V Video

R Recensione

8,5/10

Kamasi Washington

The Epic

Questo è il disco dell'anno. Quale sarà il più bello o il più ascoltato lo deciderà ognuno di noi, ma per ascoltare, comprendere e approfondire “The Epic” di Kamasi Washington più o meno ci vuole un anno intero. E' un'impresa complessa, che richiede tempo, dedizione e impegno. E' un'impresa, appunto, epica.

Proviamo a dare due numeri, giusto per tarare le dimensioni di questa enciclopedia musicale. Kamasi Washington, classe 1981 (dai, non può essere più giovane di me!) da Los Angeles, sassofonista, produttore e band leader. Vincitore del John Coltrane Music Competition all'età di 18 anni. Ha suonato con Kenny Burrell, Wayne Shorter e Herbie Hancock. Ma – attenzione – anche con Lauryn Hill e Snoop Dogg. Nel giro di pochi mesi, ha contribuito alla realizzazione di due dei dischi più belli degli ultimi anni: “You're Dead!” di Flying Lotus e “To Pimp A Butterfly” di Kendrick Lamar. Due dischi, per quelli che avessero trascorso un lungo periodo sull'Isola di Pasqua, che innestavano il concetto stesso di jazz in una versione moderna dell'hip-hop. Nello stesso periodo, Kamasi Washington l'instancabile si chiudeva in studio per realizzare “The Epic”, che è in sostanza il suo quarto disco (i tre precedenti, per chi volesse cercarli, sono autoproduzioni dello stesso Washington). Andiamo avanti: 17 brani distribuiti in 3 dischi per un totale di quasi 3 ore di musica, 2 batteristi, 2 bassisti, tastiere e pianoforte insieme, 3 fiati, 2 cantanti, 20 coristi e 32 archi. Ovviamente, la band è composta dai migliori musicisti di Los Angeles: uno dei due bassisti, ad esempio, è Thundercat (al secolo Stephen Bruner), già noto per aver suonato con Erykah Badu, con Flying Lotus e Kendrick Lamar (ovviamente), ma anche con quegli scavezzacollo dei Suicidal Tendencies. Uno dei due batteristi è il fratello di Thundercat e si chiama Roland Bruner jr., che dai Suicidal Tendencies è approdato direttamente alla corte di gente come Kenny Garrett e Marcus Miller.

E personalmente mi fermo qui. “The Epic” ha una nervatura ritmica perfetta, sontuosa e impeccabile. Declina il jazz in ogni modalità, sottolinea le influenze (funk, rock, gospel), crea, inventa e si mette al servizio del genio di Kamasi Washington con disciplina ma forse con altrettanto genio. Se non mi credete sentite - quasi a caso - “Final Thought”. O i 10 minuti di “The Message”. L'ho già scritto, genio?

Sì, e direi che la definizione (di cui spesso abusiamo, io per primo) calza a pennello. Premetto che descrivere tre ore di musica in poche righe è una fatica. Diciamo che per immaginare l'impatto di “The Epic” dobbiamo pensare a un Archie Shepp – con le fattezze e con le manie di grandezza di un Charles Mingus – che, dopo aver ascoltato “Sandinista”, pensa di poter mettere la freccia di sorpasso per creare un'opera ancora più mastodontica e indefinibile. Un'opera ancora più vasta e complessa: in tal senso, degna delle oceaniche visioni del Miles Davis maturo, quello che credeva di avvicinarsi al mainstream pop mentre spostava avanti le lancette della storia. Solo che qui il flusso musicale è meno caotico, più comprensibile, volendo più lirico, o anche solo più rock. In linea di massima, possiamo dire che Kamasi – la cui carriera multidirezionale è già stata brillantemente riassunta da Codias – mette a fuoco la capacità onnivora e futurista di molta black music contemporanea, ponendosi a fianco dei suddetti, illustri grandi pensatori/manipolatori (da Kendrick Lamar a Flying Lotus, passando per i vari Robert Glasper e Matana Roberts). 

