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R Recensione

8,5/10

Julia Holter

Have You In My Wilderness

«A sea of flashing light / I'm blinded by it», canta Julia Holter in “Feel You”. E poi, in “Sea Calls Me Home”: «I can't swim / Its lucidity / So clear». Abbacinati e immobilizzati da troppa luce. Come scriveva Montale in “Gloria del disteso mezzogiorno”: «più si mostrano d'attorno / per troppa luce, le parvenze, falbe». Così è il quarto disco di Julia Holter: talmente abbagliante (e bello) da lasciare quasi disorientati.

È, certo, il disco in cui la trentenne di Los Angeles flirta di più con la melodia e con la forma-canzone tradizionale, ma a me sembra che la cifra di “Have You In My Wilderness” sia, ancor più, la solarità, e una solarità tutta di questa terra, di cui si può avvertire il calore, tanto più in un confronto diretto con il suo predecessore, “Loud City Song”, che viaggiava flottante a mezz’aria, o altissimo, in galleggiamento ai piani superiori. Ciò non significa che sia un disco manchevole di grazia: posto che non credo che Holter sia in grado di partorire qualcosa che ne sia privo, “Have You In My Wilderness” rimane un album allagato da una leggerezza al suo livello più nobile, tra archi, fiati, piano, con il contrabbasso a tenere molti pezzi tra fusion e vapori jazzy (“Vasquez”, con splendido intermezzo in cui ogni strumento si perde e poi si ritrova), fino a episodi e passaggi di sapore propriamente classico (il finale di “Silhouette”). La cura nell’arrangiamento dei pezzi è strepitosa (produce Cole MGN, già negli Haunted Graffiti pinkiani) – ciò che conferisce bellezza già di per sé.

Spetta proprio alla voce di Julia Holter e alla sua interpretazione più aperta, in primo piano e ormai sciolta da certi bizantinismi che ancora decoravano i primi due dischi, il compito di dare alla maggior parte di questi dieci brani una consistenza purissima e però tutta da toccare, calda – quella della luce che acceca. “Feel you”, con il suo passo irregolare e i suoi cori, è un incanto, che gli archi e lo spoken word a fine pezzo esaltano, così come i trionfi di “Sea Calls Me Home” e “Everytime Boots” (con passo quasi da vaudeville), o il finale della title-track, dove si ricorre a un crescendo atteso eppure emozionante (dove si intona «tell me why do I feel you running away» ed entra la viola, è da brividi). Può sembrare, a tratti, che Holter drammatizzi, reciti una parte (in "How Long" pare quasi "teutonicizzare" la pronuncia per citare Nico), allestisca lo scenario (forse solo My Brightest Diamond, nel passato recente, proponeva quacosa di simile), ma non c'è mai l'impressione della posa. 

E se non mancano i pezzi più scuri (“Night Song”), dove Holter sfoggia pure i toni bassi, accennando un intimismo notturno che si sfa presto in dolcezza, gli apici rimangono i momenti più elaborati, nei quali riemerge la base avanguardistica degli esordi e sembra perdersi o quanto meno sfilacciarsi (ma mai del tutto) la struttura del brano, per cui si tratta di procedere quasi a tentoni, anche all’ennesimo ascolto, come in un’improvvisazione continua che germina da se stessa per autoesaltazione (“Lucette Stranded on the Island”), e in questo senso “Betsy on the Roof” suona alle mie orecchie come il vero capolavoro di tutta la discografia di Holter – piano e voce, e quindi una piroetta spinta dai primi archi in lontananza (2’35’’) e poi, con l’ingresso della batteria, fatta giravoltare addosso a chi ascolta a furia di violini che si impennano e incroci vocali, mentre Holter invoca una sibilla senza risposte e direzioni, straziata dal desiderio («it's just about a deep and desperate search for something. It doesn't matter what it is», ha detto sul pezzo), enigmatica come molti dei testi, pieni di vuoti e omissioni.

Musica al grado più alto.

V Voti

Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 19 voti.
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zebra 7,5/10
Cas 7/10
layne74 8,5/10
woodjack 8,5/10
redskin78 7,5/10
B-B-B 8/10
GiuliaG 7,5/10
Vatar 8/10
Dengler 6,5/10

C Commenti

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Jacopo Santoro (ha votato 8,5 questo disco) alle 1:08 del 30 settembre 2015 ha scritto:

Senza particolari scossoni in questo autunno,e in parte dell'inverno, penso che questo nuovo, sublime disco della Holter rimarrà il mio album dell'anno 2015.

