R Recensione

8/10

Porcupine Tree

In Absentia

Dicasi in queste righe "purista" colui che scopre, ascolta, esplora e si affeziona ai primi lavori di una band: la band, per il purista, si identificherà sempre in quei primi suoni, intimamente legati da un irrecidibile filo sino ai meandri del suo cervello, al punto che ciò che si allontanerà da essi, se pur di evoluzione si tratti, alle orecchie del purista suonerà come qualcosa di necessariamente sbagliato. Non si tratta ovviamente di un meccanismo razionale, per mettere subito in chiaro le cose: il purista ragiona e valuta in assoluta buona fede, e direi che tutti noi, volenti o nolenti, lo siamo, rispetto a qualche gruppo o artista che ci sia caro.

Non è questo il mio caso con i Porcupine Tree. Ci sono arrivato un po' tardi, non ho quindi avuto modo di legarmi ai primi gradevolissimi e un po' leziosi suoni di Wilson, Wilson e Wilson. Mi sento dunque più libero nell'affermare che In Absentia, per quanto ne sia distante, e per quanto segni una svolta decisamente più ammiccante a una maggior vastità di pubblico, è davvero un album di quelli grossi, che secondo i miei crismi guarda stabilmente dall'alto in basso alle altre produzioni del Porcospino.

Variopinto, ricercatamente orecchiabile, squisitamente abbondante di pezzi di punta nelle loro performance live, il disco - pur non privo di qualche caduta ed eccessive ampollosità - è pienamente godibile da seguaci di svariati generi e scuole, alternando magistralmente brani dagli spinti climax strumentali a pezzi dall'armonioso e lento riecheggiare onirico e levigante, appoggiandosi talvolta a sonorità di un quasi prog-metal che, tuttavia, non è certo il favorito tra i generi/etichetta candidati a definirne l'appartenenza.

Steven Wilson, pur confermandosi artista di raro eclettismo e raffinata intelligenza musicale, è supportato da strumentisti di impeccabile tecnica e discreta personalità (Già noti Colin Edwin al basso e Richard Barbieri, tastiere; da segnalare l'elegante e personalissimo drumming di Gavin Harrison, batteria e percussioni), al servizio di un'opera che ci rimanda, dicevamo, a svariate influenze, dichiarate o meno che siano: Pink Floyd e King Crimson da sempre ostentatamente fra i mostri sacri di Wilson, ma cogliamo qui e là sfaccettature cupe e malinconiche di stampo Black Heart Procession, in alternanza a scelte strumentali dietro l'angolo del prog-metal riconducibili in parte al gemellaggio Opeth; non mancano richiami a un certo progressive-pop d'autore di potenziale firma Marillion.

Si comincia con Blackest Eyes: il brano è apertamente melodico e mostra subito due facce differenti, celando un armonioso giro di accordi acustici che accompagna la voce pulita e riecheggiante di Wilson all'interno di un guscio più duro, che ne affida apertura e chiusura ad un riff di stampo decisamente metal. Ne risulta un buon connubio che va a sancire un'apertura carica e aggressiva, sulla quale, a seguire, avrà però la meglio la strada acustico-melodica: Trains difatti prosegue su un sentiero più folk, rimane un brano stabilmente melodico e ci regala un giro di accordi per nulla banale nella sua orecchiabilità, gratificata nella seconda parte da un attacco strumentale più duro ed elettrico, che tuttavia non ne snatura la ricercata finezza. Segue Lips of Ashes, breve ed intenso intermezzo in cui la ripetizione di un malinconico arpeggio di chitarra funge da base per l'intrecciarsi di una coralità di effetti dal sapore riecheggiante e onirico, preparando il terreno ad un assolo di grandissimo gusto, breve ed intenso, che va poi a sfumare nel finale: preludio per l'attacco di The Sound of Muzak, il brano a mio parere più riuscito del disco, che apre in un secco sette quarti in cui un ottimo fraseggio basso di chitarra è tenuto in piedi da una trascinante batteria dalla struttura sicura e solida. Il ritornello torna poi nei più accessibili 4/4, esprimendosi in un'orecchiabile melodia corale, dando all'insieme quel tocco pop che lo rende un pezzo quasi ballabile; assolo a seguire nuovamente all'interno dei sette quarti, al solito di grande spessore, tecnicamente semplice ma basato su una scelta effettistica di distorsione perfetta per il contesto.

