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R Recensione

7/10

The Decemberists

The King Is Dead

Mi hai comprato chissà quanto tempo fa. Fine anni ’80, inizio anni ’90, forse. Praticamente il periodo in cui i R.e.m. esplodevano a livello mondiale. Giacevo pigra ed impolverata in un qualche negozietto sperduto del Montana e, con ogni probabilità, oggi sarei ancora lì, incurvata e vetusta, se tu non avessi deciso di portarmi con te. Strimpellavi su di me i brani di “Automatic For The People”, poi mi imbracciavi nei gruppetti di cui eri allora il leader… Happy Cactus, Tarkio, no? Tutta la cerchia di rock più o meno college a corrente alternata. Avventure effimere, band scivolate nel dimenticatoio, ma dischi meritevoli e qualche canzone particolarmente riuscita. Al centro c’ero io, sempre io: la tua fidata Gibson acustica. Ti ho accompagnato durante tutta la tua crescita musicale. Ero io a dare forma ai primi passi dei Decemberists: le incisioni d’annata, qualche EP di prova… Ti è sempre piaciuto il mio timbro. Anch’io mi risento, ogni tanto, quando le radio decidono di cedere al richiamo della scorsa decade e spediscono nell’etere qualche tua vecchia invenzione. Suonavo allora semplice ed affascinante, così come semplice ed affascinante avrei suonato in “Castaway And Cutouts”, “Her Majesty” e, abbarbicata su migliaia di colleghi strumenti d’ogni estrazione – un po’ come il nucleo del tuo gruppo, non trovi? –, in “Picaresque”.

Poi è cambiato qualcosa. Ho cominciato a vederti sempre meno. Mi portavi in tour, condividevi con me centinaia di altre grandi canzoni, ma il tuo umore era rivolto evidentemente verso qualcos’altro che non avrei mai potuto immaginare. La stampa parlava di “svolta elettrica” (con Dylan erano stati molto più cattivi, l’avevano etichettato “traditore” per questo) ed io non riuscivo proprio a capire cosa avesse più di me il profilo curvilineo di quella Rickenbacker. Voglio dire, non è perché le usavano i Beatles che allora partono avvantaggiate! Niente da fare. Gli anni sono passati e con “The Hazards Of Love”, infine, sei riuscito a spaccare la critica a metà. Straordinaria favola tecnologica del Nuovo Millennio o pastrocchio heavy-folk un po’ troppo azzardato? Io non saprei come giudicarlo: ci sono talmente poco, lì dentro. Ok: ho avuto il merito di plasmare alcuni tra i passaggi migliori del disco, come “Isn’t It A Lovely Night?” o, meglio ancora, “Annan Water”, ma la mia voce si sentiva sempre più flebile e spezzettata, tra pareti di satura tensione proto metal rappresa un po’ ovunque. Mi avevi dimenticata, Colin, e con me l’immaginifico bagaglio cantautorale che ti aveva reso un menestrello d’altri tempi.

Ti ho visto frenetico, in questi mesi. Per registrare il sesto lavoro in studio, “The King Is Dead”, vi siete trasferiti tutti assieme in un piccolo cottage immerso in campagna. Al momento di partire mi hai lanciato un’occhiata ed allora, solo allora, hai deciso di caricarmi sul pick-up. Inutile aggiungere come mi sentissi: ancora una volta, la comprimaria di turno. Eppure, appena arrivati, sono stata la prima a scendere, a tracolla con te, e la prima a vibrare. Un pugno di classici accordi folkish, un’armonica spuntata fuori da non si sa dove, un incedere quasi springsteeniano: ecco nascere il singolo trainante, “Down By The Water”. Niente fate, niente intrecci ad incastro, niente elettricità. Uno a zero e palla al centro. Ho subito pensato ad una casualità. Un’impressione che è stata progressivamente smentita dai fatti. Prima è venuta una filastrocca giocata sui ghirigori di fisarmonica e violino, che combinava al meglio “Yankee Bayonet” e “July, July!” (“Rox In The Box”), poi un intimo e soffuso fingerpicking come non se ne sentivano più da “Red Right Ankle” (“January Hymn”). E quando lì fuori diranno che questi sono i pezzi migliori del disco, spero che un po’ me ne darai merito.

