R Recensione

4/10

Ben Harper & the Innocent Criminals

Lifeline

Ricordo bene la delusione che provai quando ascoltai Diamonds on the inside, quella rabbia per quell’assurda e anacronistica esasperazione soul-blues d’annata che sembrava non essere altro che uno scialbo esercizio fine a sé stesso. Ovvio che non vedessi di buon occhio neppure il successivo There will be a light, con i Blind Boys of Alabama a fare da supporto con cori gospel clamorosamente anacronistici.

Ero molto irritato con Ben, tant’è vero che lo ritenni bollito e rinunciai perfino ad ascoltare i successivi Live at the Apollo e Both sides of the gun. E probabilmente il muro innalzato dal sottoscritto sarebbe durato ancora a lungo se non mi fosse capitato di recensire questo disco. Il mio stereo era quasi sconcertato dal fatto che ci fossero dischi di Ben Harper successivi al mitico Live from Mars.

“Pensavo che fosse morto a trentatrè anni come nella migliore tradizione! Perché diavolo mi hai tenuto nascosto tutti questi dischi in questi anni?” mi domandava giustamente incazzato il mio mangia-cd.

“Perché pensavo che tutta questa roba facesse cagare. Ovvio no?”

In effetti il discorso è un filo più complicato. È vero che riascoltandole alcune cose sono invecchiate davvero bene, come neanche uno Chardonnay del 1847 (no vabbè in realtà non so nulla di vini ma è bello da dire), ma in generale non sono rimasto del tutto soddisfatto da questo tuffo nell’ultimo Ben Harper. Ho rivalutato parzialmente Diamonds on the inside e anche i dischi successivi (con l’eccezione del brutto Live at the Apollo) mostrano spunti meritevoli, tanto da meritare ampiamente un ascolto serale per chiudere le giornate difficili e faticose. Se però dobbiamo prendere questo materiale nell’insieme e lo paragoniamo a quello che il cantautore ha fatto in passato allora il confronto è, mi spiace dirlo, impietoso.

Ben Harper è un artista, su questo penso saremo tutti d’accordo, così come non penso ci saranno obiettori se affermo che i primi dischi di Ben Harper sono stati un’incredibile ventata di freschezza, specie per quella capacità incredibile di giocare e fondere stili e generi tanto diversi quanto rock, pop, folk, country, soul, reggae, funk. Da Welcome to the cruel world a Burn to shine non ha sbagliato un colpo. Diamonds on the inside risentito oggi, alla luce dei suoi ultimi lavori, è sì una svolta ma molto minore rispetto a There will be a light. È questo il disco che ha rovinato Ben Harper. Non perché sia brutto, ma perché rappresenta un passo indietro clamoroso nel percorso musicale dell’artista. È per me inconcepibile infatti che Ben abbia messo completamente da parte la componente rock più dura fatta di distorsioni e riverberi per mettersi a fantasticare su un vecchio gospel-blues senza prospettive. Questo non certo perché il rock sia di per sé migliore del gospel, ma perché è venuta a mancare la modernità nel suono. Modernità rappresentata da quella capacità di sintesi di stili che riassumevano buona parte della musica degli ultimi quarant’anni. There will be a light è un doppio salto mortale carpiato che precipita il cantautore in una palude manierista piena di secche. Si è parlato di riscoperta delle radici… in realtà con questo disco Ben ha di fatto messo da parte ogni velleità artistica per divertirsi a suonare un certo tipo di musica per il solo gusto di farlo.

Forse aveva solo voglia di imitare John Lee Hooker… Liberissimo di farlo, ovviamente. Tanto più che la qualità del disco è ottima per il suo genere. E allora perché mi scaldo tanto? Forse è perché non tollero che un artista del calibro di Ben Harper si permetta di spendere il suo talento per pagliacciate rétro con un gruppo il cui nome sarebbe stato datato quarant’anni fa. Il punto è che non accetto che Ben abbia deciso di fermarsi, di stoppare le contaminazioni e l’eclettismo dei primi dischi. Non è vero che non ha più talento e non sa più scrivere canzoni belle, quelle le scrive ancora a frotte. Anche Both sides of the gun ne è pieno, pur essendo un disco troppo discontinuo. E Ben mostrava anche di essere tornato sul pianeta Terra con brani esaltanti come Serve and soul. Qui più che mai emergeva però la sensazione che Ben si fosse ormai seduto sulla propria carriera assestandosi su un certo sound senza troppa volontà di faticare alla ricerca di strade alternative. Come vedere altrimenti una struttura a doppio disco di cui uno interamente composto da dolci e tenere ballate cantautoriali che tanto piacciono al grande pubblico (non certo a me, troppo piatte e monotone nell’insieme) e l’altro che spazia tra i vari generi con la solita buona maestria? Vi ricorda per caso la struttura di Live in Mars? A me sì, e sinceramente il pensiero che mi sorge spontaneo è che Ben dopo aver tanto seminato voglia raccogliere senza troppo sforzo. Da qui un certo manierismo di fondo che lo porta a ripetere le stesse formule, addirittura le stesse strutture concettuali (“allora ci metto un paio di pezzi blues, poi qualche riff più duro per i giovani, poi un pizzico di funk misto a soul per i vecchi nostalgici e ci butto anche un po’ di jazz così sembra che faccio lo sperimentatore”) nel tentativo di conservare uno status cantautoriale raffinato senza dover sudare eccessivamente.