Dopo tal felicissima apertura d'insieme, il livello qualitativo va però ahimè ad abbassarsi nella parte centrale: Gravity Eyelids è un bel pezzo ma un po' in calando rispetto ai precedenti, e Wedding Nails, insieme a The Creator has a Mastertape , sono a mio avviso i punti meno convincenti dell'opera; il primo è decisamente una tamarrata, con accento metal decisamente troppo marcato rispetto al contesto in cui eravamo immersi grazie ai primi brani, e il secondo pecca di eccessiva ostentazione, contribuendo in fin dei conti a spezzare quella fluidità d'insieme che si era inizialmente creata; in mezzo all'infelice accoppiata, per fortuna, due buone ancore di salvataggio una in fila all'altra: Prodigal è un buon pezzo melodicamente pop, impreziosito da distorsioni pungenti ma trascinanti, e in .3 spicca un notevole giro di basso che diventa buona architettura per un riuscito climax effettistico-strumentale.

E' tuttavia con il decimo brano, Heartattack in a Layby, che l'opera torna sulle cime più alte: dolenti note di struggente malinconia animano i rintocchi di un pianoforte sul quale il canto sembra giungere da lontano, dapprima in solitudine, e via via, nel finale, in uno squisito dialogo di controcanti che andrà a raggiungere un'altissima profondità emozionale. Impossibile che un gioiellino così possa lasciare indifferenti: ci staremo ancora pensando al passare di Strip the Soul, pezzo lungo e piuttosto cupo con qualche schitarrata forse di troppo, che a dire il vero passa un po' inosservato poichè inserito fra due brani di grandissimo impatto emotivo: il finale, Collapse the Light into Earth, è infatti un meraviglioso crescendo di coralità strumentale, sulla base di un lento e circolare giro di piano che si ripeterà inesorabile senza chiudersi mai: il miglior tramonto per un'opera di fattura davvero pregevole, ricca di ottimi brani di cui ci si stancherà difficilmente.

Peccato per quei pezzi forse di troppo, messi nel mucchio con la probabile intenzione di accontentare una buona fetta di pubblico, dalle esigenze più dure rispetto a quello che sarebbe potuto essere il senso unitario del lavoro.

Un lavoro ad ogni modo dall'indubbio valore artistico, con cui i Porcupine Tree possono abbondantemente permettersi di scendere a compromessi, forti di una freschezza di idee che coinciderà con un punto di positiva e meritata svolta all'interno del loro percorso.

V Voti

Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 19 voti.
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lev 8/10
giank 9/10
gi4ndo 9/10
motek 8/10
madcat 10/10
loson 7/10
luca.r 7,5/10
brogior 8,5/10
Dengler 6,5/10

C Commenti

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swansong (ha votato 9 questo disco) alle 12:58 del 5 agosto 2009 ha scritto:

Quest'uomo lo adoro..

...ormai credo che qui dentro, per quel che può fregare, un pò tutti sappiano della mia viscerale ammirazione per mr S.W., vero e proprio Re Mida della musica rock contemporanea. In ogni suo progetto, sia esso personale (Porcupine Tree, Blackfield, No Man i più rilevanti, per non tecere dell'ultimo fantastico Insurgentes) o di mera collaborazione artistica e/o tecnica (Opeth, Paatos..) riesce ad esprimersi spesso su livelli estremamente interessanti; a mio modo di vedere anche innovativi, ma sempre, comunque, meritevoli, quantomeno, di un attento ascolto.

Come giustamente osservato dalla pregevole recensione di Emanuele, questo lavoro apre, per così dire, la seconda controversa fase del gruppo. Anche se, in verità, già i precedenti ottimi "Stupid Dream" (voto 9) e "Lightbulb Sun" (voto 9,5) abbandonavano parzialmente le sonorità più psichedeliche dei primi lavori. Nuova fase, appunto, ammiccante ad un sound, soprattutto di chitarra, più duro, ma al contempo ritengo anche più personale, oltre che innovativo.