Insomma, man mano che registravi l’ho capito: volevi tornare al tuo country-folk delle origini, e per giunta abbandonando l’idea del concept-album in cui ti ero un po’ incaponito. Niente struttura narrativa, niente racconti a scatola cinese, niente suite dagli sviluppi progressive: dieci pezzi in sé conclusi e con minutaggio da radio. Certo, mentre si scatenava l’armonica in “Rise To Me”, su un ritmo lentissimo strascicato ancor più dalla steel-guitar, e nell’americana in vulgata pop di “Don’t Carry It All” (Tom Petty!), o ancora dove mi mettevi da parte per recuperare elettrica e banjo sopra violino e piano da saloon (“All Arise!”), io volevo avvisarti che, assieme al vezzo del romanziere non riuscito, stavi perdendo anche lo spirito da cantastorie rusticano. Ma tu non mi ascoltavi.

Anzi. Scrivevi su di me pezzi deliziosi. La lieve elegia di “June Hymn”, con la seconda voce femminile che accompagna la tua come nella più tradizionale delle declinazioni folk, o il passo acustico molto R.e.m. di “Calamity Song” (l’ho detto che nel disco suona anche Peter Buck?) a me hanno confermato che quando mi usi al meglio sai scrivere gioiellini come pochi altri. Anche dove mi accarezzi per la più classica delle torch-songs (“Dear Avery”), o dove mi togli volume e cerchi il ritornello vincente (“This Is Why We Fight”): i Decemberists, se scendono in campo su questi terreni, non hanno rivali.

Lo so, però, cosa sentenzieranno, lì fuori. Diranno che, a voler essere più semplice e diretto possibile, dopo gli arabeschi e le arzigogolature dei due dischi precedenti, hai finito per scrivere un album impeccabile e ben rifinito, devoto alle tue origini, ma senza recuperarne lo spirito giullaresco. Diranno che a vedermi lì, un po’ abbandonata, hai voluto restituirmi ai vecchi tempi dei Tarkio, ma con un piglio da stadio piuttosto che da osteria stracciona da zona portuale. Così diranno. E a me toccherà dare loro ragione, ma in silenzio: non ti venisse mai in mente di vendermi a quei mercati delle pulci che frequentavi una volta...

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 24 voti.
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Teo 7/10
Sor90 8/10
gull 6/10
sfos 2/10
giank 7/10
REBBY 6/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 11:34 del 3 gennaio 2011 ha scritto:

Urca! Siamo già nel 2011. Prima recensione dell'anno, se non sbaglio (non la vedo ancora nella home!), davvero magnifica, non il disco (sto ascoltando proprio adesso per la prima volta le 3 canzoni qui sopra), ma la rece. Complimenti Francesco.

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 11:44 del 3 gennaio 2011 ha scritto:

Mizziga ma è una rece di coppia, c'è anche Marco.

Beh meglio ancora. Ancora più bella eheh.

target, autore, alle 11:45 del 3 gennaio 2011 ha scritto:

Ammazza, Rebby, sei in formissima: riesci a scovare le recensioni prima ancora che vengano pubblicate! o_O C'è un piccolo problema tecnico dovuto proprio all'anno nuovo, ma entro breve la recensione dovrebbe comparire anche in home. Peraltro la recensione è scritta a 4 mani con Marco (informazione scomparsa causa altro problema tecnico...), quindi i complimenti vanno girati a lui, che ha messo idea e gran parte delle parole. Disco ordinario, comunque: ma è meglio l'ordinarietà rispetto a quel pastrocchio di "Hazards of love". Certo, i 'vecchi' Decemberists erano altra cosa...

Alessandro Pascale alle 13:53 del 3 gennaio 2011 ha scritto:

recensione davvero invidiabile ragazzi! Bravissimi davvero!

salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 14:27 del 3 gennaio 2011 ha scritto:

Ma insomma, si inizia l'anno in maniera strepitosa: recensione deliziosa! Oltre che accurata e precisa...

Bravi giovincelli!!

Il disco mi sembra il migliore dai tempi di Picaresque. Hanno ritrovato l'immediatezza e la leggerezza che tanto amavo in loro. Certo, i primi tre dischi sono un'altra cosa però il pop folk incantevole di "This is how we fight" (al momento la mia preferita), la melodia sghemba e gli arrangiamenti gustosissimi di "rox in the box" e la malinconia primaverile di "june hymn" si lasciano ascoltare che è una meraviglia. Unica pecca: la presenza (fisica - Buck - e a livello di ispirazione) dei Rem si fa troppo esplicita in una canzone (peraltro divertente) come Calamity Song che parte come Talk about the passion e si sviluppa come Pilgrimage. Voto 6,5 a causa di qualche brano che non mi dice granché (il singolo "down by the water", il country di "all arise!", la piuttosto insipida "rise to me").

