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R Recensione

7/10

Grails

Deep Politics

La band di Portland (Oregon) si riconsegna ai suoi purtroppo sparuti seguaci con un album denso, ispirato e coeso forse come mai in precedenza. Il suo rock strumentale, che ad appiccicargli semplicemente il prefisso post gli si farebbe un torto, si dipana fra psichedeliche suggestioni e floydiani riverberi, fra accenti etno-folk (dal west alla musica tradizionale dell’est) e dilatazioni desert-rock. Ma non ci sono inutili crescendo-decrescendo, muri sonori improvvisi o reiterazioni e compagnia bella che hanno reso il post-rock post-2000 un baraccone e una scimmiottatura continua di alcune geniali intuizioni iniziali. Semplicemente dovremmo imparare a farci bastare proprio la definizione di “Instrumental Rock”.

A tre anni di distanza dal precedente “Doomsdayer’s Holiday” e a quattro dal bellissimo “Burning Off Impurities”, i Grails sembrano aver reso più asciutto il proprio suono, lavorando di cesello sugli arrangiamenti e sulla scrittura, realizzando un album forte e convincente, che non ha bisogno di puntare, come in passato, sull’aggressività. I richiami più evidenti appaiono quelli con Crippled Black Phonenix (la prima volta che li ascoltai li confusi con loro), Earth, Black Heart procession, Jesu, Thee Silver Mt. Zion, incastonando schegge dell’universo musicale dei Black Sabbath, degli Ash Ra Tempel , e ovviamente dei Pink Floyd più lisergici e lambendo location care tanto agli autori delle “Desert Sessions”, quanto a Ennio Morricone. Ogni brano è un piccolo viaggio nel quale ogni brano vorrebbe raccontare una storia e per farlo gli tocca, per forza di cose, ricorrere alle suggestioni. I rintocchi di piano, solenni e cupi, spesso ricorrono nel corso del lavoro e già nella seconda traccia All The Colours of the Dark, si capisce il registro della formazione statunitense, capace di innestare in un unicum coerente l’enfasi del progressive più epico e arpeggi pseudo-folk. Non mancano frangenti sottilmente elettronici che rimandano addirittura ai Massive Attack più meditabondi: la toccante Corridors Of Power incorpora ciò, una melodia di flauto che sembra provenire dall’estremo oriente e una chitarra satura che rammenta quella del Robert Fripp degli Anni ’70 (il cui suono si riaffaccia più volte in altri episodi di questo “Deep Politics”). Tutta un’alchimia più facile da ascoltare che da descrivere. Certamente la struggente title track, dominata dal pianoforte e dagli archi, è fra le cose più belle che quest’anno musicale ci abbia portato. Almost Grew My Hair è sicuramente un altro vertice dell’album, rievocando i poderosi climax del rock psichedelico dei Seventies. Afferente alla stessa natura è I Led Three Lives, nella quale sono le chitarre a ritagliare gli ambienti sonori e a scegliere i filtri ottici attraverso cui catturare il paesaggio: il risultato è un affresco di raro magnetismo che nei primi anni ’90 molto sarebbe piaciuto a Steven Wilson. Nella chiusura affidata a Deep Snow, i Grails abbandonano ogni ulteriore velleità di modernità, per rituffarsi nella prima metà degli Anni ’70, per provare (una volta trasferitisi temporalmente lì), a preconizzare con due decenni di anticipo quello che sarebbe stato il post-rock. Sconvolgendone gli esiti.

Deep Politics”, uscito con qualche mese di ritardo nel nostro paese, si caratterizza per una dose di ispirazione molto elevata e per un livello di composizione decisamente più maturo anche rispetto al loro recente passato: per quanto mi riguarda è uno dei dischi che più ho amato e ascoltato in questi mesi e al momento ha già un posto speciale nella parte alta della mia classifica personale per il 2011.

Da qualche parte li ho visti etichettati come “doom da camera”, “spaghetti post-rock”…beh una grassa risata me la sono fatta.

Però mica male l’idea di una band musicale che fa “spaghetti post-rock” nell’America lisergica degli anni ’70…

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Utente non più registrato alle 14:43 del 15 settembre 2012 ha scritto:

Secondo me, questo è uno dei dischi più belli degli ultimi anni.

Mi sbaglierò, ma influenze sabbattiane (per mia fortuna) non ne ho sentite; così come non condivido l'accostamento ai CBP, a cui, a mio parere, danno parecchi punti, per originalità e coerenza stilistica.

Sono invece assolutamente d'accordo che c'entri poco o nulla con il post-rock.