Nel complesso che dire: semplicemente un disco che io trovo straordinario, ultra moderno per qualità di produzione (quasi "tooliana" in alcuni frangenti l'atmosfera che si respira) e per certi versi all'avanguardia nella ricerca di sonorità sempre fuori da schemi pre-confezionati (e qui si sentono eccome gli studi compiuti in gioventù da Wilson quale ingegnere del suono). Il tutto, però, con un orecchio sempre rivolto al passato, all'hard rock sontuoso di Zeppelin e Who o al prog distorto e lunatico di King Crimson e VDGG o all'amatissimo kraut/space rock di Tangerine Dream e Amon Duul. Concordo sulle osservazioni circa il leggero calo di tensione nella parte centrale del disco, ma nel complesso rimane un albun stupefacente, che sarà addirittura superato dal successivo "Deadwing", forse non per la bellezza dei singoli brani, ma per una più elevata ed ispirata qualità compositiva media. Con buona pace dell'ultimo pur validissimo "Fear of a Blank Planet" che, pur essendo superiore ad almeno il 95% delle uscite odierne in ambito rock e confini, lo reputo inferiore a tutto il resto della produzione recente dei Porcospini ed in trepidante attesa di ascoltare l'imminente "The Incident". Scusate la divagazione, ma non riesco a frenare il mio entusiasmo (e la mia logorrea) quando ho la possibilità, ed un pò di tempo, per parlare di un gruppo che reputo fra i più meritevoli di essere ascoltati (in mezzo a tante ciofeche) degli ultimi 10/15 anni e con riguardo al quale, nel massimo rispetto dei gusti e delle opinioni altrui, non mi riesce di comprendere le ragioni (artistiche? qualitative? epidermiche?) per le quali non arrivi a coinvolgere un più ampio spettro di ammiratori fra il pubblico e la critica...mah! Poco importa comunque, i misteri del music business e, soprattutto, le corde emotive che ci spingono ad amare un gruppo, spesso sono incomprensibili anche a noi stessi..In ogni caso, non sò se si era capito, consiglio l'ascolto di quest'album in particolare e di tutta l'opera di questa band a tutti i gli appassionati ed esigenti amici di Storia della Musica!

denis alle 18:54 del 8 agosto 2009 ha scritto:

info

per il recensore e swansong: non sono un amante del prog, quindi avevo un pò di pregiudizi nell'avvicinarmi ai porcupine tree, sino a quando ho comprato deadwing...fantastico, album sensazionale. potreste consigliarmi qualcos'altro oltre ad "in absentia"? il progetto no man com'è? che musica fanno? grazie.

Marco_Biasio alle 16:49 del 9 agosto 2009 ha scritto:

RE: info

"Deadwing", assieme all'ultimo - ancora per poco - "Fear Of A Blank Planet", è il più scialbo dei PT. A detta del sottoscritto, se ripeschi "On The Sunday Of Life" del 1992 ci campi per mesi Bello, molto, anche il progettino Blackfield, che vira però su un rock molto più leggero, e l'ultimo disco solista di Wilson, a tratti un po' pasticciato ma nel complesso davvero bene a fuoco. Prova con questi

Emash, autore, alle 20:56 del 10 agosto 2009 ha scritto:

eccomi!

Dunque, in primo luogo mi trovo fermamente d'accordo con Swansong riguardo al signor Wilson, di conseguenza mi accoro a Marco nel consigliarti l'ascolto del suo ultimo lavoro, "Insurgentes", che non è effettivamente impeccabile, ma con una struttura qualitativa di insieme notevolissima che ne fa davvero un ottimo lavoro, e poi ci sono dei gran pezzi che basteranno da soli ad appagare le tue esigenze - e tanto per scoprire le carte parlo della titletrack, di "Harmony Korine", e soprattutto la magistrale "No twilight within the courts of the sun".

