Steven Wilson, Live @ Orion, Ciampino (RM), 11-05-2012
L'ultima volta di Steven Wilson in Italia con i Porcupine Tree è stata per il tour di "The Incident", nel 2009. Difficilmente lo rivedremo con quella che ormai si appresta ad essere la sua ex-formazione: e già, perché in base a quanto dichiarato nel corso di interviste recenti, il musicista inglese considera i Porcupine Tree entrati in uno stato di "hiatus" di durata indefinita. Anche la parentesi pop-rock condivisa con Aviv Geffen, a nome Blackfield è ormai giunta al capolinea: ma di ciò non ci dispiacciamo più tanto. Da sempre Wilson è stato attivo su più fronti e il suo focus creativo non si è mai esaurito con un solo percorso sonoro: no-man, Bass Communion, I.E.M., Blackfield, Storm Corrosion (il progetto fresco di stampa, messo a punto con Mikael Åkerfeldt degli Opeth), sono alcune delle realtà scaturite da una mente inquieta. Ma oggi è della sua carriera solista che si parla e dunque rispetto ad essa i Porcupine Tree assumono il valore di un side-project. L'investimento artistico nella avventura a suo nome, inaugurata nel 2008 con "Insurgentes", è evidente già a partire dai nomi dei musicisti coinvolti in studio come dal vivo. Basta citare quelli presenti sul palco dell'Orion: Marco Minnemann alla batteria (era ad un passo a subentrare a Mike Portnoy nei Dream Theater), Theo Travis al flauto, clarinetto e sax (uno dei più apprezzati strumentisti in circolazione, conteso da un paio di decenni fra jazz, elettronica e, indubbiamente, progressive), Nick Beggs al basso, al chapman stick e alla voce (già nella band di Steve Hackett:il suo agile virtuosismo è stato molto apprezzato dal pubblico), Aziz Ibrahim alle chitarre (già con Simply Red e The Stone Roses: a lui Wilson delega i migliori assoli presenti nelle due prove in studio, scelta non sempre soddisfacente dal punto di vista dell’esito emozionale), Adam Holzman alle tastiere e al piano elettrico e non (più volte inserito dalla rivista Pulse! tra i primi dieci della categoria Fusion, nominato da Keyboard come uno dei dieci più grandi musicisti al mondo: la sua impronta chiaramente jazz – a metà strada fra gli insegnamenti del Maestro Chick Corea e le lezioni pianistiche di Keith Emerson – ha deviato quelli che avrebbero potuto essere i più classici barocchismi prog verso lidi dalla conformazione più suggestiva). Ora, con un gruppo del genere, Wilson fa necessariamente un passo indietro, sedendosi ai “synth mellotronici” e imbracciando la chitarra solo quando il muro sonoro si eleva (disperdendo il proprio contributo nei volumi più alti) e lasciando spesso il campo ai suoi nuovi soldati professionisti: ovviamente il suo atteggiamento da prima donna non scompare, tanto che spesso assume l’improbabile – ironico? – atteggiamento del direttore d’orchestra. La selezione dei brani in scaletta ovviamente propende per il recente “Grace For Drowning” (da citare la magistrale suite Raider II, con tutto il bagaglio Crimsoniano era “Lizard” che si porta dietro, Sectarian con le dissonanze sempre derivate dalla tradizione di Fripp & sodali, la magnifica Deform To Form A Star, con interludo pianistico pregno di grande emozione, ma anche le influenze trip-hop che confluiscono nelle ipnotiche Index e No Part Of Me, la cui vena sottilmente elettronica personalmente prediligo), con qualche estratto dal primo album solista “Insurgentes” (l’iniziale No Twilight Within The Courts Of The Sun, la “Porcupine-Tree-oriented” Harmony Korine, la conturbante Abandoner e la conclusiva apoteosi di Get All You Deserve, nella quale Wilson sente il bisogno di richiamarsi all’artwork del disco da cui è tratta, indossando una maschera antigas). C’è tuttavia spazio per un inedito (Luminol) che confluirà nel nuovo disco in studio che vedrà la luce nella primavera del 2013 e che vede coinvolta l’attuale line-up della sua live band: il brano, definito “epico” da Wilson, sembra interamente basato sulle pirotecniche geometrie degli Yes di “Drama”, con Nick Beggs a proporsi come un novello Chris Squire. Con ciò già comprendiamo che anche per il prossimo album Steven Wilson continua a propendere per la rievocazione, in grande stile, del corpus progressivo. Siamo fortunati ad avere in scaletta la lunga ballad in pieno stile Wilsoniano (periodo “Stupid Dream”, “Lightbulb Sun”, tornando a riferirci ai Porcupine Tree), Like Dust I Have Cleared From My Eye, che è come una boccata di aria fresca in mezzo a cotanto turbinio di sommovimenti sonori.
A livello scenografico, la performance non può mancare di coinvolgere gli spettatori: qui il protagonista, nel bene o nel male, è Lasse Hoile, ossia il vate/graphic-artist al quale Wilson ha demandato il suo intero immaginario visivo ormai da quasi un decennio. La sua usuale tetra prospettiva, indecisa fra fetish e decadentismo, tuttavia stavolta riserva alcune luminose soluzioni ambientali (litoranei deserti, campi di grano sterminati, scintillii, figure in controluce), che ridanno respiro agli occhi. Inoltre fino al terzo brano il gruppo si esibisce, come nella miglior tradizione dei Sigur Ros, dietro un telone che consente di rivelare subito, in modo massiccio e particolareggiato, le tematiche visuali di Hoile, fatte di bambole sgozzate, di insanità mentale, di squallide location domestiche, di surrealismi paranoici, di disturbanti divagazioni oniriche, sullo sfondo di panorami naturali apparentemente tranquilli. Certamente il l’intero concerto si caratterizza come una sorta di Bignami di Storia Progressiva per chiunque si sia perso la discografia dei gruppi che hanno fatto grande il quinquennio che va dal 1969 al 1974, con alcune citazioni (King Crimson e Van Der Graaf Generator fra tutti, ma si potrebbero individuare decine di altre realtà anche meno evidenti), anche piuttosto spudorate. Tutto quanto detto dell’album (perdonatemi l’autocitazione, ma vi rimando alla mia recensione di “Grace For Drawning”), vale ancora di più sul palco, con l’aggiunta che il titolare della ditta proprio non ce la fa a smettere di rendersi protagonista, volendo “vendere” l’idea che è lui che tiene in ballo le sue marionette. Fra l’altro l’ha detto chiaramente: “finalmente con una band così posso realizzare quella musica che sono perfettamente in grado di ideare, ma non di suonare”.
Che dite: ci accontentiamo almeno di questa sottile dichiarazione di inadeguatezza strumentale, per evidenziare la sua umiltà artistica??