È così che arriviamo a Lifeline, che come volevasi dimostrare non delude le aspettative e sulla scia del primo disco di Both sides of the gun offre una quantità impressionante delle ormai classiche ballate “à la Harper”, tra folk, country, scampoli di rock e un pizzico di blues: Fight outta you (che tra l’altro ruba un motivo di Neil Young), In the colors, Fool for a lonesome train (con una fisarmonica che ricorda di nuovo pericolosamente Neil Young!?), Having wings (che sfrutta un’accattivante melodia di piano), Younger than today (altro jingle di piano ammaliante), Heart of matters, Lifeline.

Poi ovviamente non potevano mancare gli episodi più soul (Needed you tonight), a quelli più r’n’b (la Say you will dell’orribile coro femminile, Put it on me) fino all’incredibilmente noioso giochino blues strumentale alla Eric Clapton di Paris Sunrise #7.

Alla fine dell’ascolto non ci rimane assolutamente nulla. Abbiamo passato quarantuno minuti della nostra vita ad ascoltare l’ottavo disco di un uomo che o non ha più nulla da dire o non ha più voglia di sbattersi a dire cose nuove. Arrivato all’ottavo disco sarebbe giustificato su entrambi i fronti e forse non è neanche giusto criticarlo per aver tirato i remi in barca dopo averci regalato anni di struggenti emozioni. Lifeline probabilmente piacerà alle masse, i numeri per fare un buon colpo commerciale ce li ha. Ai vecchi aficionados cresciuti a pane e Faded però non basterà e non rimane loro che cercare altrove le vecchie emozioni di una volta. Almeno finchè Ben non tornerà a darsi da fare per ritrovare la verve di una volta.

V Voti

Voto degli utenti: 9/10 in media su 1 voto.
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alby66 9/10

C Commenti

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alby66 (ha votato 9 questo disco) alle 8:58 del 24 agosto 2010 ha scritto:

Recensione molto sentita e interessante, ma non condivido nulla di quanto scrivi.E comprendo in realtà la prospettiva dalla quale giudichi il lavoro di Ben Harper pur non condividendola.Ma definire dischi come "There will be a light" una pagliacciata retrò mi sembra francamente eccessivo e ingiusto verso il percorso artistico che Harper sta seguendo da anni. Ma avverto comunque che la tua è una recensione scritta da chi ha in qualche modo amato questo cantautore.Solo che nel giudizio c'è molta pancia, mentre io credo che i lavori di Harper vadano analizzati cercando quel filo sottile che li lega e da questo punto di vista mi sento di affermare che Ben Harper(che intendiamoci può piacere oppure no) è uno dei pochi artisti onesti e sinceri scaturiti dal panorama rock degli ultimi vent'anni.La mia impressione è che Ben suoni esattamente quello che si sente di suonare in quel preciso momento e in tal senso ci stanno pure gli episodi che tu definisci da un certo punto di vista "minori" della sua produzione.Non ci vedo calcoli(a parte che non è neanche scandaloso sperare di arrivare a tante persone, se lo si fa con prodotti di alto livello). Il viaggio alle radici del blues e del gospel con i Blind Boys è una tappa di un lungo percorso, che vede Ben sparigliare continuamente.Infatti dopo LIFELINES ha cambiato gruppo e con i RELENTLESS7 ha pubblicato un disco con un tiro decisamente differente e brani molto più vicini agli umori di una garage band. A me ad esempio personalmente piace meno quest'ultimo Ben Harper ma non mi sento di definire "pagliacciata" l'ultimo suo lavoro.

Detto questo, per me LIFELINE è un gran bel disco.

Piace sicuramente alle masse(anche DARK SIDE OF THE MOON piaceva alle masse), ma piace anche a molti miei amici musicisti che suonano da una vita e hanno certamente strumenti più raffinati per valutare con oggettività e senso critico un lavoro di un artista rock.Ben vengano artisti che,mantenendo fede alle proprie radicate convinzioni riescono ad arrivare a tante persone.Tanto di cappello.

Se poi un generico ragazzino di 14 anni (facente parte di queste "masse") ascoltando LIFELINE sente l'impeto di risalire la corrente della storia del rock e andare a ripigliarsi album storici di Neil Young, beh..significa che Ben ha seminato bene....a meno che non si preferisca educare le "masse" all'ascolto dei soli Valerio Scanu e amichetti di Amici vari...