R Recensione

7/10

Fjieri

Endless

A volte la speranza (quasi una fede) che la musica riesca a manifestarsi nelle sue piene potenzialità espressive viene ripagata dalla scoperta di dischi come questo dotati di un respiro davvero profondo, capace di travalicare il paese di origine (l’Italia) coinvolgendo strumentisti che hanno partecipato all’evoluzione del rock alternativo Inglese come Mick Karn, Richard Barbieri, Tim Bowness, Peter Chilvers, Gavin Harrison.

Per chi conosce il percorso dei musicisti citati, più o meno avrà intuito che ci si muove “in famiglia” (tra i Porcupine Tree, i Japan/Rain Tree Crow, ovviamente il trio Jansen/Barbieri/Karn, i no-man): ciò non limita minimamente l’apertura alare dei brani nati attorno al quartetto “base” costituito da Nicola Lori (chitarre), Stefano Panunzi (tastiere), Angelo Strizzi (batteria) ed Elio Lori (basso). Piuttosto la stretta amicizia e l’appartenenza al medesimo contesto culturale di tutti i personaggi coinvolti focalizza ancora di più le idee e le suggestioni sonore. Molti degli “incontri” che danno vita a “Endless” sono nati in realtà già durante la realizzazione del primo album solista di Stefano Panunzi, “Timelines” del 2005, che già racchiudeva in sé l’humus dal quale i Fjieri avrebbero attinto. 

La partecipazione di Richard Barbieri non è una semplice guest-appearance: dopo l’ascolto dei demo iniziali il tastierista inglese decide di entrare nelle dinamiche di scrittura, ridefinendo la struttura stessa dei brani. “Endless” cerca di trovare un equilibrio tra potenza e raffinatezza, tra momenti di puro vigore prog-rock (anche se siamo fortunatamente lontani dai virtuosismi vuoti da cui la scena Progressive troppo spesso non è riuscita ad affrancarsi) e ampi frangenti di suggestione poetica. I riferimenti sonori sono già tutti sulla carta, ma l’opera di (ri)attualizzazione di un suono figlio tanto del progressive quanto della più sperimentale new-wave inglese, consente risultati talvolta inediti (l’eterea A Big Hope, l’adombrata Marcinelle, con accenti che rievocano i percorso degli Enigma). 

I punti più alti e graffianti tuttavia sono paradossalmente quelli nei quali l’originalità viene meno: Ad Occhi Chiusi intensamente interpretata da Andrea Chimenti, vicina com’é agli stilemi del suo canzoniere, Breathing The Thin Air decantata da un sempre sospirante Tim Bowness (ospite anche nella meno efficace Endless), The Breath Of The Earth, che si manifesta come un ideale omaggio ai Porcupine Tree era “Signify”. Strano l’esperimento di Soul Eaters ipnotico electro-rock (che rammenta i Rush della fase Anni ‘80), a cui presta la voce la singer nipponica Haco, che si dipana fra liriche in inglese e in giapponese (che colpiscono più per la peculiarità che non per l’opera di contaminazione culturale).

Resto dell’idea che “Endless” sia un disco più interessante per le intuizioni e per il campionario sonoro che propone che non per la reale coesione della materia musicale emanata. Sarà necessario seguire gli sviluppi di questo ensemble aperto e sviluppato “a distanza”: da molto tempo i musicisti non hanno più la necessità di convivere in uno studio di registrazione per elaborare le proprie affinità alchemiche, essendo la tecnologia ormai totalmente in grado di azzerare il tempo condiviso e lo spazio fisico. Posso permettermi di dire che si sente?

www.myspace.com/fjieri

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