La rivoluzione sarà teletrasmessa, questa volta. E Kamasi è in prima fila, perché lavora la musica sul fianco jazz, esattamente come Kendrick la lavora sul fianco hip-hop: in direzione autenticamente globale, ma senza terzomondismi da cartolina. I suoi piedi sono ben saldi nella lunga storia di emancipazione della cultura afroamericana, e allora non è un caso se i graffianti sermoni del fratello Malcolm fanno capolino un po' ovunque in questo periodo, nel bel mezzo di questa new-wave nera che ci sta travolgendo. Kamasi è al passo coi tempi, ma pesca a piene mani in tutta la storia del jazz: venera il suo versante più spiritual, che celebra matrimoni ariosi con il gospel (i cori dolcissimi sparsi ovunque, la meravigliosa “The Rhythm Changes” su tutto), si confronta con la tradizione policromatica delle big band, passa dalle parti del suo nume tutelare John Coltrane. Kamasi, esagerando un pochino, sembra animato dalla stessa foga che spingeva John: è un musicista che non conosce il significato della parola parsimonia. Eppure non è un pasticcione: ogni passaggio di “The Epic” sembra anzi programmato sin nei minimi dettagli, dagli svolazzi funk-fusion (gli splendidi solo di organo che paiono fuoriusciti direttamente da qualche oscura session di Hancock e Davis!) alle carezze soul-pop (l'amica Lauryn Hill?), passando per gli assalti frontali del sassofono e le atmosfere dilatate da new age del jazz.

Tutto suona al contempo naturale e studiato nei minimi dettagli. Se proprio vogliamo trovare un difetto in questa opera che è tutto sommato accessibile, che gode di una piacevole e fresca leggibilità, dobbiamo parlare della lunghezza. Naturalmente, trattasi di limite che il tempo aiuta a superare: se un singolo ascolto può risultare snervante (semplicemente perché troppo impegnativo, in sostanza), i successivi riveleranno progressivamente idee e dettagli nuovi, in un maestoso crescendo di musica densa e solenne, che si muove contemporaneamente in direzioni diverse. E che pure, come dicevo, risulta accattivante, di impatto. Kamasi ha la capacità di sfruttare motivi a forma di bozzetto per cavarne l'impossibile, carica le poche note che combina di una potenza espressiva irresistibile. Qui sta il miracolo: in un 2015 ricchissimo di brillanti idee musicali, che sembra voler mettere a tacere con eleganza tutte le teorie sulla “morte” della musica, Kamasi riesce a sedere a fianco dei più grandi. O forse merita addirittura la palma di primus inter pares. Insomma, roba veramente epica. 

Se non si fosse capito: genio.

V Voti

Voto degli utenti: 8,1/10 in media su 11 voti.
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ciccio 9/10
B-B-B 8,5/10
Lelling 8,5/10
Cas 5,5/10

C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 10 questo disco) alle 13:48 del 19 giugno 2015 ha scritto:

Ancora non metto il voto. Lo metterò fra sei mesi, quando sarà del tutto metabolizzato. Ma se questo non è un disco da 10, non so quali parametri debba possedere un disco da 10. Qui dentro c'è tutto: l'inventiva, l'eterogeneità, la tecnica strumentale, lo spessore melodico, il minutaggio (che, lungi dal dimostrarsi una zavorra, permette al disco di esprimere appieno tutte le sue potenzialità: un po' come era successo qualche anno fa per Have One On Me di Joanna Newsom), il gusto dell'improvvisazione, le radici socioculturali, il recupero del passato, la visione del futuro. Ogni volta che lo si mette su, atterrisce e meraviglia in un sol colpo. Mi ripeto fino alla nausea, ma spero si capisca: nel 2045 ne parleranno con gli stessi aggettivi che oggi utilizziamo per A Love Supreme, The Shape Of Jazz To Come o A Kind Of Blue. Su diciassette pezzi, per ora, i miei preferiti sono Askim e Re Run Home, quello che sento più superfluo (sebbene capisca benissimo perché sia stato inserito nell'economia della scaletta) è Malcolm's Theme. Voi matti come cavalli a scriverne, e bravissimi a venirne fuori con onore...