Sor90 (ha votato 8 questo disco) alle 15:11 del 3 gennaio 2011 ha scritto:

Quello che ho pensato di questo disco è perfettamente riassunto nella conclusione della (splendida) recensione. Si è persa quell'aura fiabesca dei loro esordi che comunque a volte mi lasciava un pò perplesso per l'eccessiva fantasticheria dei testi, ma che faceva parte della loro ragion d'essere. Qui si trova un folk decisamente virato su territori pop, anche radiofonici a volte ("Down by the Water") ma a trovarla una stazione radio del genere! Non riesco a dare meno di 8 a quest'album perchè da quando l'ho ascoltato la prima volta non passa un giorno senza che lo riascolti. I Decemberists ormai sono una garanzia di emozioni!

Marco_Biasio, autore, alle 18:35 del 3 gennaio 2011 ha scritto:

Grazie a tutti dei complimenti! Per Salvatore: io sono una voce un po' fuori dal coro, nel senso che per quello che mi riguarda i Decemberists non hanno ancora sbagliato un disco (ebbene sì, sono uno dei due che hanno apprezzato anche The Hazards Of Love). Questo è bello perchè è semplice e veramente antitetico rispetto al suo multiforme predecessore. La doppietta finale, specialmente "Dear Avery", è la mia preferita

salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 18:47 del 3 gennaio 2011 ha scritto:

RE:

Ma marco tu sei heavy e io sono twee... è tutta lì la differenza

E comunque "Dear Avery" piace molto anche a me!

NathanAdler77 (ha votato 7 questo disco) alle 18:40 del 3 gennaio 2011 ha scritto:

January Hymn

Robusto folk-rock d'altri tempi (a volte fin troppo manierista)...Ma quei cori, il passo arioso e rustico di "Don't Carry It All" e la steel umida su "Rise To Me" faranno felici Rick Danko e Richard Manuel, lassù. Recensione de-luxe.

benoitbrisefer (ha votato 7 questo disco) alle 17:21 del 4 gennaio 2011 ha scritto:

Lo scivolare via un po' anonimo del 2010 lascia il passo ad un inizio un po' più promettente! Grandiosa recensione e buonissimo disco!! Di sicuro non mancano i manierismi (in january hymn ci sento un fondo di simon & garfunkel dalle parti di april come she will), è evidente e talvolta strabordante l'influenza rem (Down by the water), ma è lo spirito che ci piace, il ritrovare quella dimensione folk-cantautorale che è quella che mi ha fatto amare i primi lavori dei Decemberists. Bentornati!!

P.S. Il titolo ha qualcosa a che vedere con lo smithsiano The queen is dead?

gull (ha votato 6 questo disco) alle 23:54 del 4 gennaio 2011 ha scritto:

Mah! L'ho ascoltato un paio di volte ricevendone una impressione non positiva. Mi sembra sin troppo classico e un pò, non vorrei esagerare, un pò piatto. Devo riascoltarlo per bene però. Scrivo qui solo le primissime impressioni.

Ah, sonorità molto r.e.m. anni '80 in diversi frangenti. Verissimo. Buck si è fatto sentire!

Dr.Paul (ha votato 5 questo disco) alle 20:25 del 7 gennaio 2011 ha scritto:

mi unisco ai complimenti per l'inedita coppia di recensori! bravi veramente! il disco però mi ha lasciato di sasso! ma che fine hanno fatto i decemberists? quelli seri...quelli forti, quelli imprevedibili...e anche un po "barocchi"?! in alcuni passaggi qui sembra di sentire cat stevens e simon&garfunkel! un suono tipicamente america old style!! disco superfluo, certamente verrà apprezzato da chi ama le sonorità rural-radiofoniche americane! salvo solo la prima traccia "Don't Carry It All", quella è carina...ci si può cantare sopra Wake Up degli Arcade Fire! ))

Charisteas (ha votato 6 questo disco) alle 19:31 del 15 gennaio 2011 ha scritto:

I Rem dovrebbero chiedere i diritti d'autore per almeno 3-4 canzoni. Per il resto scorre via piuttosto rapido, senza infamia e senza lode. Gli ho preferito Picaresque.

gull (ha votato 6 questo disco) alle 14:54 del 20 gennaio 2011 ha scritto:

Dopo averlo riascoltato a dovere è cresciuto decisamente. Alcune canzoni molto belle "Rox in the box" ad es. mi piace molto. Altre sinceramente continuano a lasciarmi indifferente assai. Se proprio devo trovare il difetto vero, ritengo che sia questa specie di spersonalizzazione, sicuramente voluta, che lascia per strada parecchie delle peculiarità che mi piacevano di loro (quel modo di cantare, soprattutto, ora abbandonato in favore di una neutralità vocale più comune).

senzaverso (ha votato 7 questo disco) alle 17:58 del 22 gennaio 2011 ha scritto:

La chitarra parlante è un bel narrare.

