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R Recensione

7/10

Threelakes and the Flatland Eagles

War Tales

Threelakes, al secolo Luca Righi, suona da diversi anni ma solo nel 2013 è riuscito a coinvolgere – o a farsi coinvogere da – le persone giuste per dare alle stampe questo concept-album sulla guerra. Assieme ai Flatland Eagles (Andrea Sologni, Raffaele Marchetti, Lorenzo Cattalani, Marco Chiussi, Paolo Polacchini e Daniele Rossi) ha scritto e interpretato dieci brani di genuino antifolk, con influenze più o meno aderenti agli stili di Mumford & Sons, Mark Kozelek, Fleet Foxes e Adam Green. “War tales” è missato e prodotto in maniera sopraffina e nel disco non mancano collaborazioni di alto spessore come quelle di Emanuele Reverberi (violini e trombe) dei Giardini Di Mirò, Capra (cori) dei Gazebo Penguins, Luciano Ermondi (lapsteel) dei Tempelhof e Francesca Amati (cori) degli Amycanbe. Sono queste le precondizioni che rendono le aspettative su “War tales” piuttosto alte; ma va anche detto che Threelakes è uno di quei pochi artisti che pazientemente ti spiega il significato recondito delle sue canzoni, senza nascondersi dietro il velo dell’ermetismo artistico.

L’ascolto comincia sulle note di “Wild waters” con una cantilena sofferta e selvaggia, presagio della guerra imminente, per proseguire con “The walk” verso le steppe sconfinate di qualche fronte orientale. Il gioco di chitarre e batterie, che rimanda alla grande tradizione folk americana, immerge l’ascoltatore nel clima bellico, mettendolo in empatia col soldato, con la sua solitudine, col suo sventurato fato. “The lonesome death of mr. Hank Williams” (il personaggio è un’icona del country a stelle e strisce) rappresenta il primo contatto con la guerra vera e propria, tanto che Threelakes ci propone un brano intenso e poetico, che rimanda all’ideologia on the road dello stesso Williams quando, nel 1952, cantava in “Ramblin’ man”: «E quando me ne sarò andato / e starai davanti alla mia tomba / di' solo che Dio ha chiamato a casa / un vagabondo». “To do” è prigionia, reclusione e isolamento, un intimo momento di riflessione su se stessi e sulle battaglie quotidiane, e l’atmosfera del musicista mantovano si arricchisce di riflessi post-rock. “The day my father cried”, con l’armonica a bocca, si rifa completamente alla tradizione statunitense di comporre musica fortemente legata alla realtà circostante: qui si parla d’un padre che piange la partenza del figlio.

I temi ricorrenti della perdita, della morte e dell’improcrastinabile sventura sono per un momento dimenticati nella successiva “By my side”, mentre nella meravigliosa “D-Day” troviamo la resa dei conti, il giorno del destino, l’attimo delle decisioni, la messa in cantiere delle operazioni. Il pezzo stesso rappresenta un punto di non ritorno, una deflagrazione lenta ma irreversibile di sentimenti, suoni, sogni, accordi e d’un soldato che forse non tornerà vivo a casa: il 6 giugno 1944 furono pochi a tornare sani e salvi dall’inferno della Normandia e ancor meno furono gli eroi. In “March” la guerra sta per finire e in “Horses slowly ride” riappare l’odore di casa, il sapore delle passeggiate a cavallo, il calore della donna che ti aspetta. Threelakes diviene meno triste e più suggestivo con una ballata all’americana che regala gioia e serenità. Infine “Rose”, in memoria di coloro che hanno perso la vita, un umile brano che posa un petalo di rosa su ognuno dei morti che non scamparono alla guerra e sui sopravvissuti che sopportarono il tormento.

War tales” è un concept-album e già questo rappresenta un valoroso merito, più che essere un mero esercizio di stile. A pensarci bene non è così facile trovare artisti che abbiano un’idea artistica della vita e della storia tanto organica come Threelakes.

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