Jester At Work
A Beat Of A Sad Heart [EP]
Così silenzioso che passerebbe sciaguratamente inosservato se una parte di pubblico non avesse conservato una buona memoria visiva e uditiva, il ritorno di Antonio Vitale sotto il monicker Jester At Work, anche se in tono dimesso e in veste ridotta (ci dobbiamo aspettare un LP nel prossimo futuro?), ha il merito principale di fornire una buona sintesi dei precedenti Lo-Fi, Back To Tape e Magellano per cui rimandiamo alle rispettive recensioni e ad un successivo, più approfondito ascolto.
È davvero un cuore colmo di mestizia, quello che trasuda emozionalità in questi sei brani: lo stanco motore di un lupo solitario, abituato a vivere e lavorare in completa autonomia nei pressi del porto di Pescara, con la sola compagnia di una chitarra acustica, di un registratore a quattro tracce (metodo ormai consolidato, per il factotum del progetto) e della cagna Gracie, che fornisce linvolontario controcanto dei rustici accordi di americana rappresa di Me And Gracie. Lisolazionismo è massimamente percepibile nella sporca grana e nel baritono meditativo di Behind The Wall (un Lanegan messo con le spalle al muro: particolarmente suggestivo il riverbero aggiuntivo di Alessio DOnofrio), prima che il risentimento monti nel blues incupito di People Lie e si stemperi, nuovamente, nel folk prebellico di Sad Heart, come immaginare Woody Guthrie ritratto dallo Steinbeck di The Grapes of Wrath. Tra questultima e la sciamanica Bold è stretto lunico episodio damore, una Lighthouse Man che a tratti dà quasi la buffa impressione di essere interpretata dal Lemmy di Whorehouse Blues e God Was Never On Your Side.
Per completisti, fan irriducibili o semplici curiosi.
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