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6/10

Half Seas Over

Half Seas Over

Curioso che un disco di tale soffuso intimismo sia stato composto, come fanno intuire titolo e stato sociale, con un mare di mezzo, precisamente un oceano. Mentre Elan Mehler, pianista e compositore modern jazz coi controfiocchi (“The After Suite”, 2009) se ne stava negli States, Adam McBride-Smith, originario dell’Oklahoma, si acclimatava a Parigi, facendo conoscere il suo folk country da America profonda in giro per il vecchio continente ("Good And Gone", il suo disco del 2008, era piaciucchiato anche a noi). A metà strada tra spazi tanto distanti e tra generi apparentemente inconciliabili, il progetto Half Seas Over, nato quasi per caso dall’incontro dei due nel 2009, affascina, lasciando intuire, anche se con qualche impaccio, che il crossover musicale furioso di questi tempi può davvero essere applicato a qualsiasi stile.

Folk-jazz? Songwriting per un piano-bar di Montmartre? Alt-country remixato da Coltrane? Musica da camera e da cameretta assieme, in realtà, perché i contorni di piano, fisarmonica, contrabbasso, sax, viola, avvolgono la scrittura di McBride di un’aura ‘colta’, rivestendo di uno smoking il suo folk terrigno e rinchiudendolo nel controluce fumoso di qualche intérieur stile Biedermeier. Spiccano, tra gli altri, i brani estrapolati dal disco di McBride e riarrangiati per l’occasione: “Sad Mona”, che già appariva come la piccola perla di quel disco, vivacizzata in stile vecchia Parigi de Le Chat Noir si conferma un gran bel pezzo, mentre “Into The Night”, jazzante pure nella versione originaria, prende un bel piglio swing anni ’30.

Non tutto funziona, soprattutto dove l’attitudine rootsy di McBride viene completamente sommersa dalle guaine pianistiche di Mehler, come nel dixieland cabarettistico di “Sunday’s Empire” o nelle sinuosità soul di “Cypress Grove”, con il singer-songwriter costretto a parodiare un’interpretazione black fuori chiave. Ma il complesso del disco scorre piacevolmente, colonna sonora di malinconiche passeggiate notturne in solitario (“The Hathaways”) o di romantici rendez-vous sullo sfondo di un’Europa deliziosamente old-fashioned ("The New Breed", “Just To Clear My Head”, molto Elysian Fields).

A tratti riemerge la vena propriamente popular di McBride, come nella bellissima ballata dal sapore favolistico “Rake” (Decemberists in versione pianistica?), e sembra di riattraversare l’oceano. Sarebbe comunque, per citare quel tale, un naufragare dolce ‘a metà mare’. Che, soprattutto agli animi più sentimentali, potrebbe piacere da matti.

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