Utente non più registrato alle 19:46 del 27 giugno 2015 ha scritto:

Continuo l'ascolto...probabilmente l'ambizione del sassofonista è un "cambio della guardia"...nel suo linguaggio resiste la tradizione dell'esposizione di uno o più temi seguito dagli assoli, ma Washington aggiunge elementi tra Sun Ra e Magma e orchestrazioni che richiamano Gil Evans, senza dimenticare il faro Coltrane. Continuo l'ascolto...

LucaJoker19 alle 19:38 del 29 giugno 2015 ha scritto:

mizzega, vedo già pezzi da 12 e passa minuti .. 1 anno è il tempo che mi servirà per assimilarlo mi sa disco PER l'anno ahah

fabfabfab, autore, alle 9:44 del 30 giugno 2015 ha scritto:

E' la prima cosa che ho pensato (e scritto) anche io!

Ivor the engine driver alle 22:24 del 22 luglio 2015 ha scritto:

Disco che sto assimilando a piccole dosi, tre ore gfilate sono proibitive. Ma di sicuro, oltre che bravo, Kamasi è anche intelligente. Magari per uno scafato di jazz il disco può sfociare nel presuntuoso e pretenzioso, visto lo spettro ampio che cerca di coprire. Ma per me abbastanza ignorante in materia ha fatto rivenire voglia di jazz, che avevo accantonato anni fa. Quindi chapeau!

Marco_Biasio (ha votato 10 questo disco) alle 12:19 del 23 luglio 2015 ha scritto:

Tra il 9 e l'11 novembre Kamasi ci verrà a trovare (rispettivamente, al Locomotiv di Bologna, al Monk di Roma e al Tunnel di Milano). Biglietti per Bologna quasi comprati. Spero non suoni né Re Run, come in questo video (http://www.kcrw.com/music/shows/morning-becomes-eclectic/kamasi-washington), e nemmeno Askim o The Message, altrimenti mi toccherà mettermi a piangere sul serio. Per il resto, dopo un mese e passa di maturazione, è cresciuto ogni ascolto di più. Non ho nient'altro da dire, se non che me ne frego delle mezze misure. 10.

fabfabfab, autore, alle 16:03 del 23 luglio 2015 ha scritto:

Pensa se si porta appresso il suo amico bassista.

fabfabfab, autore, alle 16:05 del 23 luglio 2015 ha scritto:

Ah già che i video non si vedono! Ti posto il titolo: "Thundercat - Lotus and the Jondy (Off Main St. Excerpt)"

Ivor the engine driver alle 22:08 del 12 ottobre 2015 ha scritto:

Probabilmente presente a Bologna, lo doppio coi Graveyard a Milano due giorni dopo

Marco_Biasio (ha votato 10 questo disco) alle 12:46 del 15 ottobre 2015 ha scritto:

Dai che finalmente, dopo dieci anni, ci si becca!

LucaJoker19 alle 23:27 del 23 luglio 2015 ha scritto:

io sono ancora bloccato ad assimilare la prima traccia..

ocram alle 1:23 del 31 luglio 2015 ha scritto:

ma i video non si vedono più?

fabfabfab, autore, alle 8:45 del 31 luglio 2015 ha scritto:

Per il momento no. Stiamo risolvendo la cosa, anche se credo ci vorrà ancora un po'.

LucaJoker19_ alle 22:42 del 14 ottobre 2015 ha scritto:

ragazzi ma con l'ascolto del disco come procede?

fabfabfab, autore, alle 10:05 del 15 ottobre 2015 ha scritto:

In che senso?

LucaJoker19_ alle 20:46 del 15 ottobre 2015 ha scritto:

nel senso per assimilarlo in testa

FrancescoB, autore, alle 21:15 del 15 ottobre 2015 ha scritto:

Dopo un po' di ascolti lo assimili. Certo qui si parla di ore ma il meccanismo è lo stesso.

