Elysian Fields
The Afterlife
Tra tutte le New York che ci vengono riversate addosso, quella proposta dagli Elysian Fields è sempre stata tra le più sensuali e notturne. Lo slowcore jazz-oriented di Jennifer Charles e Oren Bloedow, al quinto disco assieme, sa di appartamenti scuri, locali densi di fumo, cocktail sorseggiati nell’ombra, letti sfatti. I Mazzy Star che incontrano Nick Cave che incontra un sassofonista, per una jam session tutta di questa terra, nonostante il nome della band e il titolo del disco rimandino piuttosto a un paradisiaco aldilà.
Certo, l’atmosfera è sempre foderata di velluto: la voce della Charles è scura, il pianoforte scandisce le note con dolcezza, il vibrato dà tremiti carnali, le spazzole accarezzano, la chitarra culla. In certi episodi i richiami jazz sono preponderanti (“How We Die”, “Turns Me On”), mentre altrove prevale un chamber pop noir più diretto e senza suggestioni dispari. In ogni caso, compattissimo rimane il clima dell’album, mai deviante neppure dal punto di vista tematico, in quanto il motivo sentimentale, in tutte le sue declinazioni, vi domina incontrastato. «My love is true» canta maliziosa la Charles in “Where Can We Go But Nowhere” (a riecheggiare il Nick Cave di “The Boatman’s Call”), e non si può che crederle.
I momenti migliori del disco cadono nelle punte malinconiche più acute, assaporate come un vino in bicchieri larghi dalla Charles. In “Someone” il crescendo orchestrale, sui vocalizzi finali, è da brividi, mentre “Only For Tonight” segue piste più esotiche, tra un ritmo iniziale + percussioni da bossa nova e uno sviluppo ossessivo + tastiere da PJ Harvey ai tempi di “To Bring You My Love”. Sicché si infilano nel disco anche fantasmi di estetica trip-hop, senza che i tocchi elettronici superino la discrezione.
Ancora più convincenti i passaggi più cameristici: “Climbing My Dark Hair” è romanticismo allo stato puro diluito nei violini di fondo, “The Moment”, senza percussioni, solo chitarra-piano-voce, infila una melodia che Antony Hegarty si sogna la notte, mentre “Ashes in Winter Light”, duetto finale in cui il femminile trova fisicamente il maschile, ha delicatezze a tinte crepuscolari da dispensare senza fondo. Deliziosa.
I campi elisi nell’aldiquà sono nascosti, ma ci sono.
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