L'album è orecchiabile e con sonorità ben costruite ma sembra non avere grandi originalità. I rimandi ai R.E.M. in qualche punto sembrano effettivamente suoni di qualche loro brano

Fertuffo (ha votato 9 questo disco) alle 13:39 del 14 febbraio 2011 ha scritto:

E' bello, semplicemente bello.

Accantonando ogni dotta disquisizione possibile da parte di chicchessia esperto musicale, questo disco è un gradevolissimo ascolto dal principio alla fine. Canzoni orecchiabili, digeribili, melodiche, e mai banali. Ogni ascolto aumenta la simpatia per questo disco e gruppo eccezionali. Lungo il giusto, senza inutili riempitivi per farlo sembrare un "vero disco". Da consigliare come ottimo regalo ad un caro amico. Ora nella top 10 dei miei dischi, appena sotto "Down the river of golden dreams" degli Okkervil River.

senzaverso (ha votato 7 questo disco) alle 23:31 del 14 febbraio 2011 ha scritto:

le preferenze

va bene ma mi sembra azzardato assegnarlo un posto tra i dieci migliori dischi semplicemente perché non riesco ad ascoltare grandi spunti creativi

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 17:51 del 23 marzo 2011 ha scritto:

La prima volta che l'ho ascoltato, sul mio piatto aveva appena finito di girare il primo Will the circle be umbroken della Nitty gritty dirt band e devo dire che il passaggio al Don't carry it all non è stato traumatico, anzi (nei primi 10/15 secondi del brano iniziale ho pensato di aver messo nel lettore Harvest, ma non è possibile ho il vinile eheh). La seconda, come già fatto notare da tanti, sembra uscita dalla penna dei REM (e pure Down by the water). In generale uno scorrevole, vario (per il genere eh) e gradevole album di country rock, niente di nuovo, chiaro. Comprendo quindi il Doc quando parla di musica americana old style. Miglior pezzo del lotto io voto Rox in the box.

Emiliano alle 17:43 del 27 aprile 2011 ha scritto:

Ma il titolo è una dedica a M.J?

Marco_Biasio, autore, alle 19:41 del 28 aprile 2011 ha scritto:

RE:

Visto e considerato quello che c'è dentro, a fare il giochino delle maggiori affinità penserei ad Elvis più che a Jackson.

target, autore, alle 22:57 del 27 aprile 2011 ha scritto:

Dio, credo proprio di no. Ma vai a sapere.

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 8:37 del 28 aprile 2011 ha scritto:

Si, vai a sapere. A me era venuto in mente invece The queen is dead degli Smiths... Certo sembrerebbero azzeccarci poco con loro anche quelli.

Marco_Biasio, autore, alle 14:53 del 6 maggio 2011 ha scritto:

Brutte notizie, a Jenny Conlee è stato appena diagnosticato un cancro al seno. Speriamo in una buona guarigione!

synth_charmer alle 15:04 del 6 maggio 2011 ha scritto:

RE:

dopo la recente scomparsa di Poly Styrene non dev'essere una gran notizia da ricevere

Marco_Biasio, autore, alle 18:07 del 8 settembre 2011 ha scritto:

Devo essere sincero, questo disco mi è uscito moltissimo alla distanza e molto spesso mi capita di riascoltarlo. Rispetto agli altri capitoli, verissimo, è sicuramente più "banale" perché meno articolato, barocco e "personale". Tuttavia la bellezza umile, semplice e solida di queste canzoni costruite con poco fa una gran fatica ad andarsene. Basterà dire che, una dopo l'altra, alla fine ho imparato a suonarle tutte: mai successo con un disco intero dei Decemberists! Loro sicuramente una delle mie band preferite del Nuovo Millennio.

fgodzilla (ha votato 8 questo disco) alle 11:49 del 11 gennaio 2013 ha scritto:

Alla distanza e' spesso sul mio stereo

Matteo Giobbi (ha votato 8,5 questo disco) alle 18:20 del 3 settembre 2013 ha scritto:

è stato decisamente il mio album del 2011. Immenso