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R Recensione

6/10

Jester At Work

A Beat Of A Sad Heart [EP]

Così silenzioso che passerebbe sciaguratamente inosservato se una parte di pubblico non avesse conservato una buona memoria visiva e uditiva, il ritorno di Antonio Vitale sotto il monicker Jester At Work, anche se in tono dimesso e in veste ridotta (ci dobbiamo aspettare un LP nel prossimo futuro?), ha il merito principale di fornire una buona sintesi dei precedenti “Lo-Fi, Back To Tape” e “Magellano” – per cui rimandiamo alle rispettive recensioni e ad un successivo, più approfondito ascolto.

È davvero un cuore colmo di mestizia, quello che trasuda emozionalità in questi sei brani: lo stanco motore di un lupo solitario, abituato a vivere e lavorare in completa autonomia nei pressi del porto di Pescara, con la sola compagnia di una chitarra acustica, di un registratore a quattro tracce (metodo ormai consolidato, per il factotum del progetto) e della cagna Gracie, che fornisce l’involontario controcanto dei rustici accordi di americana rappresa di “Me And Gracie”. L’isolazionismo è massimamente percepibile nella sporca grana e nel baritono meditativo di “Behind The Wall” (un Lanegan messo con le spalle al muro: particolarmente suggestivo il riverbero aggiuntivo di Alessio D’Onofrio), prima che il risentimento monti nel blues incupito di “People Lie” e si stemperi, nuovamente, nel folk prebellico di “Sad Heart”, come immaginare Woody Guthrie ritratto dallo Steinbeck di The Grapes of Wrath. Tra quest’ultima e la sciamanica “Bold” è stretto l’unico episodio d’amore, una “Lighthouse Man” che a tratti dà quasi la buffa impressione di essere interpretata dal Lemmy di “Whorehouse Blues” e “God Was Never On Your Side”.

Per completisti, fan irriducibili o semplici curiosi.

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