Se però dici di non amare particolarmente il prog e di preferire lavori come Deadwing, a pelle ti direi proprio di ascoltarti gli Odawas, in particolare "Raven at the white night". notavo infatti non infrequenti richiami a livello di sonorità, che ho però ritenuto troppo labili per una segnalazione ufficiale nella recensione..! nel tuo caso però a questo punto son curioso di sapere se ci ho preso!

swansong (ha votato 9 questo disco) alle 16:32 del 11 agosto 2009 ha scritto:

Allora...per quanto riguarda l'opera porcupineiana, al contrario dello stimatissimo Marco, che saluto calorosamente, "On the Sunday of life", pur essendo un ottimo lavoro (ma che te lo dico a fà), è, a mio parere, assolutamente prescindibile (a maggior ragione se ti senti più orientato verso le sonorità più attuaali) essendo il loro/suo primo progetto, scritto, prodotto ed interpretato praticamente tutto da Wilson, ancora piuttosto acerbo e, francamente, non molto personale. E' del 91 e ci sono parecchi richiami al brit pop psichedelico/semi acustico, che andava allora parecchio di moda. Già col secondo, magnifico, "Up the Downstair" (splendido già dal titolo) le cose cambiano parecchio: tanta, tantissima psicadelia ed una produzione decisamente superiore all'opera precedente e con almeno 3 o 4 brani da consegnare direttamente alla storia del rock (la title-track, "Always Never", "Burning Sky" e "Fadeaway", una delle canzoni preferite da Wilson stesso. Per non tacere poi della nuova edizione (2005) in doppio cd rimasterizzata, riprodotta ed in parte risuonata (le parti di batteria nell'album originale erano campionate, in questa nuova edizione sono state suonate da Harrison..) che contiene, nel secondo cd, una chicca inestimabile per i fan: un ep "Staircase Infinity" fino ad allora pubblicato in pochissime copie con dei brani che da soli varrebbero l'acquisto (in particolare la canzone "Yellow Hedgerow Dreamscape" - suonata interamente da Wilson - è un viaggio allucinante con uno degli assoli di chitarra più belli che abbia mai ascoltato) Da quat'album in poi per me è un susseguirsi di capolavori...ma se devi cominciare con uno, ti direi di partire con quello con cui li ho conosciuti io ormai più di 10 anni fa il cd live "Coma Divine" nell'edizione ench'essa rimasterizzata del 2005 in doppio cd, che cattura i porcospini durante il tour del 1997 di sostegno a Signify. Ebbene, a parte il fatto che è registrato (stupendamente) a Roma, qui troverai i porcospini all'apice della loro esperienza più psichedelica. Un live straordinario, tecnicamente impeccabile, ma al tempo stesso estremamente coinvolgente e raffinato, con la sola (veniale) pecca di non contenere la loro canzone più bella in assoluto (guarda caso contenuta proprio su Signify): "Dark Matter", fortunatamente riproposta a sorpresa dal vivo proprio durante l'ultimo tour a sostegno di "Fear of a Blank Planet"...buon ascolto e a risentirci se vuoi!

Dr.Paul (ha votato 4 questo disco) alle 14:00 del 12 agosto 2009 ha scritto:

ho molto apprezzato i PT in passato, anzi ho speso parecchi soldi per loro fra dischi e concerti (uno di questi strepitoso in una discoteca max 100 persone, come avere i PT nel salotto di casa, autografi su Coma divine e pacche sulle spalle, davanti a richard barbieri poi mi sarei messo in ginocchio -no battute please-, serate indimenticabili). ora li ho persi, deluso da questo disco e i successivi deadwing e fear of a blank planet, forse si era anche concluso il mio percorso da porcospino...ma la dipartita di chris maitland ...batterista di grande inventiva confronto al tecnicissimo e accademico harrison...è una delle cose che nn mi è andata giu, per non parlare della svolta in odor metal, mossa furbetta x guadagnare una fetta di mercato piu grossa (americana)....piu che reale esigenza artistica, mio pensiero.

si i primi 5 sono bellissimi, on a sunday of life, up the downstairs, the sky moves sideways (forse il mio preferito anche se molto floydiano), signify, il live coma divine. appena sufficienti lightbulb sun e stupid dream, bruttini tutti gli altri.

molto belli i progetti paralleli di No Man e IEM, gli altri nn ho avuto il piacere, il solista di wilson...boh, cosi cosi.

ah riguardo Up the downstairs, non credi swan che reincidere la batteria x una ripubblicazione/remasterizzazione sia stata una cazzata?

PS

se vi capita in occasione up the downstairs prima stampa su cd, quello con la batteria originale, prendetelo, in realtà costa una 50ina di euro sul mercato collezionistico...

lev (ha votato 8 questo disco) alle 0:18 del 22 agosto 2009 ha scritto:

questo lo trovo un gran bel disco. mi sembra che dei dischi citati dei PT non si parli di lightbulb sun, io lo trovo ottimo. voi cosa ne pensate?

