folk italiano ben presente a Basile sembra essere Giovanna Marini. In Sette spade, una classica ballata cantautorale italiana (alla De Andrè) legata alla tradizione del nostro folk, con percussioni, chitarre, tammorra, e con un testo splendido, che cita ampiamente il grande Lamento per la morte di Pasolini della Marini, da cui riprende la scansione temporale del testo con lo scandire delle ore, (e la frase leva le gambe tue da questo regno che a sua volta la Marini riprese da un testo liturgico a cui lei stessa si ispirò per la composizione del testo). Qui però non si parla dell’omicidio di Pasolini, ma di quella che appare a tutti gli effetti l’esecuzione di una condanna a morte, (sparata in testa a gloria dei ruffiani, sputata come cani dai signori, due giorni dopo le brave persone, passarono da casa a visitare, tu mangi terra e loro mangian pane).

Ma la grandezza di Basile è quella di riuscire a far convivere queste radici con la musica rock americana, creando uno stile unico e proprio. Così in L’ordine del sorvegliante, con la sua ritmica ossessiva, la chitarra acustica, l’armonica e le percussioni, le sonorità oscure a cui si contrappone una voce quasi delicata, oppure in Il sogno della vipera, una slow ballad con il violino toccante di D’Erasmo, vengono alla mente le cose migliori di Nick Cave.

Strofe della guaritrice è uno dei momenti più alti del disco, un brano duro, aperto da un bel coro nell’intro, una canzone ossessiva, scura, tesa (con la mente si va ancora al miglior Nick Cave) e lo splendido contrappunto del violino, per un testo venato di pessimismo (i vermi ce li abbiamo dentro tutti, così mangiamo per noi e per i vermi, il signore è così che lo vuole il mondo, se non campano i vermi nessuno può campare).

Canzoni in cui si parla di storie sempre crude, maledette, murder ballads, come L’impiccata,  con i fiati che danno un tocco alla Tom Waits, o Elon lar ler, su un’aria quasi sognante creata dal dolce suono del violino, un’altra murder ballad dal testo crudo (un uomo che per amore della propria donna, uccide la madre e le strappa il cuore, quel cuore che anche senza più il corpo straziato, continua a preoccuparsi più del figlio che di se stessa). Solo voce, archi e fiati, con il fondamentale apporto di Enrico Gabrielli e Rodrigo D’Erasmo, qui come in quasi tutto il disco.

Cantato in maniera splendida, con grandi testi e canzoni intense, che colpiscono al cuore e allo stomaco (ne Lo scroccone di cioran sembra di sentire il De André più alto e ispirato), Sette pietre per tenere il diavolo a bada è probabilmente il capolavoro della carriera di Cesare Basile, che dimostra di avere una cultura musicale profonda e senza barriere di genere, di epoca, e geografiche, e sicuramente uno dei dischi più belli della storia della canzone d’autore rock italiana degli ultimi anni.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 3 voti.
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