Julia si sveste degli abiti più sperimentali del passato, flirtando - come dice Francesco - con la melodia e con la forma-canzone tradizionale: è il brillante connubio tra un pop di livello e l'avanguardia di cui la stessa Holter era già insigne maestra.

Dieci pezzi e nessuno di questi "minore". La traccia omonima, l'ultima, spinge quasi alle lacrime con la viola che taglia le viscere a fette, mentre lei intona "Tell me, why do I feel you running away?", come a chiudere il cerchio di "sentimenti" che dal primo brano si era spalancato ("Can I feel you? Are you mythological?"). Brani che trasudano "classicismo" sono 'Silhouette' (che portentosa cavalcata d'archi, il finale!) e 'How long?', che risente, più di altri pezzi, delle scorie del suo precedente lavoro, ed è come se la Holter stesse recitando (dice benissimo Francesco), nuovamente avvinta dagli archi, quasi funerea e in atmosfere assai malinconiche. Il miracolo accade con le campane impazzite di 'Lucette Stranded on the Island', e poi con quegli ultimi tre minuti, di puro delirio estatico: Julia parla, un botta-e-risposta, nel frattempo la musica cresce, crescono i suoni esterni, i lamenti, gli ululati, i contro-tempi (batteria strepitosa), le tastiere lisergiche, la voce come un mantra. 'Sea Calls Me Home' è la canzone forse più solare, addirittura fischiettante (mai una luce davvero scintillante, ma sempre rigata da qualche cirro), mentre per descrivere il solo di sassofono non mi viene in mente che un simpatico commento in rete fatto su un brano di Venditti in cui suonava il sassofono stesso: "sax da pippe". 'Night Song' emoziona per l'interpretazione vocale ("Show me now, show me your second face"), con un contrabbasso felpato che incanta, e i soliti archi lancinanti. Percussioni inaspettate ravvivano 'Everytime Boots', ed anche qui torna quell'impressione di solarità, che però un po' scema nel mezzo: sta qui la sua grandezza, aprire l'occhio quando si sta troppo ammiccando, ma riaprirlo con gusto. L'altro vero miracolo è 'Betsy on the Roof', una ballata voce e piano dove la Holter mette in mostra tutte le sue corde, anche qui in un crescendo folle di bellezza, dove vibra il suo talento cristallino, per sei fecondi minuti. Prima del finale c'è ancora tempo per il jazz di 'Vasquez', in cui, in ordine sparso, sono da orgasmo: la voce suadente, quasi metallica, ora, spaziale; le bacchette e i piatti di una batteria inarrestabile; un contrabbasso che funge da meraviglioso tappeto rosso per tutto il brano; i fiati, che pare scherzino, divertendosi. Poi le lacrime finali, come detto.

Julia Holter è dunque musica al grado più alto, sì. Molto alto. In perpetuo volo, come i gabbiani di Cardarelli.

hiperwlt (ha votato 8 questo disco) alle 18:17 del primo ottobre 2015 ha scritto:

Credo abbia raggiunto la sua forma definitiva, alternando, con strascichi classicheggianti e misura intellettuale, momenti più easy listening e melodia a quelli sperimentali/elaborati. Ascolto in loop da settimane, produzione stupenda: sicuramente tra gli album dell'anno ("Betsy On The Roof" e "Feel You" capolavori per davvero). Target, al solito, dice tutto e meglio di tutti.

target, autore, alle 18:30 del primo ottobre 2015 ha scritto:

Grazie mille Jacopo per il megacommento e l'integrazione recensoria, e pure Mauro. Per me ancora se la gioca con Daniel Knox per la palma di disco dell'anno, ma, certo, il suo stato di grazia direi che è palese. Che duri il più possibile!

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 19:45 del 2 ottobre 2015 ha scritto:

Julia riscopre la canzone e la melodia, ma questo non è un disco semplice: richiede diversi ascolti per svelarsi. Ci sono però almeno tre pezzi clamorosi, e una qualità assoluta in fase di arrangiamento: questa è semplicità barocca e raffinata, se mi concedete l'ossimoro. Il voto sarà molto buono.

Totalblamblam alle 21:35 del 6 ottobre 2015 ha scritto:

rispetto ad ekstasis , disco sorprendente, mi sembra una virata su un pop melenso e meno ma molto meno coraggioso. deludente per ora...pezzo migliore vasques .