Mr. Wave (ha votato 7 questo disco) alle 17:32 del 23 agosto 2009 ha scritto:

Una delle opere prog-rock più convincenti degli anni Duemila. [7.5]

swansong (ha votato 9 questo disco) alle 12:48 del 24 agosto 2009 ha scritto:

Allora..

Guarda Doc..i tuoi ragionamenti non fanno una grinza e magari hanno pure dei fondamenti condivisibili, ma, permettimi, mi pare che il tuo sia un intervento da (ex)fan "tradito" dal nuovo corso intrapreso dai Porcospini;;)). Solo così potrei spiegarmi il bassissimo voto affibiato a questo lavoro il quale, nonostante le plausibili e legittime critiche da te sollevate sul percorso musicale intrapreso dal gruppo negli ultimi anni, non tiene conto della oggettiva, notevole, caratura artistica del medesimo.

Detto questo, anch'io sono fan di vecchia data ed anch'io ho amato i dischi della prima fase, ma ho seguito e seguo con profondo interesse anche questo nuovo corso che denota una maturità musicale decisamente superiore a quella precedente: non a caso da "one man band" sono passati ad essere un gruppo in tutto e per tutto. Potrei anche essere d'accordo con te sulla caratura dei dischi precedenti a In Absentia, ma non mi convincono le tue riflessioni in merito ai lavori successivi al periodo Delirium...il percorso fatto da Wilson & C., infatti, dopo gli esordi più psich-rock, secondo me, oltre ad essere molto lineare, è anche decisamente più personale ed innovativo (se si considera la proposta musicale in sè...). Questo perchè, sebbene abbiano senz'altro aumentato la dose di testoterone rock nel sound, ciò hanno fatto però senza trascurare l'innovazione o a discapito dell'originalità stessa delle loro scelte musicali che, anzi, ne escono notevolmente rinforzate..

Poi non credo che questo cambiamento sia stato dettato da scelte legate al music business, ma se anche così fosse, non vedo che ci sarebbe di male visto che tutti i musicisti (che ciò fanno per mestiere) scrivono per vendere o, comunque, per farsi conoscere da una platea sempre più vasta (ho sempre diffidato molto da chi afferma il contrario...) In ogni caso, ciò che conta deve sempre essere la qualità dei lavori e, per quanto mi riguarda, nei lavori dei Porcupine Tree ce n'è a quantità industriale...

Dr.Paul (ha votato 4 questo disco) alle 16:20 del 21 settembre 2009 ha scritto:

scusa il ritardo swan, che dire...punti di vista, non sono d'accordo sulla quantita industriale della qualità dei lavori post coma divine. hanno prima tentato (con poca convinzione) una svolta radiofonica o pop con brani tipo four chords that made a million (non esistono brani del genere nella loro produzione delerium, quindi un passo indietro lo hanno fatto), ma ce ne sono anche altri di cui nn ricordo i titoli. hanno visto che i frutti nn venivano e hanno alzato le chitarre (difatti in america hanno notevolmente allargato il loro seguito a partire da questo album), volgarizzando però il loro sound...la vedo cosi.

nn sono mai stati particolarmente innovativi e originali i PT, pero sapevano emozionare cerebralmente anche con i silenzi, le pause spaziotemporali, oggi sono l'ennesimo gruppo prog-muscolare sulla piazza.

Marco_Biasio alle 18:13 del 21 settembre 2009 ha scritto:

Aggiungo, a margine, che l'ultimo disco è di una bruttezza terrificante...

Dr.Paul (ha votato 4 questo disco) alle 21:23 del 21 settembre 2009 ha scritto:

marco ma anche questa famosa suite di 55 min è brutta?

