A La Canzone di Protesta Italiana. Da Cantacronache agli Stormy Six

La Canzone di Protesta Italiana. Da Cantacronache agli Stormy Six

Subito una premessa fondamentale: affronteremo solo la canzone politica che rientra nel periodo della “popular music”, ossia a partire grosso modo dalla metà degli anni '50, quando in Italia è presente un polo produttivo industriale, la diffusione commerciale della musica all’interno di una società sempre più mediatica e a livello stilistico il fenomeno del rock’n’roll è già emerso.

E' bene ricordare che la storia della canzone politica italiana è in realtà assai più lunga e di un consistente peso se pensiamo che alcuni degli inni musicali impegnati più noti e conosciuti risalgono al periodo della Resistenza (Bella Ciao e Fischia il vento ad esempio).

Cercando di tracciare un breve, sintetico e divulgativo quadro della canzone politica italiana si partirà dall'importantissimo fenomeno di Cantacronache, singolare esperienza destinata a cambiare radicalmente la musica leggera italiana, per tutto l'iniziale dopoguerra dominata dalle canzonette spensierate e melodiche, strutturate sia per contenuti che per stile in continuità con la produzione dell'epoca fascista.

I Cantacronache sono un gruppo di musicisti, letterati e poeti che a partire dal 1957 iniziano a riunirsi a Torino con lo scopo di valorizzare il mondo della canzone attraverso l'impegno sociale. Tra i fondatori vi sono Fausto Amodei, Sergio Liberovici e Michele Straniero mentre tra i letterati coinvolti nel progetto figurano nomi prestigiosi come Italo Calvino, Franco Fortini e Umberto Eco.

Tra le produzioni più importanti e note troviamo Per i morti di Reggio Emilia, composta musicalmente da Fausto Amodei, che diversi anni dopo regalerà un altro gioiello come Se non li conoscete.

Il gruppo nel complesso nonostante la volontà di rimanere in canoni musicali tutto sommato convenzionali (all'insegna appunto della canzone melodica italiana, equivalente del folk anglosassone) non riesce a sfondare nel grande pubblico e rimane chiuso in un sistema di controcomunicazione fatto di Feste dell'Unità, case del popolo e circoli ARCI.

Successivamente avviene una spaccatura nel gruppo, che porta alla fine dell'esperienza dei Cantacronache e ad una sua ideale prosecuzione nel Nuovo Canzoniere Italiano, nome con cui diversi artisti e studiosi a partire dal 1962 a Milano diedero vita ad una rivista e ad un gruppo musicale, proponendosi l'obiettivo di riscoprire e riproporre la ricca tradizione del canto sociale italiano, che negli anni del boom economico stava rischiando di scomparire.

Grande scalpore fece a riguardo il 20 giugno 1964, al festival dei Due Mondi di Spoleto, Michele Straniero, che cantò i versi di O Gorizia tu sia maledetta, canzone critica sulla prima guerra mondiale che costò una denuncia per “vilipendio alle forze armate italiane” all'autore ed ai responsabili della manifestazione.

Gli anni '60 però avevano portato in Italia l'esperienza del beat e del rock'n'roll. L'influsso della cultura musicale americana, unito a quello degli chansonniers francesi (Georges Brassens, Jacques Brel, Léo Ferré, ecc.) si fece sentire sulla nuova leva dei cantautori più impegnati. Fatte salve poche eccezioni (Lucio Battisti, Claudio Baglioni, Riccardo Cocciante) si può constatare che la gran parte delle principali figure emerse nel periodo 1966-75 in Italia sono influenzate dall'inasprirsi della conflittualità sociale e dalla fortissima subcultura rossa che si fa sentire soprattutto nel centro-nord del Paese. Pochi però sono gli artisti politici a tutto tondo: Ivan della Mea (Cara moglie, o la famosa Creare due, tre, molti Vietnam), Claudio Lolli (Borghesia, Ho visto anche gli zingari felici), Giovanna Marini (I treni per Reggio Calabria), Giorgio Gaber (La libertà, Qualcuno era comunista) con risultati musicali onestamente non sempre entusiasmanti. Due le constatazioni che si possono fare per gli artisti “politici”: la prima è l'evidenza della difficoltà di reggere il formato album, a dispetto di una serie di singoli brani spesso sfolgoranti (basti pensare qui ad uno dei massimi capolavori del genere che segnò l'epoca diventando uno degli inni del '68: Contessa di Paolo Pietrangeli); la seconda è la volontà di rimanere fedeli all'impegno politico cercando di compiere un'azione meno diretta. Si pone cioè più o meno volontariamente e coscientemente il problema di cosa sia una canzone politica: un libello testuale politico o un prodotto musicale innovativo in grado di creare interesse attorno alle sotto(-contro)culture?

