Mogwai
Happy Songs For Happy People
Musica afferrata a metà fra intime distanze e lontani abissi celesti. Un pulcino di gabbiano sospeso fra il caldo rassicurante del nido e il freddo precipizio delle scogliere, verso il quale pure prova una attrazione irrefrenabile. Così è il quarto disco dei Mogwai: intensamente concepito sopra un margine.
Superati gli scossoni del rock elettronico del precedente opus in studio (Rock Action del 2001), la band scozzese si prende il tempo per metabolizzare le sue tante anime e realizza lalbum più meditato e meditabondo della sua ancor breve carriera: tutto costruito sul fluire compatto di composizioni rigorosamente strumentali, Happy Songs For Happy People si presenta ai nostri sensi come una carezza (pur se a volte irruenta), più che come un graffio. La sua musica, integralmente tesa a cullare, piuttosto che ridestarci bruscamente, ci consegna a un sogno carico di eccitazione e di sussulti emotivi. Tutto è elaborato come una amalgama complessiva che non abbandona mai (o quasi) la sua via di unione a favore dellesaltazione di un singolo strumento. Ed è qui che la somiglianza iniziale con Rock Action si interrompe, facendo posto a quella che è la vera sostanza di Happy Songs For Happy People: lequilibrio. Larmoniosa consonanza degli strumentisti, realizzata attraverso una lunga fase compositiva.
Già liniziale Haunted By A Freak porta in sé tutte le caratteristiche proprie dellalbum (inaugurando un irresistibile canto vocoderizzato), configurandosi come perfetta dichiarazione di intenti per il nuovo suono dei Mogwai. Oggi sappiamo che dal vivo è diventato un passaggio essenziale e un valico al di là del quale il concerto decolla definitivamente. Moses? I Amnt sembra fare eco a certi strumentali gabrielliani provenienti da colonne sonore come Birdy o Passion. Segue questa scia anche Kids Will Be Skeleton, quasi una immersione in un ipotetico folk post rock (o post folk?), che richiama le bellezze agresti della natia Scozia, ma allo stesso tempo non suscita sentimentalismi bucolici. La sezione darchi che accompagna la tenue Killing All The Flies deve vedersela con un synth che emula la voce umana e che fa strada, finalmente, allafflusso di potenti chitarre elettrificate, che nel finale sanno farsi piccole piccole, tanto da ritagliare delicati arpeggi.
Lapoteosi dellattuale essenza sonora dei Mogwai si dischiude in tutta la sua bellezza negli otto minuti di Ratts Of The Capital: reiterazioni, sospensioni, riprese e aperture. Golden Porsche mantiene altissimo il livello con un dialogo disteso ma quasi commovente fra violoncello, piano e chitarre. I battiti di I Know You Are But What Am I? accentuano il senso di attesa, rendendo questa fase di ristagno emotivo quasi sublime (altra memoria live marchiata a fuoco nell'animo: il teatro romano di Ostia Antica avvolto dalla pesante nebbia, trasudante umidità e aria marina, le luci disperse in questa vaghezza: era il 7 settembre del 2006 e lei era I Know You Are But What Am I?... fermo-immagine di un sogno). Fino alla liberatoria conclusione di Stop Coming To My Home, dove il gabbiano dellinizio inizia a provare la gioia del volo verso lo strapiombo, sorretto da correnti ascensionali amiche (nel nostro caso un possente vento di chitarre), fino poi a perdersi nellorizzonte. Ritengo che Happy Songs For Happy People non possa essere definito un capolavoro, principalmente perché, così poco teso al virtuosismo come è (tutto è architettato per sottrazione, per asciuttezza), concorre a creare uno stato di dislocazione del suo fascino, privandolo di momenti particolarmente topici, di cui di solito necessita un disco masterpiece.
Ogni brano non aspira ad una esasperazione degli sviluppi ma in genere si richiude dopo aver raggiunto il suo equilibrio interno. Ed è per questo che tendo a considerare lalbum, più che altro, come una collezione di gemme, a volte piccole, a volte grandi. E' un album che si propone come una sinfonia a volte (rare volte) magniloquente, a volte minima, minimale.
I Mogwai diventano qui delle entità evanescenti: viene frustrata ogni celebrazione dei solisti. Non credo si tratti di un caso se, in questo quarto lavoro, i musicisti preferiscano lanonimato assoluto allinterno dello scarno booklet; in questo lunica cosa degna di risalto è il nome della band incastonato su un luccicante sfondo argenteo. Gli epigoni dei Mogwai ormai non si contano più: lunica certezza è che gli originali continuano (magari facendo due passi in avanti e uno indietro) ad avere un talento solo in parte imitabile. E questa è una certezza che scaturisce persino nellalbum più in congiunzione astrale con i rivali Sigur Rós.
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