Emash, autore, alle 21:50 del 21 settembre 2009 ha scritto:

mi intrometto. più che brutta, per me, inconcludente. Sebbene io come da recensione non disdegni affatto la piega più commerciale - strapiaciuti sia in absentia che deadwing (ma qui è questione di gusti) - l'ultimo lavoro invece obiettivamente non sa di niente. Decisamente più convincente il disco solista di Wilson. Da qui a parlare di "bruttezza indicibile" però con calma, marco hai l'ago della bilancia un attimo fuori calibro =)

Poi capisco drPaul (cavolo mi sa che nell'intro parlo di te! ), io non ho avuto il piacere di vederli dal vivo nel primo periodo delle esibizioni più sentite e raccolte, ma adesso al limite sono arrivati a riempire il Rolling Stone (r.i.p, sigh) che non è che sia esattamente il meazza. Con questo le tue critiche come dice anche swan sono perfettamente contestualizzate e condivisibili, ma per me le stai facendo pesare un po' troppo.

Dr.Paul (ha votato 4 questo disco) alle 22:16 del 21 settembre 2009 ha scritto:

si emash capisco cosa intendi, in realtà non sono un purista, cmq anche tu dici che obiettivamente l'ultimo disco è scialbo, per me obiettivamente sono scialbi da questo album in poi! sulla bruttezza terrificante dell ultimo nn saprei, non ho ancora ascoltato...pero puo essere terrificante anche un disco suonato bene, ascolterò )

Marco_Biasio alle 22:22 del 21 settembre 2009 ha scritto:

Diciamo che è da tre dischi che mi sembra che i PT ripetano sempre lo stesso pezzo. Inizio acustico + bordata metal (ma metallaccio di quello rumoroso e alla fin fine inconcludente...) + ritornellino magari melodico e giù di nuovo con mega chitarroni. Loro non sono mai stati un gruppo metal, ergo perchè continuare ad insistere (male) su quella strada? Ne cavassero qualcosa di interessante sarei anche il primo a plaudirli, invece sono riff banalissimi, piatti, stereotipati, forzati. Non tutto è brutto, comunque, Paolo, e ti posso se vuoi segnalare "Time Flies" e "Octane Twisted". evita come la morte, invece, il duo iniziale, la title-track e soprattutto una "Drawing The Line" che nemmeno Bon Jovi scriverebbe mai...

swansong (ha votato 9 questo disco) alle 19:01 del 25 settembre 2009 ha scritto:

Alzo le braccia e mi arrendo sconsolato, eh eh..

a doc dico e ribadisco che le tue posizioni le rispetto, ma non le condivido...eppoi gli esempi, se permetti, non calzano o, comunque, faccio fatica a seguirli. Vai a pescare la canzone Four chords That made a million da Lightbulb Sun che di commerciale ha poco o nulla, anzi, il senso è propio quello opposto, visto gli inserti psich-rock ed il testo bruciante contro le major e i vari gruppuscoli "usa e getta"..non sò, dico io eh?

Per il resto che volete che vi dica. Lo ripeto, per me loro sono uno dei gruppi rock alternative più interessanti in circolazione e SW semplicemente uno dei maggiori talenti musicali viventi. Potrò dirlo da fan sfegatato e coi paraocchi, ma a quasi 40 anni (ahimè) di musica ne ho ascoltata (e vista dal vivo) parecchia e raramente ho trovato una band che abbia sfornato, in un tempo relativamente breve, degli album di così elevata qualità. Sull'ultimo The Incident poi aggiungo, e qui sono in totale disaccordo con Marco, che mi pare l'ennesimo ottimo lavoro, meno metal e moooolto più rock! Ma vabbè dai, a ognuno la sua...

Dr.Paul (ha votato 4 questo disco) alle 20:55 del 25 settembre 2009 ha scritto:

eh be swan, pareri opposti, x me 4 chords è banalotta e radiofonica (io vivo di pop radiofonico, ma dai PT vorrei altro), vabbe dai pazienza....

madcat (ha votato 10 questo disco) alle 9:43 del 13 maggio 2013 ha scritto:

il migliore dei porcupine tree per me, non sono un loro appassionato, ma questo è un capolavoro, wilson dichiarò che probabilmente tutte le critiche al nuovo corso della sua band gli sono arrivate perchè in Italia da sempre c'è una passione per il prog assoluta, band come genesis o gli stessi porcupine tree hanno ottenuto successo prima qui da noi che altrove, ovvio quindi che nel momento in cui si è discostato in maniera violenta da quello che aveva fatto fino a quel momento (per quanto avvisaglie ce n'erano già nei 2 precedenti stupid dream e lightbulb sun), molti sono rimasti disorientati