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7/10

Jackson Browne

Standing In The Breach

Oh, che bella sorpresa: dopo 6 lunghi anni di silenzio torna a farci compagnia il cantautore gentile della West Coast, quel Jackson Browne per cui non saranno mai spese lodi a sufficienza.

Benché sia di qualche anno più giovane, Jackson appartiene alla generazione dei grandi poeti americani: è fratello spirituale di Dylan, Young, Cohen, Crosby.

La differenza sta nel suo approccio, educato e riflessivo. Jackson è il poeta dell'introspezione, il malinconico cantore delle piccole cose. Il suo stile possiede una purezza e una dolcezza formale uniche, che lo differenziano dalle galoppate elettriche di Young così come dal piglio visionario e un filo arrogante di Dylan.

Oggi Jackson 66 anni, ma questo disco ci dice che è ancora sulla cresta dell'onda. Dirò di più: "Standing in the Breach" è fra i dischi di singer/songwriter più interessanti del 2014.

Non ci sono sbavature: Browne è sempre fedele al suo stile morbido, con tanto di steel-guitar che evoca i lunghi viaggi sulla west-coast, possenti e ampie arcate melodiche, arrangiamenti sofisticati.

"The Birds of St. Mark" omaggia altri B(y)irds e il loro indinemticabile finger-picking, ed è figlia degli anni '60 (fu scritta da Browne al ritorno da un viaggio a New York, dove intrecciò una relazione con la Nico dei Velvet), ma si tratta dell'unico brano già presente nel canzoniere di Jackson, a conferma del fatto che la sua vena non si è inaridita.

Le ballate ricche di climax drammatici come la meravigliosa "You Know the Night" (cover di un vecchio brano di Woody Guthrie), la cupa "Walls and Doors" (riflessione agrodolce sulle difficoltà che incontra la vera comunicazione in una coppia che porta la firma del cantautore cubano di Carlos Varela, tradotta in inglese da Browne) e la dolente title-track (un fraseggio melodico degno dei momenti migliori del debutto, con la strofa che evoca vagamente quella del capolavoro "Jamaica Say You Will") sono forse i momenti più toccanti di tutto il lavoro.

Non mancano in ogni caso brani più on the road come "Which Side?" (un filo Eaglesiana, ma con back-side voices di marca soul) e la spirituale "If I Could Be Anywhere". "Yeah Yeah" invece porta più ritmo e una ventata di allegria, con il suo frizzante chorus.

Browne sembra comprensibilmente abbarbicato sui parametri stilistici della stagione d'oro della sua vita, ma miracolosamente riesce nell'imprea di non suonare monotono e ripetitivo, anche quando coverizza, esibendo al contrario una classe compositiva intatta e la consueta eleganza esecutiva.

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