Il primo dibattito avvenuto nel nostro paese sulla questione risale in realtà al periodo immediatamente successivo all’esperienza dei Cantacronache, da cui emerge di fatto un’esigenza chiara: quella di spostare il baricentro culturale della società non in maniera diretta (con canzoni esplicitamente politiche), bensì indiretta, lavorando a sviluppare nei cittadini uno spirito critico capace di esplorare autonomamente l’alterità culturale. Un’operazione che verosimilmente avrebbe apportato due vantaggi: da un lato uscire dagli orizzonti della cultura borghese, dall’altro “aprire la mente” alla gente, favorendo una condizione in cui fosse più semplice affrontare senza preconcetti eventuali pensieri politici rivoluzionari. Un’operazione quindi dagli scopi complessivamente politici, seppure in un’ottica di lungo termine.

Franco Fabbri ricorda come all’ordine del giorno fosse “ad esempio la contraddizione tra un’efficacia della musica puramente propagandistica (cioè, se la musica faccia “funzionare” un testo) e un’efficacia culturale, legata a qualche forma di alterità.” Una contraddizione tra l'altro che persiste nell'esperienza del Nuovo Canzoniere Italiano nel contrasto fra l’impostazione filologica di Roberto Leydi e quella militante di Gianni Bosio, Cesare Bermani e altri. Prosegue a riguardo Fabbri: “Si può dire anzi che la rivendicazione di Leydi che sta alla base della sua separazione dal NCI, cioè l’idea che la musica popolare comunichi la propria alterità e la propria irriducibilità politica ai valori borghesi anche quando (o proprio quando) non sia esplicitamente di argomento politico, si ricongiunga negli anni settanta alla rivendicazione di quei musicisti (Stormy Six, Gruppo Folk Internazionale/Ensemble Havadià, ecc.) che identificavano in altre forme di alterità musicale (qualità della scrittura, riferimenti a tradizioni diverse, inclusa quella eurocolta) un valore politico non inferiore a quello dei testi.

Prima di affrontare il caso degli Stormy Six, gruppo simbolo della musica politica dei '70s, è necessario però dopo questa premessa introdurre a questo punto i grandi cantautori italiani dell'epoca, che nell'immaginario collettivo hanno avuto un'importante ruolo contestatario nei confronti del “sistema”. In realtà come abbiamo avuto modo di affermare, il ruolo svolto dalla gran parte degli artisti è politico soprattutto nell'impostazione rivendicata da Leydi: quella cioè in cui vi è una composizione in cui si dà scarsa importanza al contenuto testuale esplicitamente politico, (fino anche al suo azzeramento) a scapito di una primaria attenzione a liriche genericamente controculturali e alla forma stilistico-musicale, la quale da sola per la sua azione destabilizzatrice verso la cultura dominante, svolgerebbe un’azione politica.

Tanti quindi gli artisti che si sono cimentati con la canzone politica solo in situazioni episodiche e discontinue: Francesco De Gregori (Viva l'Italia, Generale), Rino Gaetano (Mio fratello è figlio unico, L'operaio della Fiat 1100), Lucio Dalla (4 marzo 1943), Pierangelo Bertoli (Eppure il vento soffia ancora, Non vincono).

Tra questi è bene però segnalare quanto meno una maggiore costanza (e qualità compositiva) di Francesco Guccini (La locomotiva, Primavera di Praga, Auschwitz) e soprattutto Fabrizio De Andrè, probabilmente il maggior cantautore italiano del secolo, la cui azione politica si è articolata esplicitamente soprattutto nella critica antiecclesiastica de La buona novella (disco del 1970 contenente tra le altre Il Testamento di Tito), e nell'appoggio al movimentismo 68ino che emerge da Storia di un impiegato (disco del 1973 che racchiude la storica Canzone del maggio e l'umorismo tragicomico de Il bombarolo). In realtà però sarebbe riduttivo non ricordare che per tutta la carriera De Andrè è riuscito nell'opera di raccontare storie di emarginati, ribelli, prostitute e persone spesso ai margini della società, lasciando libero sfogo alle proprie simpatie politiche anarchiche, libertarie e pacifiste (impossibile non ricordare almeno anche La guerra di Piero).