Cas (ha votato 7 questo disco) alle 17:13 del 29 ottobre 2015 ha scritto:

Ho l'impressione che l'album si perda irrimediabilmente dopo Night Song. prima, invece, l'incanto: la coda suprema di Silhouette, il perdersi nella languida "How Long" (quel "All the people run from the horizon" prima declamato a cappella, poi in progressivo riempimento: bellissimo), il dinamismo luccicante di "Lucette Stranded on the Island", un vero e proprio irraggiamento... Se fosse per questa prima metà darei 9. Vedrò di capire cosa non (mi) funziona da lì in poi.

Jacopo Santoro (ha votato 8,5 questo disco) alle 20:21 del 29 ottobre 2015 ha scritto:

Incredibile, Cas, perché personalmente tutto si impenna proprio con il poker finale (malgrado soprattutto i tre pezzi conclusivi siano tanto diversi tra di loro).

REBBY alle 16:10 del 20 novembre 2015 ha scritto:

Davvero difficile dire quale sia il pezzo migliore (ai primi ascolti pensavo Vasquez, come quel vecchio brontolone di Gassed lol), tanto è straordinario tutto l'album.

salvatore alle 10:54 del 4 dicembre 2015 ha scritto:

Davvero, non so che dire. Tanta bellezza (completa, universale, oggettiva) mi emoziona. "Lucette", boh, non ci credo che sia stata scritta una canzone così meravigliosa.

NathanAdler77 (ha votato 8,5 questo disco) alle 2:11 del 25 dicembre 2015 ha scritto:

Sul podio delle mie preferenze annuali. Pregevole e raro disco “Have You In My Wilderness”: la Holter non è mai stata così intimamente comunicativa come nell’eccellente songwriting art-pop di questi dieci brani. Non tralascia del tutto gli amati riferimenti letterari alti, spesso altissimi delle precedenti release (da Euripide in “Ekstasis” del 2012 a Colette e Christopher Isherwood oggi) ma senza suonare forzatamente accademica né pretenziosa, tutt’altro. Degna allieva-erede della commistione tra forma canzone e avantgarde di un John Cale (o d'una Laurie Anderson) e dell’atemporalità baroque/pop/folk di Van Dyke Parks, Linda Perhacs e della solita Kate Bush, Julia qui scandaglia magnificamente l’anima più malinconica e pop di ricordi Sixties (il notevole singolo “Feel You”, il Brian Wilson più sax sghembo di “Sea Calls Me Home”), fulgide melodie orchestral/dream-pop in “Silhouette” e vertiginosi abissi memori di Nico (“How Long?”). Straordinari i visionari caroselli teatrali di “Lucette Stranded On The Island” e “Betsy On The Roof”, ipnotica “Vasquez” nel suo notturno incedere dark-jazz à la Wyatt.

woodjack (ha votato 8,5 questo disco) alle 18:05 del primo gennaio 2016 ha scritto:

poche parole per il poco tempo a disposizione, ma un commento qui lo volevo lasciare. Quando un'artista approda alla forma -canzone con un bagaglio di ricerca, sperimentazione, auto-analisi come quello della Holter è come se trovasse il coraggio (e il modo) di oltrepassare la barriera tra il proprio mondo e il pubblico, inteso come qualsiasi possibile ascoltatore dotato di sensibilità alle belle cose. Ecco, questo è il disco dell'approdo a questo traguardo. L'idea, forse l'ha detto qualcuno, di tenere su un piano sonoro differente l'aspetto musicale, in questo caso di marca cameristica, rispetto a quello puramente cantautorale (e canoro) è un'operazione non nuova (lo si è fatto di recente col dubstep) ma di impatto devastante; la percezione è di ricchezza ed essenzialità, intellettualismo e semplicità. Tra i dischi dell'anno, giustamente celebrato anche altrove. target tratta questo disco con tocco delicato, pudico, come per non rovinare la magia, recensione bellissima.

woodjack (ha votato 8,5 questo disco) alle 18:09 del primo gennaio 2016 ha scritto:

PS: in questi giorni l'ho alternato a Third dei Big Star (del quale, forse, proverò a scrivere un domani), sarà un'allucinazione, ma in alcuni momenti trovo un certo mood comune, e forse anche un modo di lavorare la materia per certi versi simile.

LucaJoker19_ alle 21:42 del 18 giugno 2016 ha scritto:

ma il finale di Silhouette cosa non è!! un album di una bellezza devastante .

AndreaKant (ha votato 8 questo disco) alle 19:03 del 23 dicembre 2016 ha scritto:

A un anno dall'uscita di questo capolavoro, che riascolto sempre con estremo piacere, il mio giudizio va tranquillamente a 9: a tratti talmente bello da far male.

LucaJoker19_ alle 1:57 del 30 dicembre 2016 ha scritto:

per me anche 10 ... ah preso la fisica su amazon tra l'altro !