R Recensione

7/10

Adrian Crowley

Season Of The Spark

Salve! Sono S.C., forse vi ricorderete di me per l’interminabile panegirico laudato sii Long Distance Swimmer dell’anno scorso o per aver innalzato Adrian Crowley fino al terzo posto nella personale classifica annualmente riservata ai redattori.  E oggi, a un giro completo della terra intorno al solo e a una quarantina di giorni dalla fine del decennio, l’assassino ha deciso di tornare sul luogo del delitto per annunciare ai pochi ma perseveranti cultori del musicista irlandese la buona novella. Buona e un po’ inaspettata, forse, visti i tempi lunghi e l’assoluta ritrosia che ha contraddistinto finora la carriera di questo piccolo maestro (4 dischi in 10 anni).

The Season Of The Spark conferma il percorso dell’autore fra la classicità del suo retaggio anglo-celtico e la ricerca di una spazialità più libera e contemporanea che guarda al post-rock acustico, allo slo-core e alle sonorità atmosferiche della musica da camera. Nel tempo, come già osservato per Long Distance Swimmer rispetto a A Northern Country (2004), Crowley ha sviluppato una crescente e costante propensione nei confronti della melodia ciclica e rotonda, della canzone popolare orchestrata in forma neo-classica e confidenziale. Anche la scelta della strumentazione (prettamente acustica: chitarra, organo, piano, violino e violoncello, più marchingegni un po’ retrò come rhodes, mellotron) e degli arrangiamenti (ariosi, solenni, rarefatti con una netta prevalenza dell’accompagnamento sul fingerpicking).

Il tutto rilegato in un concept bucolico e panteistico che fa dell’osservazione poetica della natura, del taglio contemplativo e filosofico della narrazione il punto d’incontro privilegiato fra musica e parole. Facile lasciarsi andare al fascino melanconico e pastorale del suo interprete, ancora più facile tacciarlo, qui più che in ogni sua altra opera in passato, d’immobilismo e manierismo un po’ derivativo. Tanti e tutti nobili i termini di paragone: la rassegnata lentezza dell’essere Smog, il levitare barocco del primo Drake…o il Leonard Cohen di Songs Of Love and Hate nella bellissima The Beerkeeper’s Wife, folk da camera ammantato di glaciali finiture post (il fischiare dei violini, le campiture della chitarra), o il Nick Cave di The Boatman’s Call in The Wishing Seat (piano elettrico, sonagli, batteria scandita).

Altrove prevale un incedere bandistico (Summer Haze Parade), tradizionale celtico (The Three Sisters), o un taglio più onirico, ipnotico, moderno (Squeeze Bees, un’armonia prettamente vocale, a tratti quasi a cappella, sospesa su un terso e distaccato tappeto ambientale, e Season Of The Spark).

Con la voce di Crowley, bella, dolente e profonda, a rinforzare le veniali crepe che trapelano qua e là nel consumato equilibrio cantautorale raggiunto nell’arco di cinque prove fra le più brillanti, nel suo genere, del decennio che va smorzando a poco a poco la sua corsa. Un po’ come queste canzoni.

LINK:

Myspace: www.myspace.com/adriancrowley

VIDEO:

"The Wishing Seat" (video ufficiale): http://www.youtube.com/watch?v=DUtawMJxLiw

 

V Voti

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rael 6/10

C Commenti

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REBBY alle 8:50 del 27 novembre 2009 ha scritto:

Si, mi ricordo. La volta scorsa ci avevi dato la

dritta giusta. Ti aspettavo al varco (eheh). Sto

giro non ho ancora capito se va cercato anche questo. Mi pare di aver notato, in generale, che la critica tergiversa: si dice bellino quasi

minimizzando. E' forse "minore" dell'altro perchè

troppo simile?

target alle 10:28 del 29 novembre 2009 ha scritto:

Eh eh, l'incipit alla Troy mcClure mi ha fatto scompisciare... Crowley è in dirittura di ascolto.