Per concludere il periodo degli anni ’70 abbiamo inserito due gruppi assai diversi tra loro: gli Stormy Six e gli Area. I primi militanti in tutto e per tutto, tra i rappresentanti più importanti della “canzone politica tout court”; i secondi un gruppo non propriamente politico, ma che per produzioni musicali (uno dei loro dischi più famosi è Arbeit Macht Frei del 1973; il brano Gioia e Rivoluzione è invece del 1975), simbologia e attitudine (amavano ad esempio terminare i concerti suonando un’Internazionale in una versione letteralmente stravolta, salutando il pubblico con il pugno chiuso) è senz’altro significativo di una connotazione politica. I due gruppi però sono interessanti anche perché entriamo in un campo stilistico diverso rispetto al classico folk dei cantautori. Gli Area sono stati infatti uno dei gruppi che più di altri ha cercato di fondere progressive rock e free jazz, in una ricerca sonora all’insegna dell’avanguardia. E' pur vero che il frontman Demetrio Stratos aveva affrontato una fase musicale più convenzionale e pur già implicitamente politica (basti pensare a Pugni chiusi dei Ribelli).

 

Il caso degli Stormy Six è altrettanto interessante: entrano in gioco elementi di rock psichedelico californiano, progressive inglese ed elementi di musica irlandese. Nato come gruppo beat ben presto il collettivo si fonde in una militanza attiva nel Movimento Studentesco prima e nell'appoggio alla campagna elettorale del PCI (1972) dopo. Se nei primi dischi (L'unità del 1972 e lo storico Guarda giù dalla pianura del 1973, raccolta di canzoni di protesta di vari Paesi che comprende, tra gli altri, brani di Mikis Theodorakis, Woody Guthrie, Ewan MacColl, Fausto Amodei) hanno un merito ed un valore soprattutto politico, con Il biglietto del tram (1975) si raggiunge una sublime quadra tra innovazione musicale e lirica militante. Stalingrado è uno di quei brani che entra nel novero delle migliori composizioni del genere, toccando nel profondo dell'animo. L'ultima fase sarà caratterizzata invece da un percorso sempre più improntato ad un progressive sperimentale di cui Fabbri e soci rivendicheranno la natura pienamente politica, tanto da essere tra i protagonisti in questi anni del progetto “Rock in Opposition”, lega di gruppi europei “compagni” comprendente tra gli altri gli Henry Cow.

Da Cantacronache agli Stormy Six il ventennio 1957-77 ha visto una fortissima presenza di artisti e produzioni musicali politici e militanti. Con la fine degli anni '70 però la situazione cambia radicalmente, seguendo la de-politicizzazione della società italiana. Non è qui possibile dar conto di tutte le problematiche che spiegano tale passaggio. Quel che più ci interessa in questa sede è che le canzoni di protesta iniziano ad esser fatte proprie in misura sempre maggiore dai cosiddetti “sottogeneri”, mentre per converso canzone d'autore e musica leggera italiana tornano ad uno standard sanremese, oppure si ritirano in tematiche intimiste e quotidiane. La stanchezza per una mobilitazione permanente che non ha avuto i frutti rivoluzionari sperati lascia il campo ad una rabbia e ad una frustrazione che scade quasi nel qualunquismo e nell'antipolitica: simbolici a riguardo brani come Nun te reggae più di Rino Gaetano e Destra sinistra di Giorgio Gaber). Qualche fantasma però si ostinerà anche negli anni '80 ad aggirarsi per il panorama italiano e a resistere con note e testi di battaglia...

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Alessandro Pascale, autore, alle 10:31 del 23 maggio 2011 ha scritto:

questa in teoria è solo la prima parte. Se pigrizia non mi coglie nel giro di breve tempo farò anche la seconda: "Dai CCCP a Luci della Centrale Elettrica"

FrancescoB alle 10:08 del 5 novembre 2011 ha scritto:

Articolo interessante che ho scoperto solo ora. Al solito, impeccabile ed esaustivo Alessandro.