Marco_Biasio (ha votato 10 questo disco) alle 11:38 del 10 novembre 2015 ha scritto:

Ieri, a Bologna, mi veniva da piangere. Sold out (inatteso, almeno per me). Kamasi ha suonato due ore: con lui, Ronald Bruner e Tony Austin alle batterie, Miles Mosley al basso acustico (niente Thundercat, purtroppo), Brandon Coleman alle tastiere, Ryan Porter al trombone, Patrice Quinn alla voce. Da Henrietta Our Hero in poi è entrato in pianta stabile a suonare anche il padre di Kamasi, Rickey, prima al flauto traverso, poi al baritono (mi pare). Scaletta: Change Of The Guard, Re Run Home (infarto), Henrietta Our Hero, un pezzo meraviglioso dal prossimo disco solista di Coleman (uno degli otto progetti nati contemporaneamente a The Epic in quel famigerato mese di session), chiamato Giant Feelings, poi The Magnificent 7 e chiusura, nel bis, con una versione iper-funk e iper-groove di The Rhythm Changes. Boh, ragazzi, non so che dire. La sessione ritmica è da paura, ti strappa l'anima, virtuosismo continuamente messo al servizio del groove (e che groove). Mosley si è concesso un paio di assoli da perderci la testa e tutto l'intro di The Magnificent 7 è stato dedicato alle due batterie, in una sorta di drum battle un po' esibizionistica, forse, ma efficacissima. Kamasi è maestoso: tanto sopraffino è il suo tocco nelle head melodiche, quanto potente e viscerale diventa nei fraseggi e negli assoli. Dei suoi sodali particolarmente in evidenza Coleman, spesso e volentieri in assolo (tanta influenza del Miles Davis elettrico, sicuramente, ma anche parecchi passaggi distonici). Patrice Quinn ha cantato più di quanto mi aspettassi. Tanto cuore, tanta generosità, un'annichilente macchina da guerra. Pubblico entusiasta. Ringrazio e spero di avere l'occasione per bissare, il prima possibile.

fabfabfab, autore, alle 17:10 del 10 novembre 2015 ha scritto:

My god.

Paolo Nuzzi (ha votato 8 questo disco) alle 13:34 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

Disco mastodontico, per durata, proposte musicali, musicisti coinvolti, idee proposte e progetto d'insieme. La resa finale è estremamente godibile: difatti, preso a piccole dosi, soddisfa tutti i palati, anche quelli di coloro i quali non hanno mai familiarizzato col jazz. Da amante sfegatato del jazz mi ha reso felice per la sua freschezza compositiva, per quella riverenza verso le tradizioni jazz da me più amate (il post-bop Davisiano, l'hard bop Coltraniano, i dischi di Shorer ed Hancock degli anni sessanta, le incursioni fusion di Corea, Clark e compagnia cantante), nonchè la voglia di allargare i propri orizzonti e non aver paura di affrontare i padri sullo stesso terreno, elaborando un solismo personale, abrasivo, ma anche erstremamente cantabile, mai forzato e mai esagerato, a dispetto della durata del disco. A mio personalissimo gusto trovo solo un po' stucchevoli le continue incursioni del coro e dell'orchestra ed alcuni momenti cantati, non avendo mai amato particolarmente le voci jazz, specie quelle dell'onda "Fusion", come Dee Dee Bridgewater, ad esempio. Ma è come cercare il pelo nell'uovo in un disco favoloso. Bravi ragazzi ad averlo recuperato e recensito. Grazie.

FrancescoB, autore, alle 13:50 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

Grazie Paolo, hai sintetizzato meglio di me i riferimenti dell'universo Washington: giusto citare, oltre al lampante Trane, anche l'acume compositivo di Shorter, che qua e là compare. Anche io come te non amo particolarmente la voce jazz (tolti alcuni atipici meravigliosi: Holiday, Chet Baker etc...), ma in questo caso faccio volentieri un'eccezione.

Paolo Nuzzi (ha votato 8 questo disco) alle 14:30 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

Grazie Fra', in effetti l'elenco potrebbe essere addirittura parziale, vista la mole di materiale con la quale Kamasi si cimenta, ci sono anche Gil Evans e Sun Ra, citati da altri. Non può che crescere con gli ascolti. Davvero una bella sorpresa, ancora complimenti.