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7/10

La Bestia Carenne

Catacatassc'

Finanziato tramite il crowdfunding della piattaforma Musicraiser, il disco d’esordio de La Bestia Carenne – band campana formata da Giuseppe Di Taranto (voce e chitarra acustica), Antonello Orlando (chitarra elettrica), Paolo Montella (voce, basso e tastiera) e Giuseppe Pisano (percussioni) – va ad inserirsi subito in quel filone di musica itinerante che riconosce in Vinicio Capossela il suo massimo esponente. Oltre a certo folk, lo stile de La Bestia Carenne si rifà principalmente alla grande tradizione cantautorale, non solo italiana. “Catacatassc’” in dialetto napoletano sta per “lucciole”, tanto che la band, al pari di quegli insetti ad intermittenza, ammette che «in un percorso di crescita artistica allo stesso tempo graduale, naturale e profondo, resta sempre qualcosa in sospeso da dire. Ogni album diventa lo spazio di rincorsa necessario allo sviluppo del lavoro successivo».

Billy il mezzo marinaio” è proprio uno di quei brani che ti fa venire in mente Fabrizio De André: meno malinconica de “Il suonatore Jones”, bambinesca almeno quanto “Il gigante e il mago” del poetaccio irpino. Ne “Il sapore” la band canzoneggia un jazz di strada alla Brunori e in “Uno studente e Vysotskij” tirano in ballo uno dei pochi chansonnier sovietici, assurto ad emblema di una ribellione tanto ostinata quanto impossibile (grazie a questo brano una copia dell’album è esposta nel Włodzimierza Wysockiego Muzeum di Koszalin, in Polonia). Per La Bestia Carenne certe istanze pasionarie non sono ancora morte, semmai in un periodo di sì scarsa solidarietà ci sembra di risentire l’Agapito Malteni di Rino Gaetano (“La vacanza di un ferroviere”).

Il minimalismo percussivo de “Le cose che desideri” ricorda il troppo in fretta dimenticato Enzo Del Re; violini in “Transkei” per rivangare l’apartheid, quella rozza politica di ghettizzazione che ha causato tanti, troppi, piccoli olocausti nei bantustan sudafricani; e ancora “Una macchina trasversale”, brano promozionale di questo disco, che ricorda inizialmente l’ironia surreale di Enzo Jannacci per poi trasformarsi in qualcosa di poco dissimile dal Nick Mulvey di “Meet me there”. E poi c’è la sconfinata tristezza di “Jeanne”, il grande afflato strumentale di “Toccare” ed infine la mistura western tra country, blues e jazz di una “Cadillac” sulla Route 66.

Insomma, in “Catacatassc’La Bestia Carenne offre un assaggio piuttosto saporito di buona musica, rendendo omaggio ai grandi di un tempo, ma ci ricorda soprattutto che non premurarsi del passato non equivale a chiudere i conti con esso ma al contrario li costringe a tornare a galla, si chiamino essi “disuguaglianza”, “dittatura”, “razzismo” o, peggio, “segregazione”.

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